Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13160 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13160 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
Oggetto
Edilizia popolare ed economica -Decadenza ─ Legge reg. Umbra n. 23 del 2003 – Fattispecie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1852/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
Regione Umbria, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-controricorrente –
nonché contro
Comune di Spoleto, rappresentato e difeso dal AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia, n. 243/2020, pubblicata il 18 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 243/2020, resa pubblica il 18 giugno 2020, la Corte d’appello di Perugia ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda con cui NOME COGNOME aveva chiesto pronunciarsi, in contraddittorio con il Comune di quella città e la Regione Umbria, l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 309/2015 con la quale il Comune, in applicazione del combinato disposto dell’art. 29, comma 1, lett. c) , l.r. Umbria n. 23 del 2003 e d ell’ art. 3 comma 6 del Regolamento regionale n. 1 del 2014, ne aveva dichiarato la decadenza dall’assegnazione di alloggio di RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica sito in Spoleto per essere emersa la titolarità, in capo all’assegnataria, del diritto di proprietà di n. 3 immobili, di cui uno in particolare, sito nella provincia di Grosseto e consistente in un alloggio, categoria A2 – abitazione di tipo civile, sito nel Comune di Castiglione della Pescaia, INDIRIZZO, con una rendita catastale di € 890 , 89.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione articolando cinque motivi, cui resistono il Comune di Spoleto e la Regione Umbria, depositando controricorsi.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Il Comune di Spoleto ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 delle Preleggi , per avere la Corte d’appello ritenuto applicabile alla fattispecie in esame la l.r. Umbria n. 23 del 2003, sebbene intervenuta successivamente all’instaurazione del rapporto, con conseguente violazione del principio di efficacia delle leggi nel tempo.
Con il secondo motivo ella denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in thesi rappresentato dall’essere stato l’immobile, la cui titolarità ha costituito motivo dell’impugnata decadenza, sito in località Punta Ala, oggetto di un decreto di trasferimento nell’ambito di una procedura di esecuzione forzata.
Con il terzo motivo denuncia « violazione dell’art. 2 del D.P.R. n. 1035/1972 in combinato disposto con l’art. 117, comma 3, della Costituzione; illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, lett c). l.r. Umbria n. 23 del 2003 per violazione degli artt. 3 e 117, comma 2, della Costituzione ».
Sostiene che la normativa regionale, disciplinando in maniera differente e più restrittiva il requisito dell’impossidenza di un immobile rispetto all’art. 2 del d.P.R. n. 1035 del 1972, è costituzionalmente illegittima o comunque va disapplicata in quanto in contrasto con la normativa statale.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 della Costituzione per avere la Corte d ‘a ppello ritenuto applicabile all’immobile in esame, destinato a scopo turistico, lo stesso regime giuridico previsto nel
caso di immobile a uso abitativo.
Con il quinto motivo ella infine denuncia, ex art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29, comma 1, lett. c) della l.r. Umbria n. 23 del 2003, per essere l’alloggio considerato ostativo alla permanenza dell’assegnazione l’alloggio non ontologicamente adeguato alle esigenze abitative di un nucleo familiare.
Il primo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono infondati.
6.1. Cominciando dalle censure poste a fondamento del terzo motivo, va anzitutto rilevato che non può considerarsi risposta esaustiva alle questioni con esso poste il mero riferimento al nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni configurato dal comma 4 dell’art. 117 Cost., come sostituito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Come invero evidenziato dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 94 del 21 marzo 2007, il carattere di “trasversalità” che connota la materia della RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica, in quanto non interamente classificabile all’interno di una denominazione contenuta nell’art. 117 Cost., fa sì che essa, anche nel nuovo quadro costituzionale, si estenda su tre livelli normativi:
il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti; in tale determinazione ─ che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m) , Cost. ─ si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio RAGIONE_SOCIALE, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995;
il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica, che ricade nella materia
« governo del territorio », ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come precisato dalla stessa Corte delle leggi con sentenza n. 451 del 2006;
c) il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica di proprietà degli RAGIONE_SOCIALE o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale.
Tale tripartizione era in realtà ben nota anche con riferimento al quadro costituzionale anteriore alla riforma del Titolo V, ed aveva condotto all’affermazione ─ da considerarsi sostanzialmente valida anche nel nuovo assetto ─ secondo cui « al di fuori della formulazione dei “criteri generali” da osservare nelle assegnazioni, è attribuita alle regioni la più ampia potestà legislativa nella materia, e quindi la disciplina attinente alle assegnazioni e alle successive vicende dei relativi rapporti » (Corte cost., sentenza n. 727 del 1988).
Ciò precisato, deve nondimeno escludersi che l’art. 29, secondo comma, lett. c) , della legge reg. Umbria 28 novembre 2003, n. 23, là dove richiede ─ nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis ─ quale requisito soggettivo per l’assegnazione la « non titolarità del diritto di proprietà, comproprietà, usufrutto, uso e abitazione su un alloggio, o quota parte di esso, ovunque ubicato sul territorio RAGIONE_SOCIALE, adeguato alle esigenze del nucleo familiare » si ponga in contrasto con i « criteri generali » dettati dal legislatore RAGIONE_SOCIALE, in tal modo invadendo materia riservata alla legislazione esclusiva dello Stato, trattandosi di regola di dettaglio che non trova indicazioni incompatibili nella legislazione RAGIONE_SOCIALE.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, indicazioni di tal genere non possono invero desumersi dall’art. 2, primo comma, lett. c) , del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035.
Va anzitutto rilevato, al riguardo, che anche da tale disposizione si
ricava l’espressa considerazione della rilevanza ostativa ─ accanto alla titolarità del diritto di proprietà, di usufrutto, di uso o di abitazione nello stesso comune (o, per gli alloggi compresi in un programma comprensoriale, in uno dei comuni del comprensorio) di un alloggio adeguato alle esigenze del proprio nucleo familiare ─ anche della titolarità di uno dei detti diritti « in qualsiasi località, di uno o più alloggi che, dedotte le spese nella misura del 25%, consentano un reddito annuo superiore a L. 400.000 ».
Va inoltre rammentato che nella materia dell’RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha disposto un ampio trasferimento alle regioni delle funzioni di programmazione e di gestione, nonché di organizzazione del servizio della casa (artt. 93 e 94), facendo espressamente salve le funzioni amministrative dello Stato concernenti « la programmazione RAGIONE_SOCIALE e la ripartizione sulla sua base fra le regioni del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica, la previsione di programmi congiunturali di emergenza, nonché la determinazione dei criteri per le assegnazioni di alloggi e per la fissazione dei canoni » (art. 88 n. 13).
In coerenza con tale schema di ripartizione, la successiva l. 3 agosto 1978, n. 457, ha specificato l’ambito della competenza statale attribuendo al RAGIONE_SOCIALE, all’art. 2, comma 2, n. 2, il compito di determinare i « criteri generali » per le assegnazioni e la fissazione dei canoni.
Ebbene, il punto 3, lett. c) e d) , della delibera C.I.P.E. del 19 novembre 1981 ha espressamente indicato tra i requisiti per conseguire l’assegnazione la « non titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare, nell’ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso, nonché la non titolarità di detti diritti su uno o più alloggi, ubicati in qualsiasi località, il cui valore locativo complessivo, determinato ai sensi della l. 27 luglio 1978 n. 392, sia almeno pari al
valore locativo di alloggio adeguato con condizioni abitative medie nell’ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso ». Il comma 3 dello stesso punto 3 ha altresì precisato che detti requisiti devono essere posseduti alla scadenza del termine di presentazione delle domande e al momento dell’assegnazione e « debbono permanere in costanza del rapporto ».
La normativa regionale umbra ha evidentemente inteso conformarsi, con specificazioni che non contrastano con la ratio della legge statale, ai principi direttivi posti nella richiamata delibera del C.I.P.E. (ed in quella successiva del 13 marzo 1995) disponendo che costituisce causa di decadenza, applicabile a tutti i rapporti in corso tra l’altro e per quanto ora interessa – la perdita del requisito di impossidenza di « alloggio, o quota parte di esso, ovunque ubicato sul territorio RAGIONE_SOCIALE, adeguato alle esigenze del nucleo familiare ».
Come è evidente, il legislatore regionale, in presenza di una situazione di scarsità delle risorse abitative pubbliche, ha inteso sottoporre l’assegnazione e la successiva cessione in proprietà ad una rigida e selettiva condizione, intervenendo anche sui rapporti in atto.
A ben vedere, peraltro, la disposizione attribuisce al requisito in questione un connotato per certi versi anche meno severo di quello descritto dalle norme nazionali dal momento che, mentre da questa la possidenza di immobile ubicato « in qualsiasi località » sarebbe ostativa all’assegnazione anche se si trattasse di alloggio non adeguato alle esigenze del nucleo familiare purché tuttavia di valore locativo « almeno pari al valore locativo di alloggio adeguato con condizioni abitative medie nell’ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso », la norma regionale, operando evidentemente una sintesi o una combinazione tra i due diversi parametri, richiede che si tratti di alloggio di per sé « adeguato ».
6.2. Venendo quindi al primo motivo, se ne deve parimenti rilevare l’infondatezza.
Non può invero fondatamente invocarsi, a sostegno dell’assunto di inapplicabilità della normativa regionale in discorso, il principio generale di retroattività della legge atteso che la richiamata disciplina non ha affatto inciso sul fatto costitutivo del diritto all’assegnazione, ma si è limitata a regolare le situazioni effettuali inerenti ai rapporti in corso, che in quanto rapporti di durata non consentono di configurare un diritto degli assegnatari alla loro immodificabilità.
Non sussiste invero retroattività quando la nuova normativa disciplina situazioni e rapporti che, pur costituendo effetti di un pregresso fatto generatore, sono suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l’esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente normativa: ciò che si verifica quando siano introdotti nuovi presupposti, condizioni e facoltà per il riconoscimento di obblighi inerenti al pregresso fatto generatore, ovvero siano soppressi o limitati presupposti, condizioni e facoltà per il riconoscimento suddetto, se ancora non avvenuto definitivamente (v. Cass. n. 1876 del 2002; n. 13314 del 1999; n. 1304 del 1999; n. 8449 del 1996; Cass. Sez. U. n. 40 del 1981).
Va peraltro rammentato che anche in epoca precedente all’emanazione della legislazione regionale si riteneva in giurisprudenza che i requisiti soggettivi per conseguire l’assegnazione di alloggi di RAGIONE_SOCIALE residenziale pubblica, e segnatamente di quello indicato dall’art. 2, lett. c) , del d.P.R. n. 1035 del 1972, previsto con riferimento al momento della pubblicazione del bando, dovessero permanere per tutto il periodo del rapporto di assegnazione e sino alla cessione in proprietà dell’alloggio, e che pertanto il loro venir meno potesse costituire fatto caducativo del rapporto privatistico di locazione (Cass. n. 6586 del 1998; n. 4257 del 1997; n. 10377 del 1993; n. 8319 del 1993; n. 12106 del 1992; n. 315 del 1988).
7. Il secondo motivo è inammissibile per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. [come
sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie ratione temporis ] -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320).
Può comunque incidentalmente rilevarsi che la circostanza dedotta è, per stessa indicazione della ricorrente, collocata in data ben successiva alla determina dirigenziale di decadenza, la cui legittimità va invece valutata in relazione alle circostanze esistenti al momento in cui fu emessa e comunicata.
Il quarto e il quinto motivo, a loro volta congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono inammissibili e comunque infondati.
Essi muovono da premesse fattuali, ossia la destinazione dell’alloggio esclusivamente a scopo turistico e la sua « ontologica inadeguatezza » alle esigenze abitative di un nucleo familiare, che non trovano alcun riscontro nella ricognizione della fattispecie concreta posta a fondamento della sentenza impugnata.
Si tratta, come appare manifesto, di argomentazioni critiche dirette a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.
Per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato.
Ne discende, per il principio della soccombenza, la condanna della
ricorrente alla rifusione delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida:
in favore del Comune di Spoleto in Euro 6.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;
in favore della Regione Umbria in 4.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza