Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9130 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9130 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2195-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2964/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/07/2018 R.G.N. 2945/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, in accoglimento del gravame di RAGIONE_SOCIALE ed in riforma dell’impugnata sentenza che confermava nel resto, dichiarava
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
la decadenza di COGNOME NOME dall’esercizio dell’azione di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 e lo condannava alla restituzione della somma di € 475,25 oltre accessori in favore di RAGIONE_SOCIALE nonché al pagamento delle spese del doppio grado liquidate come in sentenza.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con un motivo al quale ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Le parti hanno deposito memorie prima dell’udienza. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione.
1.- Con l’RAGIONE_SOCIALE motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 e dell’art. 2966 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto decaduto il ricorrente dall’esercizio dell’azione prevista dall’art. 29 cit., non ritenendo la diffida stragiudiziale idonea ad impedire la decadenza biennale prevista dalla norma.
2.- Il ricorso è fondato.
La Corte di appello ha affermato sul punto che, ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003, la responsabilità solidale del committente può essere attivata solo entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto; e che non sono rilevanti al fine di impedire il maturare della decadenza gli atti di diffida stragiudiziali notificati dal ricorrente prima della scadenza del biennio; sicché l’effetto impeditivo della decadenza si consegue solo con la proposizione della domanda giudiziale.
3. Per contro, secondo l’orientamento che a partire da Cass. n. 30602 del 28/10/2021 si è andato consolidando all’interno di questa Corte di legittimità, la decadenza prevista dall’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, secondo cui il committente è obbligato in solido con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori per il pagamento dei trattamenti
retributivi dovuti al lavoratore entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, è impedita anche dalla richiesta stragiudiziale di pagamento.
Alle ampie considerazioni espresse da tale ordinanza si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp c.p.c.
4.- Lo stesso orientamento, confermato con le successive ordinanze nn. 31037/2022 e 31684/2022, appare pienamente condivisibile in quanto sostenuto sia dalla lettera sia dalla ratio della normativa.
Infatti nel silenzio del legislatore, risulta più adeguato con il testo della disposizione, oltre che con la norma di carattere generale ( ex art 2966 c.c.), ritenere che la decadenza possa essere impedita non solo dal deposito del ricorso giudiziario, ma anche dal deposito di un atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente, con il quale il lavoratore chieda a quest’ultimo il pagamento di crediti di lavoro maturati nei confronti del datore di lavoro appaltatore in esecuzione dell’appalto. Né potrebbe sostenersi che ciò si traduca in un significativo vulnus alla esigenza perseguita con la previsione di una decadenza, che si sostanzia in quella di certezza, di ordine pubblico, che è alla base della regolamentazione dei diritti, tesa ad evitare che determinate situazioni di dubbio possano essere protratte al di là di tempi ragionevoli, atteso che la responsabilità del committente rimane circoscritta ad un periodo di due anni.
La soluzione patrocinata risulta, dunque, coerente con la ratio dell’istituto e non in contraddizione con la natura di termine decadenziale, avuto riguardo all’esigenza che la norma pure mira a salvaguardare, che è quella di consentire al committente di venire a conoscenza entro un termine ridotto (dalla cessazione dell’appalto), rispetto a quello di prescrizione, di rivendicazioni dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro-appaltatore, affinché a sua volta possa tutelare i propri interessi, per esempio sospendendo eventuali
pagamenti in favore dell’appaltatore, non liberando cauzioni imposte all’appaltatore, ecc.
Si può solo aggiungere che un’interpretazione restrittiva della norma, nei termini proposti dalla Corte distrettuale, finirebbe per vanificare la ‘ratio’ ispiratrice della norma che è quella ‘di assicurare un’ampia ed effettiva tutela del lavoratore’ (cfr. Cass. 7815/2022).
5.- Sulla scorta delle premesse il ricorso va pertanto accolto. Dell’impugnata sentenza s’impone, pertanto, la cassazione in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo