Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24524 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 5328/2021
promosso da
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata a Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
Comune di Palagiano , in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce -Sezione Distaccata di Taranto n. 201/2020, pubblicata il 15/07/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2024 dal Cons. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione datato 26/03/2018, il Comune di Palagiano proponeva appello avverso la sentenza n. 2688/2017, emessa dal Tribunale di Taranto, con cui, in accoglimento della domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, era stato condannato al pagamento della somma di € 41.679,36 oltre accessori e spese di lite, quale residuo credito per lavori urgenti effettuati in favore dell’ente, in assenza di impegno di spesa deliberato nelle forme di legge ovvero successivamente approvato come debito fuori bilancio.
L’appellata, nel costituirsi, chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del gravame ex art 342 c.p.c. e nel merito concludeva per il rigetto dell’impugnazione, per avere il Comune implicitamente riconosciuto l’utilità dei lavori effettuati ed in gran parte già pagati senza alcuna obiezione.
La Corte d’appello, respinta l’eccezione di inammissibilità del gravame, accoglieva l’impugnazione, con integrale riforma dell’impugnata sentenza e finale rigetto della domanda di pagamento proposta dalla società.
La Corte rilevava che l’accoglimento della domanda attrice era stato motivato da una interpretazione del combinato disposto degli artt. 191 e 194 TUEL non conforme alla giurisprudenza consolidata, avendo il primo Giudice ritenuto che le menzionate norme dovessero essere coordinate nel senso che, a prescindere dal riconoscimento del debito fuori bilancio, il Comune è comunque tenuto a rispondere direttamente dei lavori urgenti autorizzati in assenza di regolare impegno di spesa, purché implicitamente accettati e riconosciuti, o riconoscibili, quali opere di pubblica utilità.
Secondo la Corte di merito, invece, qualora la fornitura sia ordinata dall’ente locale in assenza di impegno di spesa assunto nelle forme di legge, insorge un rapporto obbligatorio tra il fornitore ed il pubblico funzionario che l’abbia consentita, con la conseguenza che il terzo può agire esclusivamente nei confronti di quest’ultimo, senza che sia ammessa, per difetto del requisito della sussidiarietà, l’azione
di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. nei confronti dell’ente, che può assumere su di sé l’obbligazione, riconoscendola quale “debito fuori bilancio”, in modo esplicito e nelle forme di legge previste dall’art. 194 TUEL, senza che tale riconoscimento possa essere desunto dal mero comportamento degli organi rappresentativi della Amministrazione.
Per i lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale ed imprevedibile (come avvenuto nel caso di specie, essendosi verificate nell’agro di Palagiano le alluvioni del 78-9 ottobre 2005), la Giunta, qualora i fondi previsti in bilancio si dimostrino insufficienti, entro venti giorni dall’ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile del procedimento, sottopone al Consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall’art. 194, comma 1, TUEL, prevedendo la relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è adottato entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta da parte della Giunta e comunque entro il 31 dicembre dell’anno in corso, se a tale data non è scaduto il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è data contestualmente all’adozione della delibera consiliare. Ai sensi dell’art. 194 TUEL, con deliberazione consiliare di cui all’art. 193, comma 2, TUEL gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da acquisizioni di beni e servizi in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191, nei limiti dell’utilità e dell’arricchimento accertati.
Secondo la Corte, dunque, la pubblica utilità ovvero l’arricchimento da parte dell’ente, ai fini dell’impegno di spesa quale “debito fuori bilancio”, che obbliga direttamente la P.A. al suo pagamento, assume rilievo solo nelle forme e nei limiti di cui al citato art. 194 TUEL e non può essere valutata dal Giudice nell’ambito di un giudizio intrapreso dal fornitore nei confronti dell’ente, sia mediante l’azione
di pagamento contrattuale (che va invece proposta nei confronti del pubblico funzionario), sia mediante l’azione d’indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. (improponibile per difetto di sussidiarietà).
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE formulando cinque motivi di ricorso.
Il Comune si è difeso con controricorso.
Il ricorso è stato inizialmente assegnato alla Seconda Sezione Civile, ma, con decreto del Consigliere delegato dal Presidente titolare, il 16/05/2023, è stato trasmesso alla Prima Sezione civile.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio, la ricorrente ha depositato memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità del procedimento di secondo grado e della relativa sentenza n. 201/2020 della Corte d’appello, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per intervenuta acquiescenza del Comune di Palagiano alla sentenza n. 2688/2017 del Tribunale di Taranto, con conseguente cessazione della materia del contendere in ordine ai motivi di impugnazione proposti dall’Ente Pubblico avverso la sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché dell’art. 2041 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello valutato l’operatività dei presupposti per far valere la pubblica utilità o l’arricchimento da parte dell’ente, mentre invece la società aveva agito per ottenere l’adempimento di una prestazione contrattuale.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 191, comma 4, lett. e, e 194 TUEL, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso qualsivoglia responsabilità da parte del Comune di Palagiano in ordine ai lavori urgenti eseguiti dalla impresa ricorrente, sul
presupposto errato dell’assenza di una specifica deliberazione di riconoscimento del debito, mentre invece era presente l’impegno di spesa e la copertura di bilancio, tenuto conto della deliberazione della Giunta regionale n. 85/2007, che aveva riconosciuto al Comune un contributo di € 766.000,00, e della determina n. 269/2008 del Comune, che dava atto della corresponsione dell’ importo di € 225.000,00 da imputare al ‘Cod. 4.00.00.05 -Cap. 9005.2 -Servizi per conto calamità naturali’ e nel contempo precisava che la ricorrente era ancora creditrice dell’ importo di € 41.679,36 .
Con il quarto motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame da parte del Giudice di secondo grado della determina n. 269 del 4/11/2008 del Comune di Palagiano, pure acquisita agli atti, in violazione dello art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non avendo tenuto conto che la menzionata determina del Comune dava atto della corresponsione da parte della Regione del contributo di € 225.000,00 , nel contempo precisando che la spesa per le opere di ripristino per la calamità del 6 -7 -8 ottobre 2005 risultava coperta con il contributo della Regione e che era prevista la copertura nel bilancio 2008 (Cod. 4.00.00.05 -Cap. 9005.2 -Servizi per conto calamità naturali).
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in ordine alle spese della lite, che devono seguire la soccombenza, in conseguenza dell’auspicato accoglimento delle precedenti censure.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile per due ordini di ragioni.
In primo luogo, la censura si fonda sulla prospettazione, per la prima volta in sede di legittimità, di fatti e comportamenti che non risultano essere stati sottoposti al vaglio della Corte d’appello.
La ricorrente, infatti, non ha dedotto di avere rappresentato la questione dell’intervenuta cessazione della materia del contendere per la ritenuta acquiescenza tacita alla sentenza di primo grado nel
corso del giudizio di appello, deducendo per la prima volta in sede di legittimità fatti verificatisi al di fuori del processo, supportati da documenti inammissibilmente prodotti per la prima volta in cassazione, anche se formati in pendenza del giudizio di appello.
In secondo luogo, la doglianza si pone in contrasto con una giurisprudenza costante di questa Corte, secondo la quale l’adeguamento alle statuizioni di una sentenza esecutiva non costituisce acquiescenza alla stessa e pertanto non si configura come comportamento idoneo ad escludere l’ammissibilità dell’impugnazione (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18187 del 28/08/2007; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13429 del 1/06/2010).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente non ha attinto la ratio della decisione della Corte d’appello, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla RAGIONE_SOCIALE, ha espressamente statuito sull’azione di adempimento contrattuale formulata, escludendone l’esperibilità, e, poi, ha semplicemente aggiunto che non era esperibile neppure l’azione ex art. 2041 c.c. per difetto di sussidiarietà, precisando a pagina 5 della sentenza impugnata quanto segue: «Ne consegue che la pubblica utilità ovvero l’arricchimento da parte dell’Ente, ai fini dell’impegno di spesa quale “debito fuori bilancio”, che obbliga direttamente la P.A. al suo pagamento, deve essere necessariamente assunto nelle forme e nei limiti di cui al citato art. 194 TUEL e non può certo essere ritenuto dal Giudice nell’ambito del giudizio intrapreso dal terzo fornitore nei confronti dell’Ente, sia (come è stato nella specie) sub specie di azione di pagamento contrattuale, che va invece proposta nei confronti del pubblico funzionario, che di indebito arricchimento ex art 2041 c.c., improponibile per difetto della sussidiarietà”» .
Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura è prospettata come violazione di legge, ma la doglianza riguarda la valutazione in fatto delle risultanze di causa.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato oggetto di discussione tra le parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/04/2014).
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 61, Ordinanza n. 22397 del 6/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 8/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché ha determinato l’esito del giudizio.
Già la giurisprudenza formatasi sull’interpretazione del vecchio testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. affermava che per aversi un ‘punto decisivo’ è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, affermando che il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di
certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato (v. ad esempio Cass., Sez. L, Sentenza n. 10156 del 26/05/2004).
Il principio si ritrova in numerose decisioni anche dopo la riforma del 2012 (così Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018 e Cass., 21223 del 27/08/2018).
La decisività presuppone, dunque, un giudizio prognostico rigoroso sulla incidenza del fatto omesso nella complessiva valutazione del giudice.
Non integrano, invece, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/ 2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 6/09/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Per gli stessi motivi, non costituisce omesso esame, nei termini appena indicati, la mancata valutazione di domande o di eccezioni, ovvero dei motivi di appello (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29952 del 13/10/2022).
Il vizio attiene solo alle questioni di fatto, non anche alle questioni di diritto, il cui omesso esame non può mai dar luogo alla cassazione della sentenza in virtù di tale censura.
L’omesso esame di elementi istruttori acquisiti al processo non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora non si risolva nella mancata valutazione di un fatto, come sopra definito, da ritenere decisivo per la statuizione assunta (v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/04/2014, ove si afferma che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; conf. da ultimo Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024).
Tenendo in conto, dunque, le previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. richiede l’indicazione del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/04/2014).
Ovviamente, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione, con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/ 2022).
Rimane, infatti, estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. non con-
sente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
5.2. Nel caso di specie, la ricorrente ha dedotto che in atti vi era la determina n. 269 del 04/11/2008 del Comune di Palagiano, la quale dava atto della corresponsione da parte della Regione del contributo di € 225.000,00, precisando che la spesa per le opere di ripristino per la calamità del 6 -7 -8 ottobre 2005 era coperta con il contributo della Regione e che era prevista la copertura nel bilancio 2008 (Cod. 4.00.00.05 -Cap. 9005.2 -Servizi per conto calamità naturali).
La menzionata parte non ha, tuttavia specificato, come avrebbe dovuto, quando e dove la menzionata determina sia stata prodotta, né ha riportato il testo della stessa.
Inoltre, la stessa parte non ha illustrato le ragioni della ritenuta decisività dei fatti veicolati da tale documento, posto che ciò che rileva ai fini della decisione non è che il Comune avesse la disponibilità di denaro per sostenere le spese di ripristino in conseguenza della menzionata calamità, ma che la spesa riferita all’acquisizione dei lavori della società fosse stata riconosciuta come legittima ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e, TUEL.
Il quinto motivo di ricorso va respinto, in conseguenza del mancato accoglimento delle precedenti censure.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite sostenute dal controricorrente che liquida in € 5.000,00 per compenso oltre € 200,00 per esborsi e accessori di legge; d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione