Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17422 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17422 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24770-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 96/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 08/04/2021 R.G.N. 506/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 24770/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 15/05/2025
CC
RILEVATO CHE
NOME COGNOME impugna la sentenza n 96/2021 della Corte d’appello di Ancona che ha confermato la pronuncia del Tribunale di Fermo che aveva dichiarato inammissibile, ex art.
47, comma 2, del d.P.R. n. 639/1970, il ricorso con cui aveva chiesto dichiararsi illegittima la pretesa di INPS di ottenere, attraverso la trattenuta mensile di € 79,14 sulla pensione, la restituzione di una somma indebitamente percepita a titolo di assegno sociale dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2013.
Censura la sentenza per due motivi, cui resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 15 maggio 225, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
NOME COGNOME propone due motivi di ricorso.
I)omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia perché la Corte non ha tenuto conto che il dies a quo da cui far decorrere il termine triennale era quello della comunicazione delle trattenute sulla pensione (ossia il 26 gennaio 2015).
II)violazione di nome di diritto, segnatamente, come si ricava dal corpo del motivo, l’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970, per la medesima ragione di cui al motivo precedente (ossia decorrenza dal gennaio 2015), e l’art. 52 della legge n. 88/1989 sui limiti alla ripetizione degli indebiti.
La Corte ha così motivato l’inammissibilità: in data 11 febbraio 2014 era stato comunicato al Seghetta che negli anni 2012 e 2013 aveva percepito importi non dovuti di pensione; la comunicazione era stata fatta con Rac e perfezionata per compiuta giacenza il 3 aprile 2014; l’art. 47 del d.P.R. n.
639/1970 stabilisce che l’azione giudiziaria può essere proposta dopo l’esaurimento dei ricorsi in via amministrativa; il Seghetta avrebbe potuto proporre ricorso entro 90 gg dal 3 aprile 2014, ossia entro il 2 luglio 2014, data da cui decorrevano gli ulteriori 90 gg previsti dall’art. 46, comma 6, della legge n. 88//1989; pertanto, la data da cui calcolare la decorrenza dei tre anni di cui all’art. 47 era il 30 settembre 2014, con la conseguenza che il termine ultimo per dare inizio all’azione giudiziaria era il 30 settembre 2017 mentre il ricorso è stato depositato il 10 novembre 2017.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce e sono inammissibili.
La prima censura lamenta un vizio motivazionale per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo perché, si legge, ‘la Corte d’appello non ha tenuto conto del fatto che, vertendosi in tema di restituzione dell’indebito, il dies a quo da considerare per far decorrere il termine triennale per l’esperimento dell’azione giudiziale è necessariamente quello decorrente dalla comunicazione delle trattenute sulla pensione’. Come noto, « i n seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio
emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. n. 7090/2022 ex multis ).
Nella specie il minimo costituzionale è stato rispettato, avendo la Corte espresso in modo pianamente e pienamente comprensibile il proprio percorso argomentativo: il termine di decadenza non può decorrere dal giorno in cui il ricorrente ha ricevuto la comunicazione della trattenuta mensile ma «il dies a quo va individuato in ogni caso dalla ‘scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo’ complessivamente pari a 180 giorni, come previsto dall’art. 46, commi quinto e sesto, della legge 9 marzo 1989 n. 88 (non potendo essere computato l’ulteriore termine di 120 giorni di cui all’art. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533 in quanto la prima fase dell’iter amministrativo si era già esaurito con la comunicazione da parte dell’Inps dell’indebito da restituire) ».
Il motivo, inoltre, in parte mira a sollecitare un riesame del merito, laddove ci si duole che la Corte non avrebbe considerato il diverso dies a quo di cui alla tesi difensiva, riesame che non sarebbe neppure sollecitabile quale vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. in presenza, sul punto, di doppia conforme, in relazione alla quale, secondo il costante orientamento di legittimità, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit.) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 30295/2019 ex multis e precedenti ivi citati), mentre nel caso in esame, la prospettazione della censura conferma una totale consonanza di opinioni tra il primo e il secondo giudice, di tal
che le doglianze della ricorrente appaiono piuttosto rivolte a sollecitare un riesame del merito della causa, inibito in questa sede.
Le medesime considerazioni valgono per la parte del secondo motivo che predica una violazione dell’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970 perché la Corte avrebbe errato nella individuazione del dies a quo .
Nella parte in cui, invece, censura la pronuncia per violazione dell’art. 52 della legge n. 88/1989 il motivo non si confronta con il decisum , perché la Corte non è entrata nel merito, avendo confermato la inammissibilità del ricorso già affermata dal primo giudice.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità non fa seguito condanna alle spese, da dichiararsi irripetibili secondo quanto già statuito dalla Corte territoriale.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 c omma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Dichiara irripetibili le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.