Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9244 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 9244 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 16241-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
F.LLI COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 228/2023 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 22/05/2023 R.G.N. 272/2022;
R.G.N. 16241/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 19/02/2025
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale dell’ avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Chieti di rigetto delle domande di NOME COGNOME contro la società RAGIONE_SOCIALE di cui era stato dirigente fino al licenziamento comunicato con lettera 12.12.2019, domande dirette all’accertamento dell’illegittima acquisizione da parte della società di dati personali del dipendente, posti a fondamento del procedimento disciplinare esitato con il licenziamento, e di condanna della società a risarcire voci di danno patrimoniale e biologico.
2. In sintesi, la Corte di merito ha ritenuto legittimi l’acquisizione e l’utilizzo per il procedimento disciplinare, da parte della società, degli atti di procedimento penale (a carico di altro ex-dirigente), in cui la società risultava parte offesa, e il diritto alla riservatezza del dipendente non maggiormente degno di tutela dei diritti all’iniziativa economica e alla difesa della società; quindi ha giudicato non violate le disposizioni vigenti in materia di acquisizione di copia degli atti di un procedimento penale non coperti da segreto e di controllo a distanza ai sensi dell’art. 4 legge n. 300/1970, e non ha ravvisato comportamenti antigiuridici della datrice di lavoro.
Per la cassazione della predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso con 2 motivi; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il PG ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La causa è stata discussa oralmente all’odierna pubblica udienza e trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione dell’articolo 5.2 lettera b) delle Linee Guida del Garante della Privacy dell’1.3.2007, dell’articolo 15 Cost. e degli art. 6 e 13 del Regolamento Generale per la Protezione dei Dati Personali (GDPR -Regolamento UE 2016/679), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; sostiene che erroneamente l a Corte d’Appello ha affermato che le regole, menzionate dall’art. 5 punto 2 lettera b) delle Linee Guida, l’art. 15 Cost. e l’articolo 13 del Regolamento, possono valere soltanto nelle ipotesi in cui sia il datore di lavoro ad effettuare il controllo della posta aziendale, del computer e del telefono del lavoratore.
Con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 4, comma 3, legge n. 300/1970, dell’art. 15 Cost. e degli artt. 4 n. 11, 20 e 21 del Regolamento, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; sostiene che erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto che l’art. 4 Legge n.300/1970 e le norme ad esso connesse riguardino soltanto i controlli posti in essere dal datore di lavoro mediante l’impiego diretto di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo a distanza dell’attività del lavoratore.
Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Come osservato dal P.G. con argomentazioni che il Collegio condivide, per rispondere al requisito prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., occorre che il ricorso
per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata (così Cass. n. 1352/2024).
5. Nella specie risulta carente la descrizione delle pretese avanzate in giudizio e la complessiva illustrazione della controversia, limitandosi il ricorrente ad enunciare errori di diritto delle motivazioni, introducendo peraltro motivi di violazione di legge come avulsi dalle circostanze di fatto, incorrendo in tal modo in difetto di autosufficienza anche dei singoli motivi, perché la Corte sarebbe costretta alla lettura degli atti del processo, al fine di comprendere in che misura venga in rilievo la questione dell ‘ autorizzazione al trattamento dei dati, di quali dati esattamente si parli, da chi trattati, quali dati sensibili siano stati violati, senza che siano chiarite, risultando soltanto la sussistenza di un licenziamento, le contestazioni e le posizioni delle parti sul punto, al fine di verificare la decisività delle circostanze connesse agli errores in iudicando denunciati.
6. Del resto, questa Corte, nella pronuncia tra le stesse parti n. 20882/2023 relativa al licenziamento, ha già osservato che andava escluso trattarsi di ipotesi di controllo difensivo illegittimo ex art. 4, legge n. 300/1970 perché, nella fattispecie in esame, si trattava di acquisizione di elementi da un procedimento penale riguardante altra persona e ottenuti da mezzi di comunicazione nella disponibilità di questa, rimanendo estranea ogni
problematica concernente il controllo dell’esecuzione della prestazione lavorativa attraverso l’utilizzo di apparecchiature informatiche, audio-visive o di altri strumenti; e che, in tema di protezione dei dati personali, non costituisce violazione della relativa disciplina il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale, giacché detta disciplina non trova applicazione in via generale, quando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell’ambito di un processo, poiché in tal sede vanno composte le diverse esigenze, rispettivamente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo, per cui, se non coincidenti, è il codice di rito a regolare le modalità di svolgimento in giudizio del diritto di difesa e dunque, con le sue forme, a prevalere in quanto contenente disposizioni speciali e, benché anteriori, non suscettibili di alcuna integrazione su quelle del codice della privacy (Cass. n. 9314/2023).
Le spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi professionali, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19