Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16785 Anno 2024
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/04/2024
CC
Civile Ord. Sez. L Num. 16785 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1921-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 957/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 31/10/2018 R.G.N. 498/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza in atti, ha respinto l’appello proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza del tribunale di Rimini che accogliendo la domanda di COGNOME NOME aveva accertato l’instaurazione nel periodo dal 1/11/2009 al 6/11/2010 di un rapporto di lavoro di natura
subordinata tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, da un lato, e NOME COGNOME, dall’altro, con lo svolgimento, da parte di quest’ultima, di mansioni di impiegata inquadrata al terzo livello del CCNL Call Centers ed aveva condannato RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in solido a corrispondere la somma di euro 34.299,35 a titolo di differenze retributive, oltre accessori.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME con quattro motivi ai quali ha resistito con controricorso COGNOME NOME. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.In via preliminare deve essere respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso per la mancata produzione della sentenza atteso che, come statuito dalla Sez. Unite n. 10648/2017, in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio.
2.- Con il primo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1292 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello confermato la condanna di COGNOME NOME in via solidale con la società RAGIONE_SOCIALE nonostante l’affermazione che la lavoratrice fosse stata soggetta al potere direttivo, organizzativo e disciplinare di NOME COGNOME in un primo momento e di NOME COGNOME in un secondo momento. La stessa COGNOME aveva affermato che COGNOME NOME non era stato suo datore di lavoro in un secondo momento. Né era stato mai allegato un trasferimento
di azienda che comunque avrebbe comportato la responsabilità solidale di RAGIONE_SOCIALE e non di COGNOME NOME, presunto cedente.
2.1.- Il motivo è inammissibile in quanto non è autosufficiente e presenta profili di novità, perché non riporta la motivazione della sentenza di primo grado, né riporta i motivi dell’atto d’appello. In ogni caso, dalla sentenza d’appello non risulta che la questione della solidarietà fosse stata sollevata come motivo di impugnazione dopo l’accertamento e la condanna in via solidale disposta in primo grado. L’uni co motivo di gravame che risulta ritualmente proposto secondo la sentenza gravata riguardava la già disattesa eccezione di difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME.
3.- Con il secondo motivo si prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. anche in considerazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello confermato la legittimazione passiva di NOME COGNOME oltreché di RAGIONE_SOCIALE, nonostante fosse stata eccepita l’inesistenza della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’inesistenza del preteso rapporto di lavoro in via pregiudiziale e/o nel merito; il giudice di prime cure non poteva limitarsi a rigettare l’eccezione pregiudiziale di carenza di legittimazione passiva ma doveva esaminare e decidere tale eccezione anche nel merito secondo le prescrizioni di cui all’art. 2697 c.c.; proprio in ragione delle argomentazioni giuridiche esposte sul punto la Corte di appello sarebbe dovuta pervenire a un decisum opposto rispetto a quello dell’impugnata sentenza. La stessa ricorrente aveva dedotto di aver lavorato per un periodo come dipendente di COGNOME NOME e per un altro periodo della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE senza specificare però per quale parte del rapporto; il giudice non ha tenuto conto delle visure camerali né di quanto eccepito da COGNOME NOME; ed avrebbe dovuto accogliere
l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata da COGNOME NOME.
3.1. Anche le svariate censure sollevate con il secondo motivo sono inammissibili perché attengono al merito dei fatti, oltreché difettare di autosufficienza perché non riportano e non trascrivono il ricorso, gli atti, la sentenza di primo grado, ecc.
La Corte d’appello ha comunque confermato la legittimazione passiva di NOME COGNOME, oltre che di RAGIONE_SOCIALE, atteso il suo ruolo diretto nella gestione del rapporto di lavoro, agendo quale imprenditore in nome proprio, a prescindere dalla formalizzazione di una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e per conto della società, detenuta dai familiari, a prescindere dal difetto di formalizzazione della qualità di socio ovvero di rappresentante; ed ha evidenziato che tanto emergeva in modo univoco sia dai documenti (modulistica, indirizzo mail e sito Internet intestati semplicemente” RAGIONE_SOCIALE” e COGNOME e assegni emessi a nome proprio per il pagamento di acconti a favore della COGNOME) che dalle testimonianze. La Corte ha accertato in sostanza il ruolo di vero datore di lavoro di fatto del ricorrente, a prescindere dalla formalizzazione della RAGIONE_SOCIALE e dal suo ruolo nella società; e ciò spiega la sua qualità di legittimato passivo.
4.Col terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello affermato che la sussistenza del rapporto di lavoro fosse testimoniata anche dalla costanza della retribuzione pagata alla lavoratrice ed attestata dalla presenza di assegni bancari emessi da NOME COGNOME ( tre assegni dell’importo di 2000 € ciascuno e altri 4 assegni dell’importo complessivo di 4312 euro); ciononostante la suddetta somma non era stata detratta dall’importo di 34.299,35 richiesto dalla lavoratrice a titolo di retribuzione non percepita. Dunque la Corte d’appello non
aveva rispettato i dettami dell’articolo 112 c.p.c. secondo cui il giudice deve pronunciare su tutta la domanda formulata; avendo omesso di pronunciarsi sulle somme già incassate dalla lavoratrice.
4.1. Anche questo motivo è inammissibile perché non risultano trascritti gli atti di causa; non si intuisce, invero, quello che aveva richiesto con la domanda la lavoratrice e perché dovrebbero essere detratte alcune somme già corrisposte; potendo invece le stesse somme riconosciute in sentenza costituire differenze retributive rispetto a quanto parzialmente già pagato, anche a mezzo di assegni. Si tratta comunque di un motivo di fatto con cui si pretende di rimettere in discussione l’accertamento del quantum delle somme dovute, non deferibile in questa sede di legittimità.
5.- Col quarto motivo si lamenta l’omesso esame della documentazione prodotta da COGNOME NOME con il ricorso in appello in relazione all’articolo 360 n. 5 c.p.c.
La Corte d’appello (oltre ad aver dichiarato inammissibili le domande e le eccezioni prospettate soltanto in appello) ha ritenuto di non dover prendere in esame la nuova documentazione che è stata depositata in appello perché i documenti non erano stati prodotti né al momento di avvio del procedimento di primo grado, né nelle more dello stesso, nonostante la parte interessata fosse nelle condizioni materiali per farlo, tanto da essere considerati elementi nuovi prodotti in sede d’appello e in quanto tali inammissibili.
Il motivo non formula censure avverso l’espressa decisione della Corte e, nel contempo, non produce, non indica, né riproduce la documentazione di cui si tratta.
In ogni caso la decisione presa dai giudici di appello rispetta le norme processuali sulla produzione delle prove documentali in appello (art. 437 c.p.c.) e quindi si sottrae alle censure sollevate (v. Ordinanza n. 11845 del 15/05/2018, Ordinanza n. 7883 del 20/03/2019, Ordinanza n. 33393 del 17/12/2019
secondo cui nel rito del lavoro, la produzione di documenti successivamente al deposito degli atti introduttivi è ammissibile solo nel caso di documenti formati o giunti nella disponibilità della parte dopo lo spirare dei termini preclusivi ovvero se la loro rilevanza emerga in ragione dell’esigenza di replicare a difese altrui).
5.- Sulla scorta delle premesse, il ricorso va quindi respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 c omma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 9.04.2024