Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14039 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14039 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12864-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutte domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti – e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G.
Oggetto
Cessione di ramo
d’azienda
Decadenza
Interposizione illegittima di manodopera
Giudicato
R.G.N. 12864/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 20/03/2024
CC
COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti successivi –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente al ricorso successivo –
avverso la sentenza n. 622/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/12/2022 R.G.N. 503/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento dell’appello proposto dalle undici lavoratrici, attuali controricorrenti, sopra indicate, e in riforma della sentenza del Tribunale di Padova n. 20/2019, dichiarava la nullità della cessione del ramo di azienda e la sua inefficacia nei confronti di dette appellanti e per l’effetto condannava RAGIONE_SOCIALE a ripristinarne il rapporto di lavoro dal momento della cessione; dichiarava assorbito rispetto alle stesse appellanti l’appello incidentale condizionato proposto dall’appellata RAGIONE_SOCIALE; in accoglimento dell’appello incidentale proposto da quest’ultima limitatamente ad altri cinque lavoratori, attuali ricorrenti per cassazione sopra
indicati (ossia COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), e in parziale riforma della stessa sentenza di primo grado, dichiarava l’inammissibilità della domanda azionata in primo grado da questi ultimi lavoratori.
2. Premetteva la Corte territoriale: che il primo giudice aveva rigettato le domande proposte da tutti i lavoratori allora appellanti; che detto giudice, rispetto alla domanda di impugnazione della cessione del ramo di azienda operata da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, aveva accertato l’intervenuta decadenza dei ricorrenti i quali, a fronte della cessione del ramo d’azienda operata con contratto del 2007, non avevano posto in essere alcun atto di impugnazione, né stragiudiziale né giudiziale, in data antecedente al 27.10.2017; che, quanto alla domanda di accertamento della natura illecita dell’appalto di manodopera, lo stesso giudice aveva escluso che i ricorrenti che avevano proposto tale domanda avessero provato la natura interpositoria dell’appalto anche in ragione di precedente sentenza passata in giudicato emessa dallo stesso Tribunale di Padova, che -con riferimento allo stesso contratto -aveva negato la nullità della cessione del ramo di azienda allegata da alcuni dei lavoratori allora appellanti; che il Tribunale di Padova aveva rigettato l’eccezione pregiudiziale di ne bis in idem , sollevata da RAGIONE_SOCIALE con riferimento ad alcuni ricorrenti, ma rispetto a tutti gli altri aveva ritenuto infondata l’eccezione di decadenza per mancata impugnazione dell’appalto nel termine di legge decorrente dal 31.3.2016, rilevando che il rapporto contrattuale di appalto si era estinto a marzo 2018 e quindi la proposizione della domanda era tempestiva.
Tanto premesso, circa la questione di decadenza la Corte anzitutto non condivideva le argomentazioni seguite dal primo giudice, ritenendo che la disciplina decadenziale introdotta dall’art. 32 L. n. 183/2010 anche per le cessioni di ramo di azienda non potesse trovare applicazione ai contratti conclusi in data antecedente alla sua entrata in vigore come avvenuto nel caso di specie.
3.1. In tal senso richiamava l’orientamento espresso da questa Corte Suprema in talune decisioni a riguardo, tra le quali Cass. n. 18954/2020.
Così superata la questione di decadenza, riteneva la fondatezza delle domande azionate da parte degli appellanti circa la nullità della cessione del ramo d’azienda e quindi il loro diritto al ripristino del rapporto di lavoro con la cedente RAGIONE_SOCIALE, oltre al risarcimento del danno in termini di condanna generica come richiesto in giudizio.
Quanto alla posizione di altri cinque lavoratori appellanti, andando in contrario avviso rispetto al primo giudice, riteneva fondata l’eccezione di ne bis in idem sollevata in primo grado dalla società.
5.1. In particolare, pur convenendo con il primo giudice che le conclusioni della domanda di questi appellanti, in precedente giudizio del 2009, erano state limitate all’accertamento della validità o meno della cessione del ramo di azienda del novembre 200 7, alla Corte appariva fondata l’obiezione della RAGIONE_SOCIALE secondo cui il giudice di Padova, per valutare la domanda azionata successivamente con la sentenza oggetto dell’appello al suo esame, ai fini del rigetto aveva valorizzato elementi in fatto e diritto e aveva assunto un percorso logico e
motivazionale del tutto comune a quello utilizzato nel primo giudizio per disattendere la richiesta azionata dai medesimi lavoratori, sottolineando la Corte che la sentenza del 2009 -come eccepito dall’appellante incidentale RAGIONE_SOCIALE era coperta dal giudicato.
5.3. Dopo ulteriori considerazioni, concludeva quindi che, in accoglimento del relativo motivo di appello incidentale della società, la domanda azionata dai cinque suddetti lavoratori andava dichiarata inammissibile per violazione del giudicato.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Contro la stessa sentenza hanno proposto successivo ricorso per cassazione COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo di unico motivo.
Le lavoratrici intimate rispetto al ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con unico controricorso.
A sua volta RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso al ricorso per cassazione proposto dai su indicati cinque lavoratori.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un primo articolato motivo del suo ricorso RAGIONE_SOCIALE denuncia ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 della L. 4 novembre 2010 n. 183, nella parte in cui ha ritenuto che la decadenza prevista dal comma 4 lett. c) della norma, non si applica anche alle cessioni dei contratti di lavoro ai sensi dell’art.
2112 c.c. perfezionatesi prima della data di entrata in vigore di detta legge (e con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge stessa)’.
Con un secondo motivo ex art. 360, c. 1, n. 3), c.p.c. denuncia ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui ha ritenuto che l’ipotesi di decadenza di cui all’art. 32, comma 4, lett. c) della legge 4 novembre 2010 n. 183 non si applica anche alle cessioni dei contratti di lavoro ai sensi dell’art. 2112 c.c. perfezionatesi prima della data di entrata in vigore di detta legge (e con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge stessa) ‘ .
I così riassunti motivi, esaminabili congiuntamente per evidente connessione, sono infondati.
Ritiene, infatti, il Collegio di dover confermare l’indirizzo a riguardo espresso in ormai numerose decisioni di questa Corte, e da ultimo confermato in Cass. ord., 14.7.2023, n. 20407, che ha respinto censure analoghe a quelle suddette, formulate (anche) da RAGIONE_SOCIALE in pressoché identica fattispecie.
4.1. Pertanto, anche ai sensi dell’art. 118, comma primo, disp. att. c.p.c., si farà qui riferimento a quanto osservato nella suddetta decisione.
In particolare, questa Corte, a partire dalla sentenza n. 6649/2020 (e dalle coeve Cass. n. 20240 del 2020, Cass. n. 18954 del 2020, seguite, tra le altre, da Cass. n. 23526 del 2021, relativa alla medesima cessione), ha chiarito che la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, della l. n. 183 del 2010, non si applica alle cessioni -quale è quella in oggetto -intervenute prima dell’entrata in vigore della predetta legge,
come emerge dall’interpretazione letterale della norma di carattere eccezionale -che individua espressamente il dies a quo del termine di decadenza nella ‘data del trasferimento’, nonché sul piano logicosistematico, dall’assenza, nel comma 4 dell’art. 32 citato, di disposizione analoga a quella prevista per i contratti a termine, ove invece è stata disciplinata chiaramente l ‘ipotesi anche per quelli già scaduti. In particolare è stato precisato che l’art. 252 disp. att. cod. civ. costituisce espressione del bilanciamento, che si impone in ipotesi di introduzione di un termine di decadenza prima non previsto, tra le due contrapposte esigenze: da un lato, quella di garantire l’ef ficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale e, dall’altro, quella di tutelare l’interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile; che tale bilanciamento è realizzato attraverso la previsione per cui la nuova disciplina si applica anche alle situazioni soggettive in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento alla entrata in vigore della modifica legisla tiva; che l’applicazione di detti principi richiede due condizioni: a) la prima, è rappresentata dal fatto che in precedenza non era previsto, per la fattispecie in esame, alcun termine di decadenza; b) la seconda, è costituita dal fatto che non sia disciplinata la fase transitoria tra i due regimi normativi.
5.1. Questa Corte, con la sentenza n. 6449 del 2020, nell’analizzare il testo dell’art. 32, comma 4, cit. secondo il criterio prevalente di interpretazione letterale e con particolare attenzione alla locuzione ‘con termine decorrente dalla data del trasfer imento’, al fine di accertare se potesse rinvenirsi nella disposizione suddetta ‘la individuazione della decorrenza nell’ambito operativo della norma, tale da manifestarsi appunto
quale espressione di diritto intertemporale’, al riguardo ha ritenuto che ‘il legislatore non si è limitato a specificare solo la tipologia della fattispecie contrattuale ora sottoposta a decadenza, ma individuando esattamente il termine da cui fare decorrere la stessa, ha di fatto limitato il campo di applicazione della norma unicamente alle cessioni di contratti di lavoro in cui la data del trasferimento, ex art. 2112 cod. civ., sia successiva alla data di entrata in vigore della legge n. 183 del 2010’, s ul rilievo che la suddetta precisazione, nella articolazione della norma, si ‘manifesta anche, dinamicamente, come disposizione diretta a limitare l’ambito applicativo di operatività della disposizione’ di cui all’art. 252 disp. att. c.c.; con la conseguen za che ‘la specifica indicazione del momento della data del trasferimento -deve essere intesa, pertanto, come il dies a quo del termine di decadenza, e non come fatto generatore della decadenza medesima (che è invece il tempo) e, quindi, riveste una bivalenza esegetica che lo contraddistingue sia come elemento cronologico (da cui appunto far decorrere il termine) che quale espressione di diritto intertemporale diretta a disciplinare l’applicabilità del nuovo regime rispetto ad ipotesi in precedenza non soggette a decadenza’. Si è ritenuto ‘significativo …, il riferimento che il legislatore ha fatto al concetto di ‘trasferimento’, e non a quello, per esempio, di comunicazione preventiva del provvedimento della cessione ai lavoratori ovvero omettendo addirittura alcuna specificazione, proprio per sottolineare la circostanza che è il momento traslativo ad assumere decisività ai fini della decorrenza del termine decadenziale e, quindi, come logica conseguenza, la necessità che il suo avveramento, come fatto st orico, avvenga sotto la vigenza della nuova legge’. Si è quindi affermato che alle cessioni di contratti di lavoro, ai sensi
dell’art. 2112 c.c., il cui trasferimento sia avvenuto prima della entrata in vigore della legge n. 183 del 2010, non si applichi il termine di decadenza di cui all’art. 32, comma 4 lett. c) della legge citata (v. anche Cass. n. 966 del 2021).
5.2. Secondo il Collegio, le deduzioni della ricorrente RAGIONE_SOCIALE non offrono elementi idonei ad una rimeditazione dell’orientamento, fondato su argomentazioni aderenti al dato testuale e sistematico, inaugurato da Cass. n. 6649/2020, dovendo altresì osserv arsi che una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice essa ‘ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e 2009 (art. 360 bis c.p.c., n. 1)’ (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011); invero, la ricorrente affermazione nel senso della non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto dalla Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014), atteso che, in un sistema che valorizza l’affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del contenzioso, vi è l’esigenza, avvertita anche dalla dottrina, ‘dell’osservanza dei precedenti e nell’ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti consolidati solo se giustificati da gravi ragioni’ (in termini: Cass. SS.UU. n. 1174 7 del 2019);
5.3. Infine, la questione di costituzionalità, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella specie, profilata nel secondo motivo di tale ricorso, appare manifestamente infondata atteso che non può che appartenere all’ambito riservato alla discrezionalità del legislatore ordinario, pur a
fronte della comune ratio espressa dalla disciplina in tema di decadenza dettata dall’art. 32 legge n. 183/2010, la valutazione circa i presupposti di operatività del regime decadenziale in presenza di fattispecie comunque tra loro differenziate.
Con l’unico motivo del loro ricorso per cassazione – da qualificare come incidentale, in quanto successivo a quello proposto da RAGIONE_SOCIALE -, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME denunciano ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., anche con riferimento all’art. 12 disposizioni sulla legge in generale, non essendosi formato alcun giudicato esterno con riferimento alla decisione emessa in altro giudizio in tema di applicabilità dell’art. 2112 c. c. a fronte della successiva domanda di accertamento di violazione dell’art. 29 decreto legislativo 10 settembre 2003 (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’. Secondo questi ricorrenti, infatti, la domanda che essi avevano proposto nel processo definito con la cosa giudicata e quella formulata nell’attuale procedimento ‘sono ontologicamente diverse trattandosi di due diverse cause petendi e con riferimento a periodi temporali distinti e successivi tra loro’. Inoltre, assumono che ‘anche a voler ritenere che c i possa essere un ne bis in idem tra le due domande, questo varrebbe solo per i fatti sino al 23.03.2009 non certamente per quelli successivi e futuri’.
6.1. Tale motivo è inammissibile.
Rileva il Collegio che i cinque lavoratori ricorrenti in questa sede, da un primo punto di vista, si sono limitati a dedurre che, nel ricorso introduttivo del giudizio poi definito in primo grado con la sentenza del Tribunale di Padova n. 738/2011, confermata dalla Corte d’appello di Venezia con
sentenza non impugnata, e quindi passata in cosa giudicata, essi avevano chiesto: ‘nel merito – accertarsi e dichiararsi che la cessione dei servizi di Backoffice consumer, Backoffice corporate e di gestione del credito, attuata da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e qualificata come vendita di un ramo d’azienda, ha costituito una esternalizzazione di funzioni in quanto priva dei requisiti di legge; -accertarsi e dichiararsi conseguentemente l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c.; -accertarsi e dichiararsi la nullità della cessione dei contratti di lavoro degli odierni ricorrenti, in assenza di un consenso da parte dei lavoratori interessati, dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE; – accertarsi e dichiararsi che i lavoratori, formalmente trasferiti ex art. 2112 c.c. alla RAGIONE_SOCIALE, devono ritenersi a tutti gli effetti ancora dipendenti della RAGIONE_SOCIALE; – ordinarsi quindi il ripristino e/o la ricostituzione dei rapporti di lavoro in capo alla RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE; – condannarsi la RAGIONE_SOCIALE, con decorrenza dal 9.11.2007, a corrispondere ai ricorrenti la normale retribuzione, anche accessoria, che gli stessi avrebbero percepito come dipendenti con interessi e rivalutazione monetaria’.
7.1. Non tengono conto, tuttavia, detti ricorrenti che la Corte territoriale ha considerato che nella parte espositiva del medesimo ricorso dell’anno 2009 quei lavoratori avevano allegato: ; ; .
7.2. La stessa Corte ha, quindi, evidenziato che, rispetto a tali deduzioni, il Tribunale di Padova, nella sentenza poi passata in giudicato, aveva espresso il seguente convincimento tra l’altro rilevando quanto segue: ‘… (i) <> (cfr. pag. 8 della sentenza prodotta sub doc. 6 della parte appellata); (ii) <> (cfr. ibidem ); (iii) <>. (cfr. pagg. 8-9, sentenza dimessa sub 7)’.
8. I lavoratori ricorrenti per cassazione, nella propria censura, hanno, altresì, fatto presente, per quanto qui interessa, che nell’atto introduttivo del presente giudizio, per essi era stato chiesto: ‘2) In via principale per i signori COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, … accertare e dichiarare, per le ragioni di cui alla premessa, a tutti gli effetti di legge, la violazione, da parte della convenuta RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te p.t., del D.lgs. 276/2003 e della vigente normativa in materia di appalto di manodopera e, per l’effetto, accertare e dichiarare che tra i ricorrenti e la convenuta, …, si è costituito ed è stato eseguito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indetermi nato a far data dall’assunzione presso l’interposta RAGIONE_SOCIALE ovvero con la decorrenza ritenuta di giustizia, con i medesimi inquadramenti attualmente rivestiti presso l’interposto ovvero in quelli diversi che si riterrà di giustizia, con condanna della resistente a ripristinare la funzionalità dei rapporti di lavoro con i ricorrenti e comunque ad assumerli con ogni conseguenza giuridica ed economica’.
Hanno dedotto, perciò, che tali loro richieste erano espressive di ‘una nuova domanda relativa all’accertamento di
un’interposizione fittizia di manodopera per violazione dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003′.
Osserva allora il Collegio che l’unico motivo del ricorso da qualificare come incidentale difetta dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione in una duplice prospettiva.
9.1. In primo luogo, infatti, la censura si fonda essenzialmente su un raffronto tra le conclusioni formulate nel ricorso introduttivo del giudizio poi esitato nella cosa giudicata e quelle rassegnate nel ricorso introduttivo del giudizio che attualmente ci occupa; conclusioni di cui si assume la diversità.
Nell’intero ricorso in esame, però, non si fa alcun riferimento testuale alle sentenze (di primo e di secondo grado) del precedente giudizio inter partes integranti il giudicato esterno ritenuto ostativo dalla Corte territoriale nella decisione qui gravata. Non è, per tal modo, neanche individuata la parte del provvedimento giurisdizionale passato in giudicato di cui si denuncia l’errata interpretazione.
9.2. In secondo luogo, questi ricorrenti non si confrontano con la motivazione resa a riguardo dalla Corte distrettuale.
Come si è visto , infatti, quest’ultima non ha mancato di rilevare che le conclusioni da loro formulate nel primo giudizio iniziatosi nel 2009 erano diverse da quelle dagli stessi rassegnate nel successivo procedimento.
Nondimeno, la stessa Corte, dopo aver riportato testualmente quanto i medesimi ricorrenti avevano dedotto nell’atto introduttivo del primo giudizio e, soprattutto, quanto il Tribunale aveva considerato proprio in ordine a quelle deduzioni
in punto di un appalto in realtà intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nella sentenza poi passata in cosa giudicata, è giunta alla conclusione che il giudicato così formatosi su quelle questioni era preclusivo di un rinnovato esame delle stesse (cfr. in extenso § 11-14 della sua pronuncia).
E tutti tali rilievi non sono considerati da detti ricorrenti.
La RAGIONE_SOCIALE quale ricorrente, in quanto soccombente nei confronti delle lavoratrici controricorrenti, dev’essere condannata al pagamento, in favore dei difensori delle stesse, dichiaratisi anticipatari, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
A loro volta, i ricorrenti incidentali devono essere condannati al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, quale controricorrente, delle spese di questo giudizio, liquidate come in dispositivo, e sono tenuti al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE e dichiara inammissibile il ricorso, da qualificare come incidentale, di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore dei due difensori delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 10.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario
delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Condanna i ricorrenti incidentali al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE quale controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 20.3.2024.