Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27736 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23749/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE (PA), elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente ricorrente incidentale-
avverso della sentenza di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 991/2019 depositata il 14/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.10.2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 15.6.1994 la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito, semplicemente, RAGIONE_SOCIALE) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Termini Imerese il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la risoluzione per inadempimento, nonché il risarcimento dei danni, con riferimento al contratto di appalto con esso stipulato in data 18.12.1992, avente ad oggetto i lavori di restauro della chiesa di San Michele Arcangelo, previa disapplicazione della delibera n.83 del 14.4.1994, con cui il RAGIONE_SOCIALE aveva disposto la rescissione del contratto in danno dell’impresa appaltatrice.
Si è costituito in giudizio il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo la legittimità della disposta rescissione e chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento dei danni.
Con sentenza non definitiva del 18.9.2006 n.329 il Tribunale ha dichiarato risolto il contratto di appalto per colpa esclusiva del RAGIONE_SOCIALE e lo ha condannato a pagare alla COGNOME la somma di € 11.475,20, oltre rivalutazione e interessi legali, a titolo di risarcimento del danno; contestualmente il Tribunale ha disposto la rimessione della causa sul ruolo per l’istruttoria della domanda relativa al pagamento del compenso contrattuale per i lavori eseguiti dall’impresa.
Con sentenza definitiva n.2 dell’8.1.2013 il Tribunale ha condannato il RAGIONE_SOCIALE a pagare alla COGNOME l’ulteriore somma di € 13.662,47 a titolo di compenso per le opere eseguite, nonché al
pagamento dei due terzi delle spese processuali, per il resto compensate.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso la sentenza definitiva 2/2013, chiedendo, in sua parziale riforma, la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento di interessi e rivalutazione sulle somme riconosciute e al ristoro di ulteriori voci di danno, quantificate dal consulente tecnico in primo grado, nonché l’integrale rimborso delle spese di lite.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito al gravame, chiedendo la conferma della sentenza appellata.
La Corte di appello di Palermo con sentenza n.991 del 14.5.2019, in accoglimento dell’appello, ha condannato il RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della COGNOME della complessiva somma di € 238.215,69, oltre interessi legali dalla data della decisione sino al pagamento, nonché alla rifusione integrale delle spese del doppio grado di giudizio, incluse quelle di consulenza tecnica.
6. Secondo la Corte di appello:
nella domanda iniziale la COGNOME aveva chiesto la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, ma non aveva dedotto l’esecuzione parziale delle lavorazioni e non aveva chiesto il relativo pagamento;
in corso di causa la COGNOME aveva insistito per il risarcimento del danno da lucro cessante e non del danno emergente;
solo con la comparsa conclusionale del 4.4.2005, dopo aver precisato le conclusioni di cui all’atto introduttivo, la COGNOME ha prospettato, per la prima volta, un danno emergente e ha chiesto la sua determinazione equitativa sulla base dell’importo dei lavori aggiudicati, del ribasso offerto e delle opere eseguite alla data di rescissione;
era stato così ampliato il petitum , ferma restando la causa petendi , oltre la soglia preclusiva della precisazione delle conclusioni nel processo soggetto al rito anteriore alla novella della legge n.353 del 1990;
il Tribunale con la sentenza non definitiva del 2006 aveva indicato fra le domande attoree anche quella di pagamento dei lavori eseguiti, in tal modo ritenendo implicitamente ammissibile l’ampliamento della domanda originaria;
la sentenza non definitiva non era stata impugnata, né gravata da riserva di appello;
la modifica attuata dalla COGNOME costituiva mera emendatio libelli, in quanto ampliativa della richiesta risarcitoria anche al danno emergente;
circa tale ampliamento il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva accettato il contraddittorio;
la sentenza definitiva aveva invece qualificato il predetto ampliamento non come mera emendatio , ma come proposizione di domanda nuova, e aveva escluso che il compenso per i lavori eseguiti potesse rappresentare voce della più generale domanda risarcitoria;
tuttavia, in conseguenza della disposta risoluzione, nulla sarebbe stato possibile corrispondere all’impresa a titolo di adempimento contrattuale;
pertanto la somma di € 13.662,47 doveva essere riconosciuta a titolo risarcitorio, con la conseguente applicabilità della rivalutazione monetaria a far data dalla consolidazione del danno (5.10.1993) e il riconoscimento degli interessi compensativi sulla somma progressivamente rivalutata;
poiché con la sentenza non definitiva, non impugnata, era stato liquidato il danno da lucro cessante, nulla invece poteva essere riconosciuto a tale titolo per ulteriori voci alla
COGNOME, anche se il consulente tecnico ne aveva accertato la sussistenza;
al contrario, ben potevano essere riconosciute alla RAGIONE_SOCIALE le voci di danno emergente accertate dal C.t.u. (esborso improduttivo per spese generali per € 10.562,52; materiali giacenti in cantiere per € 6.899,12; valore economico dei mezzi d’opera non restituiti al novembre 1993 per € 70.478,75);
e quindi in tutto € 76.465,19, al netto dell’anticipazione ricevuta in sede di stipulazione, con rivalutazione e interessi;
non vi era soccombenza parziale e spettava quindi alla COGNOME l’integrale rifusione delle spese di lite.
Avverso la predetta sentenza, notificata in data 15.7.2019, con atto notificato il 12.7.2019, ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, svolgendo sei motivi.
La COGNOME ha proposto controricorso e ricorso incidentale condizionato, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione, se del caso previo accoglimento dell’unico motivo di ricorso incidentale condizionato.
La controricorrente ha sollecitato la fissazione dell’udienza e ha presentato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.5, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt.2909 c.c. e 324 c.p.c. e omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.
8.1. Il RAGIONE_SOCIALE ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia erroneamente ampliato il tema dell’indagine fissato dalla prima sentenza non definitiva del Tribunale di Termini Imerese, ritenendo
di poter includere anche statuizioni che sarebbero state implicitamente comprese nel thema decidendum .
Secondo il ricorrente, la prima sentenza non definitiva del Tribunale aveva interamente cristallizzato le domande proposte dalla COGNOME e bene aveva fatto il Tribunale con la sentenza definitiva, riformata dalla Corte territoriale, ad opinare in questo senso.
Il RAGIONE_SOCIALE prospetta che -diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di appello – la domanda relativa ai lavori eseguiti era stata proposta dalla RAGIONE_SOCIALE sin dall’atto introduttivo .
Il RAGIONE_SOCIALE ritiene inoltre irrilevanti le argomentazioni della Corte di appello circa la natura della modifica apportata dalla RAGIONE_SOCIALE alle sue domande (mera emendatio e non mutatio ) e la natura dell’indennizzo per lavori eseguiti (risarcimento del danno emergente e non corrispettivo contrattuale), poiché tali circostanze non influivano in alcun modo sul fatto che la sentenza non definitiva non impugnata avesse determinato la formazione del giudicato sulle domande della parte attrice (ricorso, pag.12-13).
8.2. Il motivo è evidentemente inammissibile nella parte in cui prospetta una censura per vizio motivazionale ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5, c.p.c., in assenza di specifica individuazione di fatti storici decisivi il cui esame sia stato omesso dalla Corte di appello, tanto più che in realtà il RAGIONE_SOCIALE ricorrente si duole di una pretesa violazione del giudicato interno, che si risolve in violazione di legge.
8.3. Effettivamente, quanto all’esame del motivo sotto questo diverso profilo (violazione del giudicato interno derivante dalla prima sentenza non definitiva del Tribunale di Termini Imerese), le distonie incidentalmente rilevate dal ricorrente rispetto all’opinione espressa dalla Corte palermitana circa la natura del vizio processuale e il tipo di responsabilità addebitatagli sono irrilevanti.
Quel che conta – secondo il ragionamento del RAGIONE_SOCIALE -è che la predetta sentenza non definitiva, non impugnata da
nessuna delle parti e perciò transitata in cosa giudicata, avrebbe inteso esaurire la pronuncia sulle domande proposte dalla COGNOME, sicché correttamente il Tribunale nella sentenza definitiva avrebbe preso atto di tale situazione processuale e invece erroneamente la Corte adita con il successivo gravame l’avrebbe ignorata.
La censura così articolata presenta tuttavia profili di inammissibilità commisti a profili di infondatezza.
8.4. Da un lato, il ricorrente non indica a quali specifiche domande accolte dalla Corte faccia riferimento, dall’altro e soprattutto il ricorrente non trascrive la sentenza non definitiva del Tribunale e si limita a riportarne il dispositivo e un breve stralcio, incompleto, di motivazione.
8.5. D’altro canto, l’interpretazione della portata del giudicato, sia esso interno od esterno, va effettuata alla stregua di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, potendo farsi riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione (Sez. L, n. 21165 del 7.8.2019).
8.6. Inoltre il ricorrente si limita a prospettare, peraltro genericamente ut supra, alcuni elementi indiziari, che definisce « inequivocabili e fortemente indicativi », secondo cui la pronuncia non definitiva aveva investito l’intero petitum dedotto in giudizio e aveva determinato il rigetto dell’intera pretesa risarcitoria, sicché si giustificava la prosecuzione del processo solo per l’indennizzo dei lavori eseguiti.
Le considerazioni in questione (espresso riferimento all’art. 345 e all’art.41 d.p.r. 1063/1962; la sottolineatura della circostanza che il RAGIONE_SOCIALE non aveva pagato i lavori eseguiti; il fatto che la sentenza aveva inteso statuire in accoglimento delle domande avanzate
dall’impresa) paiono però del tutto inidonee a determinare le conseguenze che ne vorrebbe ritrarre il RAGIONE_SOCIALE; ciò tanto più che la sentenza non definitiva aveva certamente ritenuto che la domanda attorea non era stata ancora integralmente esaminata, almeno sul punto del compenso dei lavori eseguiti, per cui aveva esplicitamente manifestato la necessità che si procedesse alla relativa istruttoria.
E la stessa parte ricorrente non contesta e non critica il passaggio interpretativo della sentenza impugnata che afferma che anche questa domanda, esplicitamente rimessa al definitivo dal Tribunale nella prima pronuncia, aveva natura risarcitoria e non mirava all’adempimento di una obbligazione contrattuale.
Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione degli artt.192 e 112 c.p.c. e 2697 c.c., nonché nullità del procedimento e della sentenza.
9.1. Il ricorrente sostiene che la Corte palermitana avrebbe superato i limiti del giudicato determinati dalla sentenza non definitiva di primo grado, riformando la sentenza definitiva del Tribunale per includere voci di danno indicate solo in comparsa conclusionale.
La COGNOME con la comparsa conclusionale di primo grado aveva chiesto il risarcimento dei danni specificati dall’art.345 della legge n.2248 del 1865 e poi, nel corso della consulenza tecnica, aveva sollecitato e ottenuto (con l’ordinanza istruttoria del 25.7.2007) l’ampliamento dei quesiti; questa estensione di consulenza avrebbe però natura generica ed esplorativa perché prescindeva dall’onere di allegazione dei fatti, gravante sulla parte e dalla regola dell’onere probatorio.
9.2. Il motivo è inammissibile sia perché diretto nel suo contenuto critico nei confronti del tenore di un provvedimento istruttorio, l’ordinanza estensiva della consulenza tecnica d’ufficio; sia per la
sua genericità; sia, infine, perché la deduzione della violazione della regola dell’onere probatorio non è accompagnata dalla necessaria dimostrazione della errata applicazione della regola di giudizio e si risolve invece in una censura della valutazione delle risultanze probatorie compiuta dal giudice del merito.
Giova rammentare che secondo la giurisprudenza di questa Corte la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito ha applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesta il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Sez.2, 24.1.2020, n. 1634; Sez. lav., 19.8.2020, n. 17313; Sez. 6, 23.10.2018 n.26769; Sez.3, 29.5.2018, n.13395; Sez.2, 7.11.2017 n.26366).
Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia erronea applicazione degli artt. 345 l. 2248/1865 e 341 d.p.r. 1063/1962, nonché della legge 10.12.1981 n.741 ed ancora degli artt. 1453, 1223 e 2056 c.c.
10.1. Il ricorrente lamenta l’erronea deduzione dei referenti normativi perché la risoluzione del contratto di appalto determina la totale restitutio in integrum delle parti e la conseguenza che il risarcimento dei danni deve essere determinato secondo le regole codicistiche; il ricorrente stigmatizza inoltre come inattendibile il calcolo degli indennizzi effettuato secondo i parametri del contratto di appalto, ormai risolto.
10.2. Il motivo è inammissibile perché il ricorrente non indica alcun passaggio della sentenza a cui sia imputabile l’errore lamentato,
che invece attribuisce al consulente tecnico d’ufficio (a pagina 4 e a pagina 3 della seconda relazione: cfr ricorso pag.19).
Il ricorrente anche laddove si riferisce, ma del tutto genericamente, alla Corte di appello (pagg. 19-20), si limita a sostenere che essa avrebbe trascurato il fatto che il contratto di appalto era venuto meno per effetto della rescissione disposta con atto della Giunta Municipale del 5.41004 ai sensi dell’art.340 della legge n.2248 del 1865, senza individuare specifici passaggi della sentenza impugnata, che peraltro, ai punti 29 e 30, ha affermato esattamente il contrario.
Soprattutto il RAGIONE_SOCIALE ricorrente non considera il fatto decisivo che la rescissione de qua era stata ritenuta invalida e disapplicata con statuizione della prima sentenza non definitiva del Tribunale, passata in giudicato.
Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione degli artt.345 e 112 c.p.c. e 2697 c.c. per aver la Corte di appello attribuito alla parte attrice una voce di danno in riferimento a mezzi e attrezzature non restituite dal RAGIONE_SOCIALE.
11.2. Il motivo è formulato in modo confuso e contraddittorio e sovrappone tre censure relative alla condanna alla restituzione dei mezzi e delle attrezzature rimaste in cantiere.
Secondo il ricorrente, la relativa domanda sarebbe inammissibile perché nuova e proposta solo in appello; il giudice avrebbe pronunciato in assenza di domanda con vizio di ultrapetizione; infine i fatti non erano dimostrati.
11.3. È evidente che le prime due censure si contraddicono tra loro: o la domanda era stata proposta solo in appello o non era stata proposta affatto.
In ogni caso, il ricorrente non affronta e non confuta l’affermazione della Corte secondo cui la domanda era stata introdotta con la prima comparsa conclusionale in primo grado, nel vigore del rito
anteriore alla Novella del 1990, e sul punto non solo non era stato rifiutato ma era stato accettato il contraddittorio.
11.4. Quanto all’ultimo profilo, il ricorrente, lungi dal contestare l’errata applicazione della regola dell’onere probatorio, si lamenta, peraltro in modo assolutamente generico, della valutazione delle prove effettuate dalla Corte di appello, basatasi al riguardo sulla consulenza tecnica d’ufficio.
Con il quinto motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione dell’art.1224 c.c. per l’erronea rivalutazione effettuata della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, maggiorata degli interessi legali.
Secondo il ricorrente in tal modo si è fatto indebitamente ottenere alla controparte più di quanto deriverebbe dall’adempimento dell’obbligazione.
12.1. La Corte di appello (cfr sentenza definitiva impugnata, pag. 10, § 4647) ha cristallizzato il danno alla data del 5.11.1993 (€ 76.465,19) e sulla liquidazione così temporalmente collocata ha riconosciuto la rivalutazione monetaria (€ 47.651,35) e gli interessi compensativi (€ 78.077,98), maturati anno per anno sul compendio rivalutato (cfr ricorso, pag.21), pervenendo al totale (dell’ulteriore risarcimento) di € 202.104,52.
12.2. Secondo il ricorrente sul credito di valore, ove il risarcimento sia stato attualizzato mediante la rivalutazione monetaria secondo gli indici di deprezzamento della moneta, non si potrebbero riconoscere anche gli interessi compensativi dal giorno della mora, spettando al creditore solo gli interessi ulteriori dalla data della liquidazione.
12.3. Il motivo è infondato.
Insegna la giurisprudenza di legittimità a partire dalla fondamentale sentenza del 1995 delle Sezioni Unite, secondo la quale, qualora la liquidazione del danno da fatto illecito
extracontrattuale sia effettuata “per equivalente”, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche se adottata in sede di rinvio), è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, a un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio. (Sez. U, n. 1712 del 17.2.1995).
La giurisprudenza di questa Corte ritiene che la stessa regola valga anche in materia di responsabilità risarcitoria contrattuale e che l’obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito, non di valuta, ma di valore, sicché va riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa. (Sez. 2, n. 1627 del 19.1.2022).
Si afferma così che in tema di inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, al danneggiato spettano la rivalutazione monetaria del credito da danno emergente e gli interessi compensativi del lucro cessante, a decorrere dal giorno della verificazione dell’evento dannoso, poiché l’obbligazione di
risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito non di valuta, ma di valore, che tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli (Sez. 1, n. 37798 del 27.12.2022; Sez. 1, n. 26202 del 6.9.2022; Sez. 1, n. 12698 del 5.6.2014; Sez. L, n. 4184 del 24.2.2006; Sez. 2, n. 9517 del 1.7.2002).
Sussiste nella giurisprudenza di questa Corte anche un diverso orientamento, ancora di recente affiorato, secondo cui in materia di inadempimento contrattuale, l’obbligazione di risarcimento del danno configura un debito di valore, sicché, qualora si provveda all’integrale rivalutazione del credito relativo al maggior danno fino alla data della liquidazione, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, gli interessi legali sulla somma rivalutata dovranno essere calcolati dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento della obbligazione. (Sez. 3, n. 7948 del 20.4.2020). In tale orientamento si iscrive anche la pronuncia delle Sezioni Unite n.26008 del 2008, peraltro non massimata sul punto.
Ritiene tuttavia il Collegio di dover assicurare la continuità dell’orientamento prevalente, che si riconduce ai principi della sentenza delle Sezioni Unite n.1712 del 1995 e non ravvisa alcuna valida ragione per differenziare il trattamento risarcitorio, quanto agli accessori, fra la responsabilità extracontrattuale e quella contrattuale per obbligazioni non pecuniarie.
Né appare convincente l’argomento, proposto dal ricorrente, secondo cui altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento dell’obbligazione, che trascura di considerare la necessità, comune alla responsabilità ex lege aquilia
e ex contractu, di ristorare il creditore della mancata tempestiva attribuzione del compendio risarcitorio perseguita con l’attribuzione degli interessi compensativi.
Con il sesto motivo di ricorso principale, il ricorrente denuncia violazione dell’art.92 c.p.c. per l’erronea condanna alla rifusione delle spese del doppio grado.
Il motivo non gode di apprezzabile autonomia e lamenta del tutto genericamente la mancata compensazione delle spese, che per consolidata giurisprudenza non è sindacabile in sede di legittimità.
In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione. (Sez. U, n. 14989 del 15.7.2005).
Con il motivo di ricorso incidentale condizionato, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la COGNOME denuncia violazione dell’art.279 c.p.c. con riferimento a una censura rimasta assorbita o implicitamente disattesa dalla sentenza impugnata, con cui essa aveva sostenuto che la pronuncia della decisione istruttoria non aveva determinato alcun giudicato sul novero delle domande accoglibili.
Il motivo resta assorbito per effetto del rigetto del ricorso principale.
Per queste ragioni la Corte deve rigettare il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di € 8.500,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione