Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3009 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3009 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27003-2020 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 510/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/02/2020 R.G.N. 3201/2016;
Oggetto
Cancellazione elenchi lavoratori agricoli
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/10/2023
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 10.2.2020, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza la domanda di NOME COGNOME volta alla reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, da cui era stata cancellata a seguito del disconoscimento di un rapporto di RAGIONE_SOCIALE precorso dal 2003 al 2007;
che avverso tale pronuncia NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo di censura;
che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 25.10.2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l’unico motivo di gravame, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 22, d.l. n. 7/1970 (conv. con l. n. 83/1970), e 17, d.lgs. n. 124/2004, nonché dell’art. 14 prel. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la decadenza conseguente al mancato adito giudiziale nel termine di cui all’art. 22, cit., dovesse estendersi anche al silenzio rifiuto formatosi a seguito dell’impugnazione in via amministrativa che fosse avvenuta non già ai sensi dell’art. 11, d.lgs. 375/1993, ma altresì ai sensi dell’art. 17, d.lgs. n. 124/2004, come nel caso di specie era accaduto;
che, al riguardo, va premesso che l’art. 22, comma 1°, d.l. n. 7/1970, cit., stabilisce che ‘contro i provvedimenti definitivi adottati in applicazione del presente decreto da cui derivi una lesione di diritti soggettivi, l’interessato può proporre azione giudiziaria davanti al pretore nel termine di 120 giorni dalla notifica o dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza’;
che, nell’interpretare tale disposizione, questa Corte ha da tempo chiarito che l’inosservanza del termine di centoventi giorni per la proposizione dell’azione giudiziaria determina la decadenza sostanziale dell’assicurato (così, tra le più recenti, Cass. nn. 17653 del 2020 e 40780 del 2021);
che l’art. 17, d.lgs. n. 124/2004, nel disciplinare le modalità del ricorso amministrativo al RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE presso la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, stabilisce espressamente che, una volta decorso il termine di novanta giorni entro il quale il RAGIONE_SOCIALE può pronunciarsi, ‘il ricorso si intende respinto’;
che trattasi di previsione affatto sovrapponibile a quella di cui all’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 375/1993, specificamente dettato in materia di ‘ricorsi in materia di accertamento di lavoratori agricoli’, ancorché l’organo competente a pronunciarsi sia la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE presso lo SCAU; che, risultando evidente dal dato testuale dell’art. 22, d.l. n. 7/1970, cit., che la decadenza è collegata all’inutile decorso del termine di centoventi giorni dall’adozione di un ‘provvedimento definitivo’, risulta irrilevante che il ricorso amministrativo avverso il provvedimento di cancellazione sia stato proposto, ex
art. 11, d.lgs. n. 375/1993, avverso la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, oppure, ex art. 17, d.lgs. n. 124/2004, avverso il RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE presso la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE (come nella specie è pacificamente accaduto, in ossequio ad una precisa indicazione in tal senso contenuta nel provvedimento di cancellazione comunicato all’odierna parte ricorrente), atteso che il procedimento amministrativo di revisione costituisce un mero presupposto esterno della fattispecie della decadenza prevista dall’art. 22, d.l. n. 7/1970, che postula soltanto l’esistenza di un provvedimento definitivo lesivo di diritti;
che, conseguentemente, deve escludersi che l’applicazione dell’art. 22, d.l. n. 7/1970, al caso in cui il procedimento amministrativo di riesame si sia svolto con le modalità di cui all’art. 17, d.lgs. n. 124/2004, possa costituire un’applicazione analogic a della fattispecie della decadenza, ricollegandosi quest’ultima alla definitività del provvedimento di cancellazione e non già -come detto -al procedimento amministrativo di revisione in virtù del quale tale definitività è maturata;
che, proprio per ciò, risulta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata in subordine da parte ricorrente, dal momento che la decadenza dalla potestà di impugnare la cancellazione non discende affatto dal combinato disp osto dell’art. 22, d.l. n. 7/1970, e dell’art. 17, d.lgs. 124/2004, ma semplicemente dalla previsione dell’art. 22, d.l. n. 7/1970, di per sé ritenuta costituzionalmente legittima da Corte cost. n. 192 del 2005, in relazione all’esigenza
di accertare nel più breve tempo possibile la sussistenza del diritto all’iscrizione;
che il ricorso, pertanto, va rigettato;
che, non vertendosi in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali (Cass. n. 16676 del 2020), la ricorrente, soccombente, va condannata alla rifusione delle spese di lite, liquidate come da dispositivo;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del