Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14865 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14865 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27114-2019 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 390/2019 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 10/04/2019 R.G.N. 172/2017;
Oggetto
Pubblico impiego
-Procedimento disciplinare -Decadenza dall’azione disciplinare.
R.G.N. 27114/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che
La Corte di Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di prime cure, accoglieva l’appello del datore di lavoro – RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE – e rigettava la domanda proposta dal lavoratore COGNOME NOME diretta ad ottenere l’annullamento della sanzione disciplinare conservativa (sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per la durata di sei mesi) inflittagli in data 25.11.2015.
Propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi il lavoratore, assistito altresì da memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Considerato che
Con il primo motivo si denunzia ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 -bis del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 3 del Regolamento di disciplina RAGIONE_SOCIALE, per avere la Corte di Appello giudicato tempestiva la contestazione dell’11.09.2015, nonostante avesse affermato a pag. 2 della sentenza che gli accertamenti ispettivi, ritenuti necessari ai fini della contestazione, fossero stati eseguiti nel giugno del 2015. Si sostiene che se il dies a quo coincide, come affermato nella sentenza del giudice di appello, con il giugno 2015, cioè con l’effettuazione delle verifiche ispettive, sicché alla data dell’11.9.2015, il termine di quaranta giorni per la contestazione disciplinare era già scaduto, così come, del pari, alla data del 25.11.2015, era spirato il termine finale di centoventi giorni per la definizione del procedimento disciplinare.
1.1. Si afferma, quindi, la maturazione della decadenza ex art. 55bis d.lgs. n. 165 del 2001 ratione temporis vigente e dell’ art. 3 del Regolamento di disciplina RAGIONE_SOCIALE, tanto per la contestazione che per l’adozione della determina n. 68 del 2015, conclusiva del procedimento disciplinare.
Con il secondo mezzo, formulato in via gradata rispetto al primo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., si censura la sentenza della Corte territoriale per aver omesso di considerare il seguente fatto decisivo: la trasmissione, già in data 3.6.2015, da parte dell’Unità organizzativa di vigilanza al Direttore della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Reggio Calabria, delle risultanze degli accertamenti ispettivi effettuati sulle 11 aziende, poi validati retroattivamente dal dipendente, tanto evincendosi dal contenuto della relazione a firma del Direttore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di Reggio del 10.8.2015.
2.1. Si denunzia altresì che la Corte di merito non ha tenuto conto della trasmissione alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in data 17.6.2015 della relazione contenente gli esiti dell’attività investigativa sulle aziende in contestazione.
Con la terza censura, in via gradata rispetto agli altri due motivi, si lamenta ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. – la violazione dell’art. 132, comma 2, per aver la Corte di appello: a) travisato a motivazione di primo grado in punto di completezza della notizia di infrazione, con conseguente erronea ricostruzione della vicenda concreta all’attenzione; b) reso una motivazione erronea nella parte in cui richiama il processo penale, pendente a carico del dipendente all’epoca della contestazione, in alcun modo in collegamento con i fatti oggetto dell ‘addebito disciplinare.
Con la quarta doglianza si prospetta la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per non aver la Corte di appello rilevato la non contestazione da parte dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , nel giudizio di appello, di una serie di circostanze fattuali (mancanza di attività formative, disfunzioni organizzative nel reparto dove lavorava il COGNOME, assenza di personale, inviti dei dirigenti al disbrigo di affari urgenti) oggetto di discussione tra le parti ed espressamente ritenute rilevanti dalla Corte di Appello ai fini del giudizio di proporzionalità ed adeguatezza della sanzione applicata.
Il primo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza della Corte di Appello.
5.1. Il mezzo, infatti, parte da un presupposto erroneo, ovvero che la sentenza impugnata affermi che nel giugno del 2015
fosse già acquisita la notizia dell’infrazione disciplinare e che pertanto da tale momento decorressero sia il termine per la contestazione disciplinare che quello per la conclusione del procedimento con l’irrogazione della sanzione . Da tale presupposto deriva, secondo il ragionamento della parte ricorrente, il superamento dei sopraindicati termini, con conseguente decadenza dall’azione disciplinare ai sensi dell’art. 55bis d.lgs. n. 165 del 2001 nella formulazione al tempo vigente.
5.1. In realtà la sentenza, a differenza di quanto sostenuto dalla parte ricorrente in cassazione nel motivo, non àncora affatto al giugno del 2015 la conclusione degli accertamenti e delle verifiche utili alla contestazione.
5.2. Al riguardo va premesso che il Collegio condivide e ribadisce i principi già affermati dal giudice di legittimità in Cass. n. 7134 del 2017, rv. 643567-01 e – tra le altre massimate – nelle successive conformi Cass. n. 21193/2018, rv. 650142-02, nonché Cass. n. 11635/2021, rv. 661113-01, cui si intende dar seguito non essendo emerse ragioni che impongano una rimeditazione.
5.3. Va ribadito, quindi, che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (ex art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. (sentenza n. 310 del 5 novembre 2010), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione; ciò vale anche nell’ipotesi in cui il procedimento predetto abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti sui quali è in corso un procedimento penale, per cui sarebbe ammessa la sospensione del primo, e che, comunque, ai fini disciplinari,
vanno valutati in modo autonomo e possono portare anche al licenziamento del dipendente.
5.4. Ebbene, è la mera lettura della sentenza di appello nel passaggio cui fa riferimento il motivo a consentire di escludere che la Corte territoriale abbia inteso datare al giugno del 2015 l’acquisizione della ‘notizia di infrazione’.
5.5. Val la pena riportare il passo della sentenza di interesse: ‘Come correttamente evidenziato infatti dall’ente nell’atto di appello, la contestazione solo in data 11.9.2015 da parte dell’ufficio disciplinare dell’illecito non poteva prescindere dal previo accertamento, eseguito dagli organi ispettivi nel giugno dello stesso 2015, del carattere fittizio delle aziende e dei connessi rapporti lavorativi la cui iscrizione era stata de plano validata dal COGNOME (nonostante l’anomalia della notevole tardività, oltre un anno dopo, della richiesta di iscrizione rispetto alla data formale di inizio di attività) in aperta violazione delle disposizioni interne che prevedevano una istruttoria particolarmente accurata e meticolosa proprio allo scopo precipuo di contrastare il fenomeno dei rapporti lavorativi fittizi’.
5.6. L ‘interpretazione letterale e sistematica del passaggio innanzi riportato rende evidente che la Corte di Appello, lungi dal ritenere acquisita la ‘notizia di infrazione’ nel giugno del 2015, evidenzia semplicemente che al fine di procedere alla contestazione non si poteva prescindere dalla verifica degli organi ispettivi eseguiti nel giugno del 2015.
5.7. Peraltro, sulla scorta degli insegnamenti del giudice di legittimità innanzi riportati, il dies a quo per la contestazione e poi per la conclusione del procedimento disciplinare decorre dal momento in cui l’ufficio competente riceve la ‘notizia di infrazione’.
5.8. La correttezza dell’interpretazione del passaggio innanzi riportato della sentenza di appello trova peraltro riscontro nello stesso ricorso per cassazione, laddove a pag. 16 si legge: ‘l’acquisizione da parte della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di Reggio Calabria degli esiti delle indagini ispettive sulle aziende validate dal COGNOME sin dalla data del 3.5.2015, secondo quanto emerge dalla relazione del 10.8.2015 a firma dell’allora Direttore COGNOME a
Cappello’. L’attività volta all’acquisizione della ‘notizia di infrazione’ era ancora in essere, quindi, nell’agosto del 2015 . Tanto è confermato, poi, da un ulteriore passaggio del ricorso: ‘Ancora l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, nell’atto di appello richiamava la medesima circostanza del ricevimento delle risultanze ispettive ed allega la relazione del Direttore della RAGIONE_SOCIALE di Reggio del 10.8.2015′ (cfr. pag. 18)
5.9. Insomma la stessa parte ricorrente dà atto che il 10 agosto 2015 la ‘notizia di infrazione’ non era stata ancora acquisita e già se si considera detta data quale dies a quo i termini del procedimento -quaranta giorni per la contestazione e centoventi per l’irrogazione della sanzione sono rispettati atteso che la contestazione, come si è detto, è avvenuta in data 11.9.2015, quindi nel trentunesimo giorno, mentre l’irrogazi one della sanzione in data 25.11.2015, quindi nel novantaquattresimo giorno.
5.10. La ricostruzione innanzi compiuta, val la pena sottolineare, trova pieno riscontro nel controricorso dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in cui si dà atto che in data 11.8.2015 il Direttore della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Reggio Calabria, acquisiti i necessari chiarimenti del lavoratore, trasmetteva, ai sensi dell’art. 55 -bis, comma 3, d.lgs. n. 165 del 2001 ratione temporis vigente, la Relazione ispettiva e la relativa documentazione all’Ufficio dei procedimenti disciplinari dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ( cfr. controricorso pag. 15).
5.11. Conclusivamente il motivo è inammissibile in quanto, come anticipato, non si confronta con il percorso motivazionale della decisione.
Il secondo mezzo è del pari inammissibile.
6.1. L a doglianza, sollevata ai sensi del comma 1, n. 5, dell’art. 360 c.p.c., non corrisponde, infatti, al perimetro del citato n. 5 come riformulato e che richiede l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Invece, con il mezzo qui in esame la parte ricorrente, attraverso la deduzione del vizio di omesso esame mira, in realtà, ad una rivalutazione del materiale probatorio e dei fatti storici operata dal giudice di merito, nel tentativo di trasformare surrettiziamente il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito ( cfr., fra le tante, Cass. Sez. U. n. 34476/2019; Cass. n.
8758/2017). Del resto, come noto, l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati esclusivamente al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (sul punto, ex plurimis, si veda Cass. Sez. 1, n. 16056/2016, rv. 641328-01, ma anche la successiva conforme Cass. Sez. 6-5, n. 29404/2017, rv. 646976-01).
7. Non merita sorte diversa la terza censura.
7.1. Con il motivo viene dedotta la nullità della sentenza per aver la Corte territoriale travisato la sentenza di primo grado quanto all’individuazione della notizia di infrazione, così ricostruendo in modo erroneo la vicenda fattuale.
7.2. Ebbene, ricorda questo Collegio, con piena condivisione, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di motivazione, secondo cui, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., (disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, anche se i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è, però violato, si aggiunge, solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile), sicchè, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in RAGIONE_SOCIALE di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (fra le tantissime, si ricorda Cass. n. 22598/2018, rv. 650880-
01, ma anche la successiva conforme Cass. n. 7090/2022, rv. 664120-01)
7.3. Nel caso di specie, la motivazione è presente e supera ampiamente il minimo costituzionale, senza peraltro che in alcun modo possa ridondare in una ipotesi di nullità la mera ricostruzione dei fatti sulla scorta degli elementi probatori da parte del giudice di appello in senso difforme rispetto al giudice di primo grado, tale esito essendo funzionale al sistema processuale.
7.4. Quanto alla dedotta nullità della pronunzia in ragione del richiamo ad un processo penale pendente all’epoca della contestazione, la doglianza è inammissibile non solo per le ragioni espresse al punto 7.2. qui da intendersi richiamato, ma anche perché non si confronta con la ratio della decisione che ( cfr. pag. 3 della sentenza di appello) afferma l’irrilevanza del processo penale di appello pendente (e il cui esito è sconosciuto) volto ad ottenere l’assoluzione del COGNOME per gli addebiti contestatigli, in luogo della pronunzia di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione con la quale si era concluso il processo di primo grado.
7.5. Più in generale, anche con riferimento al terzo motivo, vanno ribadite, inoltre, le ragioni di inammissibilità già esposte al punto 6.1. nella parte in cui le doglianze sono surrettiziamente rivolte ad una rivalutazione del materiale probatorio, seppur sotto lo schermo della denunziata aporia tra la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado e quella operata in RAGIONE_SOCIALE di gravame.
Il residuo censorio, infine, è anch’esso inammissibile.
8.1. Come anticipato, nel quarto motivo si denunzia la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per non aver la Corte di appello rilevato la non contestazione da parte dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di una serie di circostanze fattuali, così ricostruendo erroneamente il fatto storico. Sulla base di tale assunto si ritiene la nullità della sentenza.
8.2. Del pari anche in relazione a detto mezzo valgono le osservazioni già svolte al punto 6.1. che qui si richiamano e, quanto alla nullità, gli argomenti già spesi al punto 7.2. e 7.3.
8.3. A tanto va aggiunto, in linea generale, con specifico riferimento al principio di non contestazione, che la non contestazone , se solleva la parte dall’onere di provare il fatto specificamente non contestato dall’altra, non esclude, tuttavia, che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenite ad un diverso accertamento ( cfr. in tal senso Cass. n. 16028/2023).
8.4. Conclusivamente va infine rimarcata la genericità del motivo che nemmeno evidenzia come i fatti non contestati avrebbero potuto comportare l’esclusione dell’addebito; senza sottacere che, secondo quanto emerge dalla sentenza di appello ( cfr. pag. 3), il lavoratore – a fronte della contestazione dell’addebito disciplinare per il quale era prevista la sanzione espulsiva del licenziamento senza preavviso – aveva ammesso l’addebito e di essersi comportato con leggerezza, chiedendo però di essere punito con la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione nella durata minima di dieci giorni, in luogo della misura massima di mesi sei, poi irrogata dal datore.
8.5. Ecco che il motivo, allora, solo surrettiziamente introduce il tema della nullità della sentenza, mirando, invece, a contestare la proporzionalità e l’adeguatezza della sanzione.
8.6. Anche sotto tal profilo la censura è inammissibile: non solo perché in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia (cfr. in tal senso la recentissima Cass. n. 107 del 2024, rv. 669701-01), ma soprattutto perché detto aspetto è una questione nuova e non risulta essere giammai oggetto di censura nelle fasi di merito.
8.7. Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 7.5.2024.
LA PRESIDENTE NOME COGNOME
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