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Data certa fallimento: la Cassazione e il contraddittorio

Una banca si è vista negare l’ammissione di un credito al passivo di un’azienda fallita perché i documenti erano privi di data certa. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che il giudice, prima di decidere su una questione come la mancanza di data certa nel fallimento sollevata d’ufficio, ha l’obbligo di sottoporla alle parti per garantire il rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Data certa nel fallimento: il contraddittorio è sacro

L’ordinanza n. 7253/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: il rispetto del contraddittorio. La questione della data certa nel fallimento, pur essendo rilevabile d’ufficio dal giudice, non può trasformarsi in una decisione a sorpresa che pregiudica il diritto di difesa del creditore. Vediamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Una nota banca aveva chiesto di essere ammessa al passivo di una società di costruzioni fallita per un credito di oltre 1,4 milioni di euro, derivante da due finanziamenti e da anticipi su fatture. Il Giudice Delegato aveva inizialmente escluso l’intero credito. In seguito all’opposizione della banca, il Tribunale aveva ammesso solo una parte del credito (circa 367.000 euro), rigettando la domanda relativa ai due finanziamenti principali.

La motivazione del rigetto era cruciale: secondo il Tribunale, i contratti di finanziamento prodotti dalla banca erano privi di data certa e, di conseguenza, non opponibili alla massa dei creditori del fallimento. La banca, ritenendo la decisione ingiusta e proceduralmente viziata, ha presentato ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorso della banca si basava su tre motivi principali:
1. Violazione del contraddittorio: Il motivo centrale, e poi risultato vincente, era che il Tribunale aveva basato la sua decisione sulla mancanza di data certa, una questione mai sollevata prima dal curatore fallimentare né discussa tra le parti. Il giudice l’aveva rilevata d’ufficio senza invitare le parti a presentare le proprie difese sul punto. Questo, secondo la banca, costituiva una violazione del diritto di difesa.
2. Errata valutazione delle prove: La banca sosteneva che il Tribunale avrebbe potuto desumere la data certa dei finanziamenti dai piani di ammortamento allegati.
3. Omesso esame di prove decisive: Per quanto riguarda gli anticipi su fattura non ammessi, la ricorrente lamentava che il Tribunale non avesse correttamente esaminato gli estratti conto che, a suo dire, provavano l’effettiva erogazione delle somme.

La data certa nel fallimento e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato e assorbente rispetto al secondo. Gli Ermellini hanno richiamato un principio consolidato, espresso anche dalle Sezioni Unite (sent. 4213/2013), secondo cui la mancanza di data certa nei documenti prodotti dal creditore è un fatto impeditivo dell’accoglimento della domanda, rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

Tuttavia, questo potere del giudice non è assoluto. Esso deve essere esercitato nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, sancito dagli articoli 101 del Codice di Procedura Civile e 111 della Costituzione. Se il giudice individua una questione rilevabile d’ufficio che potrebbe decidere la causa, ha il dovere di indicarla alle parti e assegnare loro un termine per presentare memorie e difese.

Nel caso di specie, il Tribunale ha adottato una “terza via”, ovvero una soluzione giuridica non prospettata dalle parti, senza stimolare il preventivo dibattito. Così facendo, ha privato la banca della possibilità di provare, con altri documenti (come estratti conto integrali, lettere di messa in mora, etc.), che i finanziamenti avessero una data certa opponibile al fallimento.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto fondata la censura relativa alla violazione del diritto di difesa. L’omessa indicazione di una questione mista di fatto e di diritto, come quella della data certa, sulla quale si fonda la decisione, comporta la nullità della sentenza. Questo perché impedisce alla parte di esercitare pienamente il proprio potere di allegazione e di prova. La banca ha dimostrato in concreto il pregiudizio subito, specificando quali attività difensive le sono state precluse.

Per quanto riguarda il terzo motivo, relativo alla prova degli anticipi su fattura, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. Le censure della banca, pur presentate come violazioni di legge, si risolvevano in una richiesta di riesame del merito della valutazione probatoria, attività preclusa in sede di legittimità. Il giudice di merito è l’unico sovrano nella valutazione delle prove e nella scelta di quali ritenere più attendibili per fondare il proprio convincimento.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato il decreto impugnato e ha rinviato la causa al Tribunale, in diversa composizione, per un nuovo esame. Questa pronuncia è un monito fondamentale: il potere del giudice di rilevare d’ufficio questioni decisive non può mai tradursi in una sentenza a sorpresa. Il processo deve essere un dialogo trasparente tra le parti e il giudice. Per i creditori che si insinuano al passivo, l’insegnamento è duplice: è essenziale munirsi fin da subito di documentazione con data certa opponibile al fallimento e, qualora emergano questioni procedurali, far valere tempestivamente la violazione del proprio diritto di difesa.

Un giudice può rigettare un credito in un fallimento per mancanza di data certa senza prima discuterne con le parti?
No. Secondo la Corte di Cassazione, anche se la mancanza di data certa è una questione rilevabile d’ufficio, il giudice ha l’obbligo di sottoporla preventivamente al contraddittorio tra le parti, pena la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa.

Cosa accade se un giudice decide una causa sulla base di una questione rilevata d’ufficio ma non discussa?
La parte che subisce un pregiudizio da tale decisione può impugnare la sentenza per nullità. Deve però dimostrare in concreto quali argomentazioni o prove avrebbe potuto presentare se il contraddittorio sulla questione fosse stato attivato tempestivamente.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come un estratto conto, che il giudice di merito ha ritenuto insufficienti?
No, non è possibile. Il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio nel quale si possono riesaminare i fatti o le prove. La valutazione dell’attendibilità e della concludenza delle prove spetta esclusivamente al giudice di merito, e la sua decisione può essere contestata in Cassazione solo per specifici vizi di legittimità, non per una diversa interpretazione del materiale probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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