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Data certa compenso professionale: Cassazione chiarisce

Un professionista ha richiesto l’ammissione al passivo fallimentare per un credito di 25.000 euro, basato su un accordo non avente data certa. La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 3834/2024, ha confermato la decisione di merito che riduceva il compenso a 2.500 euro. Il punto focale è la questione della data certa del compenso professionale: la Corte ha stabilito che la semplice menzione dell’accordo in un successivo atto depositato (come un piano di concordato) non è sufficiente a renderlo opponibile alla curatela fallimentare. Il documento stesso deve avere una data certa anteriore al fallimento.

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Data Certa del Compenso Professionale: Quando è Valida nel Fallimento?

La questione della data certa del compenso professionale è un tema cruciale per avvocati, commercialisti e consulenti che assistono imprese in crisi. Un accordo sul compenso, seppur valido tra le parti, rischia di essere inefficace nei confronti della curatela in caso di successivo fallimento del cliente. L’ordinanza n. 3834/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su questo punto, sottolineando che la semplice menzione di un accordo in un altro atto non basta a conferirgli la data certa.

Il Caso: Dalla Richiesta di Compenso all’Opposizione

Un avvocato aveva prestato consulenza a una società in materia di diritto del lavoro e sindacale, in vista dell’accesso a una procedura di concordato preventivo. Il compenso era stato pattuito in 25.000 euro tramite una scrittura privata. Successivamente, la società falliva.

L’avvocato presentava domanda di ammissione al passivo per l’importo concordato, ma il giudice delegato la respingeva per due motivi: la mancanza di una notula specifica e, soprattutto, l’assenza di un mandato con data certa opponibile alla curatela fallimentare.

Il professionista proponeva opposizione, sostenendo che l’incarico e il relativo compenso fossero provati non solo dalla scrittura privata, ma anche dalla sua menzione nel piano concordatario, da scambi di email e da altra documentazione. In ogni caso, chiedeva che il compenso venisse determinato secondo i parametri ministeriali.

La Decisione del Tribunale e i Motivi del Ricorso in Cassazione

Il Tribunale accoglieva solo parzialmente l’opposizione. Pur riconoscendo che l’attività professionale era stata effettivamente svolta (grazie a prove come email, verbali di accordo sindacale, etc.), riteneva che la scrittura privata con il compenso di 25.000 euro non fosse opponibile al fallimento perché priva di data certa.

Di conseguenza, il collegio liquidava un importo notevolmente inferiore, pari a 2.500 euro, calcolato secondo i parametri professionali per l’attività stragiudiziale, considerando che l’obiettivo finale (l’apertura del concordato) non era stato raggiunto.

L’avvocato ricorreva in Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sulla data certa (art. 2704 c.c.), sostenendo che l’accordo fosse stato allegato alla domanda di concordato, un atto con data certa per definizione.

La Data Certa del Compenso Professionale secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una lezione fondamentale sul concetto di data certa del compenso professionale. Il punto centrale della decisione è che non basta che un accordo sia semplicemente menzionato in un documento depositato in tribunale. Per acquisire data certa e diventare opponibile al fallimento, l’accordo stesso deve essere fisicamente allegato all’atto depositato o, comunque, la sua esistenza deve essere provata in modo inequivocabile in data anteriore alla dichiarazione di fallimento.

La Corte ha specificato che il ricorso del professionista era generico e non rispettava il principio di autosufficienza: si limitava ad affermare che il compenso era “menzionato” nella proposta di concordato, senza però dimostrare che la scrittura privata fosse stata effettivamente allegata. Questa distinzione è decisiva: una cosa è menzionare un fatto, un’altra è produrre il documento che lo prova, conferendogli così la certezza giuridica del deposito in giudizio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per difetto di autosufficienza e genericità. I giudici hanno sottolineato che il ricorrente non aveva adeguatamente provato, né nel ricorso né nei gradi di merito, che la scrittura privata contenente l’accordo sul compenso fosse stata materialmente allegata alla domanda di concordato depositata prima del fallimento. La semplice menzione dell’esistenza di un accordo non è idonea a trasferire la data certa del contenitore (la domanda di concordato) al contenuto (l’accordo sul compenso). L’istituto della data certa, ai fini dell’opponibilità, richiede che l’atto, nella sua completa esistenza, sia conoscibile e verificabile. Una mera menzione non soddisfa questo requisito. Inoltre, la Corte ha ribadito che la quantificazione del compenso da parte del Tribunale, basata su parametri ministeriali, costituisce una valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizi logici o giuridici non riscontrati nel caso di specie.

Conclusioni

L’ordinanza insegna ai professionisti una lezione preziosa: per garantire che un accordo sul compenso sia tutelato in caso di fallimento del cliente, è indispensabile dotarlo di data certa. Non è sufficiente fare affidamento su menzioni o riferimenti in altri documenti. Le strade più sicure sono la registrazione dell’atto, l’autenticazione delle firme da parte di un pubblico ufficiale, l’uso della posta elettronica certificata (PEC) con ricevute di consegna, o l’allegazione formale del documento a un atto giudiziario depositato in cancelleria. In assenza di tali cautele, il rischio è di veder disconosciuto il proprio diritto al compenso pattuito e di dover accettare una liquidazione basata su parametri giudiziali, spesso di importo inferiore.

La semplice menzione di un accordo sul compenso in un atto successivo è sufficiente a conferirgli data certa?
No. La Suprema Corte ha chiarito che la mera menzione del contenuto di un documento in un altro atto, anche se quest’ultimo ha data certa, non è sufficiente. Per l’opponibilità al fallimento, il documento stesso deve essere stato depositato o allegato formalmente.

Perché il compenso del professionista è stato ridotto da 25.000 a 2.500 euro?
Poiché l’accordo scritto sul compenso non aveva data certa e non era quindi opponibile alla curatela fallimentare, il Tribunale ha liquidato il compenso basandosi sui parametri ministeriali per l’attività stragiudiziale effettivamente provata, riconoscendo un importo inferiore anche in considerazione del risultato non pienamente raggiunto.

È possibile presentare nuove prove nel giudizio di opposizione allo stato passivo?
Sì, la sentenza conferma che nel giudizio di opposizione allo stato passivo è ammissibile l’integrazione documentale, poiché non si applica il rigido regime preclusivo previsto per il giudizio di appello. Questo ha permesso al professionista di provare, tramite email e altri documenti, di aver svolto l’attività professionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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