Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23564 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23564 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6013/2021 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocata COGNOME (CODICE_FISCALE con domicilio digitale EMAIL
-ricorrente-
contro
COMUNE DI ASSISI, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL e EMAIL;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI PERUGIA n. 547/2020 depositata il 30/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2025 dalla consigliera NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
La Corte d’appello di Perugia, con la sentenza n. 547 del 19.11.2020, pubblicata in data 30.11.2020 e notificata in data 22.12.2020, ha – per quanto ancora di interesse in questa sede respinto il gravame proposto dall’architetto NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Perugia che aveva rigettato le domande dal medesimo proposte nei confronti del Comune di Assisi in un procedimento nel quale erano state evocate in giudizio anche le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Con l’atto di citazione l’attore aveva chiesto la condanna del Comune al pagamento, a titolo di prestazioni professionali, della somma complessiva di £ 1.332.701,699 pari ad euro 688.282,98, in forza della convenzione di affidamento di incarico professionale del 15.2.1989, debitamente autorizzata, e relativa al progetto tecnico esecutivo per il consolidamento e restauro del palazzo COGNOME, sito in Assisi, e redatto insieme ad altro professionista.
Aveva allegato l’attore che il Comune, dopo il completamento del primo stralcio dei lavori, gli aveva corrisposto solo un acconto, non provvedendo a versare alcuna altra somma sino alla delibera n. 155/1991, nella quale aveva riconosciuto il debito in favore del professionista, consistente però in una somma fuori bilancio, la cui copertura finanziaria era stata individuata nella cessione di un altro immobile appartenente al medesimo Comune.
Tuttavia, nessun pagamento era stato eseguito anche dopo tale delibera, e nonostante egli avesse ricevuto ulteriori incarichi; senonché, con delibera del 22.06.1996, la Giunta municipale aveva stabilito la riduzione degli importi indicati nella precedente delibera n. 155/1991.
5. Nel giudizio di primo grado veniva esperita CTU e, dopo l’interruzione e l’annullamento del giudizio di primo grado conclusosi in prima battuta con una decisione in rito, poi annullata dalla Corte d’appello, il Giudice di primo grado aveva accolto l’eccezione di nullità della delibera n. 155/1991, proposta dal Comune di Assisi ai sensi dell’art. 23 del d.l. n. 66/1989 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale) conv. con mod. in legge n. 144/1989, per l’assenza della relativa copertura finanziaria.
6. Inoltre, il Tribunale aveva rilevato che con delibera n. 291/ 1996 l’Amico aveva ricevuto il pagamento della somma di £ 424.830.000, effettuato nell’ambito di una prospettata transazione, cui, però, lo stesso non aveva aderito, accettando detta somma soltanto a titolo di acconto sul maggior dovuto. Il Tribunale nella sentenza aveva specificato che la maggior somma richiesta dall’Amico rispetto a quella pagata ammontava ad euro 326.472,06, affermando, al contempo, che la copertura finanziaria doveva derivare dalle risorse dell’ente pubblico immediatamente disponibili e che quelle indicate nella delibera n. 155/91 avevano un valore meramente ipotetico, con la conseguenza che rispetto ad essa il contratto stipulato dal Comune con i professionisti era affetto da nullità.
Aveva precisato altresì il Tribunale che l’architetto avrebbe dovuto rivolgere le sue domande nei confronti dei funzionari che avevano operato in tal senso e consentito l’esecuzione delle prestazioni professionali, essendo comunque preclusa nei confronti dello ente l’azione di ingiustificato arricchimento, e non essendo possibile qualificare la domanda in termini di azione surrogatoria, i cui presupposti erano diversi da quelli dell’azione di arricchimento senza causa. In ogni caso, il Tribunale aveva ritenuto che la complessiva somma di euro 424.830,00, liquidata dal Comune in favore dell’attore con le delibere nn. 621/95 e 291/1996, munite di regolare copertura finanziaria, soddisfaceva il professionista anche in rapporto
agli accessori, interessi e rivalutazione decorrenti dalla convenzione di incarico del 1989 o dalla delibera del 1981, spettando al professionista soltanto gli interessi derivanti dalle ultime delibere e sino al momento del pagamento.
Tale decisione veniva gravata dall’Amico sulla base di tre motivi, il primo riguardante la statuizione del primo Giudice secondo la quale il riconoscimento del debito avvenuto da parte del Comune con la delibera n. 155/1991 non poteva vincolare l’Amministrazione. Deduceva in proposito l’appellante, sulla base del richiamo alla disciplina introdotta con il d.l. n. 66/1989 conv. con legge n. 144/1989, che il contratto era valido perché regolarmente redatto per iscritto e in forza della delibera n. 155/1991, che non era nulla ma valida ed efficace, come tale idonea a costituire fonte di obbligazione per la Pubblica Amministrazione nei confronti del professionista, sicché doveva ritenersi che il contraente avesse riconosciuto il debito senza copertura finanziaria, nell’ambito della facoltà di sanatoria introdotta dall’art. 24 del suddetto d.l. n. 66/1989.
La Corte d’appello respingeva l’impugnazione, evidenziando come il Comune di Assisi avesse già provveduto ad erogare la somma dovuta per l’esecuzione dei lavori, e come l’art. 24 del d.l. n. 66/1989 cit. fosse stato applicato dal Comune con la delibera n. 921/95 e con la delibera n. 291/96, che, pur riducendo gli importi pretesi, avevano disposto la liquidazione delle somme spettanti all’attore. Poiché nessuna delle due delibere era affetta da nullità, essendo entrambe munite della relativa copertura finanziaria, la Corte d’appello riteneva di condividere la conclusione del giudice di primo grado circa il difetto di legittimazione passiva del Comune in rapporto alle maggiori somme richieste anche a titolo di accessori, atteso che quei crediti potevano essere azionati soltanto nei confronti degli amministratori che avevano operato in assenza di copertura finanziaria, richiamando a tal fine la giurisprudenza di que-
sta Corte in merito al rigetto della domanda di arricchimento indebito (Cass. n. 21010/2018).
Con ulteriore motivo di impugnazione si contestava il rigetto della domanda di arricchimento senza causa per la mancata applicazione dell’art. 194 del d.lgs. n. 267/2000 T.U.E.L., possibile in via retroattiva in forza dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 266/2000, secondo la quale la responsabilità diretta del funzionario per debiti fuori bilancio sussiste solo limitatamente a debiti fuori bilancio non riconoscibili. Ad avviso dell’appellante sia la delibera n. 921/95 sia la delibera n. 115/91, contenenti entrambe riconoscimento di debiti fuori bilancio in favore dell’Amico, consentivano di riferire all’ente i servizi resi e risultati utili al Comune anche se erogati senza alcuna previsione di spesa in bilancio.
Sul punto la Corte territoriale ribadiva le considerazioni svolte in merito al primo motivo di gravame, rigettando la doglianza.
Con un terzo motivo si lamentava il mancato riconoscimento del debito residuo per prestazioni rese prima del 1991, pure rigettato dalla Corte distrettuale.
La cassazione della sentenza d’appello, notificata il 22.12. 2020, è chiesta dall’Amico con ricorso notificato il 19.2.2021 ed affidato ad un unico motivo, cui resiste il Comune di Assisi con controricorso, illustrato da memoria.
Sono rimaste intimate le società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo si deduce (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod. civ. e del d.lgs. n. 267/2000, art. 191, comma 4, e art. 194, comma 1, lett. e).
14.1. Lamenta parte ricorrente che la sentenza d’appello, pur avendo accertato la sussistenza di delibere dell’ente locale che riconoscevano l’utilità della prestazione professionale, abbia dichiarato la carenza di legittimazione passiva del Comune in ordine alla domanda di pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 cod. civ., per difetto del presupposto di sussidiarietà previsto dall’art. 2042 cod. civ. In tal modo, la sentenza, pur accertando che il Comune ha riconosciuto l’utilità delle prestazioni professionali, ha legittimato la diminuzione unilaterale da parte dell’ente locale dei compensi domandati dal professionista.
14.2. Il ricorso è infondato.
14.3. Sulla questione sollevata dal ricorrente, è stato anche di recente chiarito che in tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni contratte non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, sicché resta esclusa, per difetto del requisito della sussidiarietà, l’azione di indebito arricchimento nei confronti dell’ente, il quale può, comunque, riconoscere a posteriori il debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, con apposita deliberazione dell’organo competente, che riconosca l’utilità dell’arricchimento (cfr. Cass. 12946/2025).
14.4. Ne consegue che, potendo il terzo interessato agire nei confronti del funzionario, per la mancanza dell’elemento della sussidiarietà, non è ammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente locale, il quale può soltanto riconoscere a posteriori , ex art. 194 d.lgs. n. 267 del 2000 – nei limiti dell’utilità dell’arricchimento puntualmente dedotto e dimostrato – il debito fuori bilancio. Tale riconoscimento deve avvenire espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto dal mero comportamento degli organi rappresentativi dell’ente, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere
generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico – finanziaria dell’ente e con le scelte amministrative (cfr. Cass. 30109/2018).
14.5. Si è in tale modo consolidato il principio che il riconoscimento di un debito fuori bilancio, ex art. 5 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 342, poi trasfuso nell’art. 194, comma 1, lett. e), del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, costituisce un procedimento discrezionale che consente all’ente locale di far salvi nel proprio interesse – accertati e dimostrati l’utilità e l’arricchimento che ne derivano, per l’ente stesso, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza – gli impegni di spesa per l’acquisizione di beni e servizi in precedenza assunti tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di copertura contabile, ma non introduce una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi – come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta ad substantiam -né apporta una deroga al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento di cui all’art. 23 del d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144 .
14.6. A questi principi interpretativi si è conformata la pronuncia impugnata, riconoscendo la legittimità del riconoscimento operato con le delibere n. 921/95 e n. 291/96, che, pur riducendo gli importi pretesi, avevano disposto la liquidazione delle somme spettanti all’attore, al contempo precisando che il maggior importo preteso avrebbe potuto essere azionato soltanto nei confronti degli amministratori che avevano operato in assenza di copertura finanziaria, e dichiarando l’inammissibilità dell’azione di arricchimento senza causa per difetto di sussidiarietà.
15. Il ricorso va dunque respinto.
16. In applicazione del principio di soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
17. Sussistono i presupposti processuali per il versamento ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27/06/2025.