Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6298 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6298 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12692/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE FROSINONE), domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la RAGIONE_SOCIALE della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI FROSINONE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 7274/2021 depositata il 05/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 5 maggio 2022, illustrato da successiva memoria, il Consorzio Industriale del Lazio chiede la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 7274 del 5 novembre 2021. L’intimato comune di Frosinone ha depositato solo una memoria difensiva in data 21 giugno 2022, omettendo di notificare controricorso.
La controversia è stata avviata dal Comune di Frosinone tramite una opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal tribunale di Frosinone, con il quale il Consorzio ricorrente ingiungeva all’ente territoriale il pagamento in favore del Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Frosinone (ora Consorzio Industriale del Lazio) della somma di €1.017.220,18, vantata da quest’ultimo in forza di un accordo transattivo sottoscritto tra le parti in data 11 novembre 2009, intervenuto in merito a compensi maturati in diverse annualità per i servizi di depurazione delle acque scaricate nei depuratori, pari a € 1.248.650,93. In detto accordo il Comune riconosceva che il Consorzio aveva effettuato il servizio di fognatura e di depurazione a mezzo del depuratore consortile e, al fine di quantificare il volume degli scarichi, in assenza di evidenze espressamente riferite al periodo, le parti avevano convenuto il parametro di riferimento, costituito dalla media delle letture effettuate dal Consorzio nel periodo da gennaio 2006 a dicembre 2008 in relazione all’ampiezza del periodo considerato. Il pagamento era stato definito in
determinate tranches annuali e il Comune, in base a questo accordo, aveva provveduto a versare la somma di € 200.109,17, rifiutandosi di versare le ulteriori tranches concordate, una volta mutate Giunta comunale e Sindaco. Il Comune eccepiva la nullità o annullabilità dell’accordo in quanto deliberato dalla Giunta e non dal Consiglio comunale, coinvolgendo varie annualità di bilancio, ritenendolo nullo anche perché non collegato a un contratto stipulato in forma scritta con la P.A., eccependo in via subordinata la prescrizione del diritto del Consorzio. Il Consorzio, nel costituirsi, deduceva la validità dell’accordo transattivo in quanto afferente a un impegno di spesa relativo a forniture di servizi da considerarsi ordinario e non ‘fuori bilancio’, non ricorrendo quindi le ipotesi di cui all’art. 42 TUEL e deducendo l’avvenuta interruzione del termine di prescrizione, stante il riconoscimento del debito da parte del Comune intervenuto nelle fasi di trattativa e nell’accordo stesso. Il giudice di prime cure rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo.
Proposto appello dal Comune innanzi alla Corte d’appello di Roma, quest’ultima, in totale riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo rilevando che il contratto di transazione, impegnando per più esercizi il bilancio del Comune, fosse invalido in quanto privo di copertura finanziaria per il decennio 2010-2017 in cui erano stati fissati i pagamenti rateali, in quanto sottoscritto dal precedente Sindaco previa delibera della sola Giunta comunale, e pertanto non opponibile all’amministrazione comunale in ragione degli articoli 42,151,183,191,192,194 e 239e 194 tuel, nonché degli artt. 1325 e 1418, 1350 e 1321 c.c., assumendo che spettasse unicamente al Consiglio comunale la inderogabile ed esclusiva competenza per il
riconoscimento di debiti fuori bilancio. Rilevava, inoltre, la Corte d’appello che l’accordo transattivo dovesse considerarsi nullo ex articolo 1350 codice civile anche perché sottoscritto in assenza di un primigenio contratto scritto di fornitura di servizi e sul solo presupposto del mero riconoscimento in via di fatto (non accertato da alcun contratto scritto o da una sentenza), da parte della Giunta del Comune, dell’utilizzo del depuratore consortile e del relativo credito, nonostante l’ assenza di alcuna registrazione dei consumi dal 1994 al 2004, in mancanza di contatori. Dichiarava inammissibile, infine, la domanda residuale ex art. 2041 c.c. reiterata in sede di gravame ex art. 346 c.p.c. in quanto nuova rispetto alla domanda contrattualmente azionata (citando Cass. 8360/2017), ritenendola in ogni caso infondata, nel merito, in virtù del principio fissato da Cass. 1391/2014.
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, ex articolo 360, comma 1 , n. 3 cod. proc. civ. il Consorzio denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 42 e 194 e ss Tuel, d.lgs. n.267/2000, e art. 183 Tue, come modificato dall’art. 74, comma, 1, n. 28), letta), d.lgs. n. 118/2011, come mod. dall’art. 1, comma 1, lett. aa), d.lgs. del 10 agosto 2014, n. 126, violazione dell’artt. 1988, 1321, 1322, 1418 e 1419 c.c., in relazione all’art. 360 comma 3, c.p.c. Il ricorrente denuncia che gli articoli menzionati nella sentenza impugnata siano inapplicabili nella fattispecie in esame, trattandosi di convenzione per la migliore regolamentazione del servizio idrico integrato, posto che l’articolo 42, lettera e) tuel esclude dalla sfera di competenza consiliare le spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, con eccezione di quelle relative alle locazioni immobili e alla somministrazione della fornitura di beni e
servizi a carattere continuativo. Secondo il ricorrente rileverebbe, da un lato, il contratto di fornitura, e, dall’altro, la continuità del servizio del Consorzio per la depurazione dei reflui, ricadendo esso nell’ambito dei contratti di servizio di cui all’art. 42, lett.i) d.lgs 267/2000.
Il secondo motivo attiene alla violazione o falsa applicazione degli artt 42 e 194 e ssTuel, d.lgs. n. 267/2000, e art. 183 Tuel, come modificato dall’art. 74, comma, 1, n. 28), lett a), d.lgs. n. 118/2011, come mod. dall’art. 1, comma 1, lett. aa), d.lgs. n. 10 agosto 2014, n. 126, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c. sempre in relazione all’art. 42 e 194 Tuel, nonché art. 1988 c.c. Violazione e falsa applicazione della Legge 20 marzo n. 2248/1865, all. E. Violazione e falsa applicazione della legge 319 ‘Merli’ del 10.05.1976, in relazione all’art. 360 comma 3, c.p.c.; il terzo motivo attiene violazione artt. 284 e 288 R.d. 3 marzo 1934, n. 383 e si poi perpetuata nell’art. 23 d.l. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in legge in legge, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, I. 24 aprile 1989 n. 144, nell’art. 35 D.Igs. 25 febbraio 1995, n. 77 e in ultimo, nell’art. 191 D.Igs. 18 agosto 2000, n. 267. Alla violazione e falsa applicazione dell’art. 42 e 194 Tuel, d.lgs. n. 267/2000; e art. 183 Tuel, come modificato dall’art. 74, comma, 1, n. 28), lett a), d.lgs. n. 118/2011, come mod. dall’art. 1, comma 1, lett. aa), d.lgs. n. 10 agosto 2014, n. 126, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; il quarto motivo attiene alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419, 1321 e 1325 c.c. c.c. in relazione agli artt. 21 septies e octies, legge 241/1990 e legge 11 febbraio 2005, n. 15. Violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 48, 187 e 194 Tuel, e art. 183 Tue, come modificato dall’art. 74, comma, 1, n. 28), lett a), d.lgs. n.
118/2011, come mod. dall’art. 1, comma 1, lett. aa), d.lgs. n. 10 agosto 2014, n. 126, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
Viene trattato esclusivamente il primo motivo in quanto contenente una ratio decidendi che, non essendo affetta dal vizio denunciato in relazione al rilievo di nullità assoluta del negozio transattivo in esame, rende superflua ogni valutazione della fondatezza o meno delle ulteriori tre censure.
7.1. Il motivo primo motivo è infondato.
7.2. L’accordo transattivo in questione, in primo luogo, è stato ritenuto nullo proprio perché suscettibile di impegnare il bilancio per gli esercizi successivi, essendo inteso a spalmare negli anni l’importo riconosciuto come dovuto dal Comune. Il mancato passaggio all’approvazione e ratifica da parte del Consiglio comunale, non ha permesso a quest’ultimo organo di effettuare una verifica delle poste debitorie relative ad esercizi passati, imputati tuttavia sugli esercizi futuri, con evidente vulnus al principio di pareggio e veridicità del bilancio sotteso alla norma sopra richiamata.
7.3. Alla transazione è estendibile il principio per cui gli atti degli enti locali importanti un obbligo contrattuale in capo ai medesimi sono validi e vincolanti nei loro confronti a condizione che siano accompagnati dal relativo impegno di spesa, diversamente discendendone una nullità rilevabile d’ufficio anche in sede di giudizio di legittimità e senza che assuma portata ostativa a tal fine alcun giudicato esterno ( Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 9364 del 05/04/2023; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 33768 del 19/12/2019). Pertanto, ogni atto col quale l’ente locale assume un obbligo contrattuale -di qualsivoglia genere e tipo – è valido a condizione che sia emesso un impegno di spesa destinato a incidere, vincolandolo, su un determinato capitolo di bilancio, con
attestazione della sussistenza della relativa copertura finanziaria, come previsto dall’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000.
7.4. La violazione del suddetto obbligo di legge comporta la nullità tanto della deliberazione che lo autorizza quanto del susseguente contratto stipulato in attuazione di essa, ferma l’eventuale obbligazione a carico dell’amministratore, funzionario o dipendente del medesimo ente che sia responsabile della violazione (v. ex aliis Cass. Sez. 1 n. 24303-11, Cass. Sez. 1 n. 17465-13, Cass. Sez. 3 n. 3376819). Del tutto improprio si dimostra, pertanto, il richiamo all’art. 42 lett e) che porta un’eccezione al principio di cui sopra, perché riferito alla diversa ipotesi della stipula di un contratto di fornitura: in questo caso non si tratta della stipula di un contratto di servizi, bensì di una transazione su forniture già effettuate e non imputate nei bilanci precedenti, ma successivi, per la quale è mancato il passaggio normalmente richiesto dalla normativa di settore sopra richiamata.
I restanti tre motivi restano assorbiti dal rigetto del primo motivo, non essendo in grado di mettere in crisi la decisione sulla insanabile nullità assoluta del negozio transattivo, riguardando ulteriori rationes decidendi , del tutto distinte e indipendenti, su altre cause di nullità/inefficacia della transazione.
Il quinto motivo, attinente alla denunciata violazione dell’art. 2041 c.c.in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c, si dimostra inammissibile in quanto inerisce alla domanda, chiesta in via subordinata e riconvenzionale, di condanna del Comune di Frosinone, in persona del Sindaco p.t., all’eventuale pagamento della somma portata dal decreto opposto, ex art. 2041 c.c. .
Il motivo è inammissibile perché nulla argomenta in ordine al rilievo di inammissibilità della domanda chiesta in via residuale, fatto proprio nella impugnata sentenza, che trae motivo dal fatto che la domanda di indebito arricchimento, avanzata dal Consorzio in fase di gravame sotto forma di eccezione riconvenzionale ex art.346 cpc, è stata ritenuta inammissibile in quanto del tutto nuova e diversa rispetto a quella contrattuale, originariamente azionata in via monitoria e, comunque, improponibile, visto il suo carattere pacificamente residuale e sussidiario (conforme, Cass. 8360/17).
La censura in esame si concentra esclusivamente sulla seconda ratio decidendi di infondatezza della domanda e inerisce, invece, all’ulteriore rilievo che essa si prospetta come infondata perché in contrasto col principio fissato da Cass. 1391/14, secondo cui ” in tema di spese fuori bilancio del Comuni (e più in generale degli enti locali) agli effetti di quanto disposto dal D.L. 2 marzo 1989, n.66, art. 23 comma 4 (convertito con modificazioni dalla L.24 aprile 1989, n.44), l’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, con conseguente impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà, si ha in tutti casi in cui manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale’.
Orbene, posto che il quinto motivo tende a censurare unicamente la seconda argomentazione in diritto sulla infondatezza di detta domanda, oggetto della seconda ratio decidendi , deve rilevarsi che la sentenza risulta sul punto sorretta da due diverse ” rationes decidendi “, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente
sufficiente a giustificare la decisione adottata, rispetto alle quali manca ogni censura in relazione alla prima ragione di inammissibilità della domanda in quanto nuova. Sicché l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse, perché non specificamente oggetto di censura, rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 15399 del 13/06/2018; Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024) .
Conclusivamente il ricorso va rigettato quanto al primo motivo, assorbiti gli ulteriori tre motivi, e dichiarato inammissibile il quinto.
Non è a farsi luogo a una pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’intimato Comune, non avendo il medesimo svolto attività difensiva notificando controricorso alla controparte, atteso che il deposito della sola memoria non è idoneo a sopperire a tale lacuna, ancorché il difensore risulti munito di procura speciale, data la natura illustrativa e complementare di detto atto a fini difensivi (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24422 del 05/10/2018). Va al riguardo, ricordato che, in mancanza di notificazione, l’atto depositato non è qualificabile come atto difensivo (controricorso), ed il controricorrente, pure in presenza di regolare procura speciale ad litem , non è legittimato neppure a depositare memorie illustrative (Cass. n. 25735 del 2014): principio affermato con riferimento alla trattazione della causa in pubblica udienza, ma che deve essere esteso anche al procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis.1
c.p.c., introdotto dal DL 31 agosto 2016 n. 168 conv. in legge 25 ottobre 2016 n. 197 (Cass. n. 26974 del 2017).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29/11/2024