Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18212 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18212 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12537-2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 873/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/03/2020 R.G.N. 250/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
02/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
1. l a Corte d’Appello di Roma, p ronunciandosi con sentenza n. 873/2020 in sede di rinvio da questa Corte con ordinanza n. 15303/2016, ferme restando le ulteriori statuizioni (declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra NOME COGNOME e Poste Italiane per il periodo 4.7 -30.9.2001 e accertamento della sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato con decorrenza 4.7.2001) della sentenza n. 1336/2012 della stessa Corte territoriale (ossia quella cassata per quanto di ragione con rinvio), condannava Poste Italiane al pagamento in favore di NOME COGNOME dell’indennità onnicomprensiva di cui all’art. 32, legge n. 183/2010, nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi sulle somme annualmente rivalutate dalla data della sentenza (21.2.2012); condannava NOME alla restituzione in favore di Poste Italiane della differenza tra quanto corrisposto da Poste Italiane in esecuzione della predetta prima sentenza d’appello (ricomprendente in eccesso le retribuzioni successive al deposito del ricorso di primo grado), nell’importo netto come risultante da tre buste paga in atti (specificamente indicate), e l’importo dovuto alla stregua della statuizione in sede rescissoria, oltre interessi legali dal pagamento della prima somma; condannava Poste italiane al rimborso delle spese processuali, come liquidate nel dispositivo per tutti i gradi di giudizio;
2. avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui resiste la società con controricorso e successiva memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., violazione degli artt. 112, 115, 414, 416, 336, 383 c.p.c., in relazione all’art. 32 legge n. 183/2010 e omessa pronuncia su eccezioni e domande, per errata quantificazione dell’ammontare del debito restitutorio; argomenta che la Corte d’Appello, dopo aver liquidato l’entità dell’indennità risarcitoria come disposto nell’ordinanza rescindente, ha appunto condannato la lavoratrice a rimborsare a Poste Italiane l’eccedenza tra detta indennità e la somma percepita in esecuzione della sentenza di secondo grado che aveva disposto la conversione del rapporto di lavoro, al netto delle ritenute previdenziali o fiscali, ma che tale statuizione è parzialmente errata, in primo luogo perché la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sulle eccezioni e domande formulate dalla ricorrente e riguardanti: a) la non ripetibilità delle retribuzioni pagate per il periodo successivo alla conversione del rapporto di lavoro (ovvero dalla data della sentenza -21.2.2012 a quella dell’effettivo ripristino 31.3.2012); b) la decurtazione dalla somma da rimborsare dell’ammontare del TFR maturato a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni (rassegnate in data 25.11.2015) e trattenute da Poste Italiane; in secondo luogo perché la Corte d’Appello ha quantificato la somma netta corrisposta da Poste Italiane in esecuzione della sentenza di secondo grado in misura superiore rispetto a quella allegata dalla società resistente;
2. il motivo è fondato;
deve essere accolta la censura relativa all’omessa pronuncia sulle eccezioni e domande formulate dalla lavoratrice riguardanti le retribuzioni pagate per il periodo successivo alla
conversione del rapporto di lavoro e al TFR, da decurtare dal debito restitutorio, che risultano, nel ricorso per cassazione, idoneamente specificate e localizzate rispetto agli atti precedenti; il motivo è sufficientemente specifico, avendo la parte riportato non solo le conclusioni rassegnate nella memoria di costituzione nel giudizio di riassunzione -in cui rappresenta che le somme ricevute comprendevano anche le retribuzioni concernenti il periodo successivo alla disposta conversione, e, in quanto tali, non dovevano essere oggetto di restituzione -ma anche il dispositivo della sentenza della corte d’appello n. 1336/2012 (poi cassata dalla ordinanza rescindente), contenente la condanna della società al pagamento delle retribuzioni successive alla disposta conversione, sicché deve ritenersi infondata la eccezione di inammissibilità sollevata da Poste, essendo la questione entrata nel dibattito processuale;
4. a fronte di queste specifiche deduzioni, il giudice del rinvio ha omesso di statuire sulla eccezione riguardante il quantum della pretesa restitutoria avanzata dalla società, con riferimento alla dedotta irripetibilità delle retribuzioni relative al periodo successivo alla conversione del rapporto, nonché del trattamento di fine rapporto, trattandosi di questione avente una sua autonoma rilevanza e oggetto di specifiche conclusioni da parte della lavoratrice (v. punto 3 delle conclusioni della memoria di costituzione nel giudizio di rinvio);
5. al riguardo va ricordato (cfr., sul punto, Cass. n. 15208/2020) che l’applicazione dello ius superveniens non consente di ritenere assorbita la questione attinente alla spettanza delle retribuzioni maturate dopo la sentenza di conversione del rapporto, in relazione alla quale è richiesta una specifica statuizione; in senso conforme v. Cass. n. 19967/2021), e, pertanto, insuscettibile di essere assorbita
nella statuizione di condanna alla ripetizione dell’eccedenza rispetto alle somme già versate, in difetto di precisazione che quelle riferite al periodo successivo alla conversione rimanevano dovute; la ripetibilità di somme percepite successivamente alla declaratoria di conversione del rapporto di lavoro si pone in violazione dell’insegnamento secondo cui lo ius superveniens ex art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183/2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 303/2011, un ‘ indennità forfettizzata e onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cd. intermedio, dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione, sicché successivamente a detto periodo la retribuzione è dovuta e non è ripetibile (cfr., in tal senso, Cass. n. 13045/2020; cfr. anche Cass. n. 4630/2024); né risulta alcuna statuizione in relazione all’incidenza sui complessivi rapporti di dare -avere tra le parti del TFR dovuto in seguito alle successive rassegnate dimissioni;
6. l’accoglimento di tale motivo per quanto di ragione determina la cassazione della sentenza impugnata e, di conseguenza, il rinvio ad altro giudice e un nuovo regolamento delle spese in conformità ai criteri normativamente stabiliti, con conseguente assorbimento del secondo motivo, con cui vengono denunciati , ai sensi dell’art. 360, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., violazione degli artt. 91 c.p.c., 75 disp. att. c.p.c., 24 legge n. 794/1942, D.M. n. 127/2004, D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 37/2018, vizio di motivazione omessa o assente in relazione alle voci non riconosciute o riduzioni applicate rispetto alla nota spese per mancata indicazione dei criteri, parametri, scaglione di valore utilizzati nella liquidazione delle spese, nullità della relativa statuizione;
7. infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 19967/2021) in tema di spese processuali, il principio in base al quale la cassazione con rinvio anche di un solo capo di una sentenza d’appello si estende alla statuizione relativa alle spese processuali trova applicazione anche in caso di cassazione della sentenza pronunciata dal giudice di rinvio; in tale ipotesi, ogni censura che sia proposta in sede di legittimità contro la disciplina delle spese data dal giudice di rinvio resta assorbita dall’accoglimento della censura sul merito della relativa decisione, con la conseguenza che il giudice che deve decidere sulla questione accolta con la cassazione della sentenza impugnata è tenuto a pronunciarsi anche sulle predette spese (Cass. n. 15998/2003); tanto in virtù del principio del cd. effetto espansivo, previsto dall’art. 336, primo comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 19305/2005, n. 6908/2023);
8. conclusivamente il primo motivo di ricorso va accolto, con assorbimento del secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e il giudizio va rinviato al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo alla quantificazione del debito restitutorio e liquidando anche le spese, incluse quelle del presente giudizio;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 2 aprile 2025.
La Presidente
dott.ssa NOME COGNOME