Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16079 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16079 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/06/2024
OGGETTO:
denuncia di danno temuto – azione ex art. 844 c.c.
R.G. 9224/2023
C.C. 5-6-2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 9224/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO,
con domicilio digitale EMAIL
ricorrente
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale EMAIL
contro
ricorrenti
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE DI DANIEL RAGIONE_SOCIALE.
intimata
avverso la sentenza n. 5/2023 della Corte d’appello di Trento depositata il 20-1-2023, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5-6-
2023 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, dichiarandosi proprietaria dei sottotetti al grezzo di una palazzina in CC Cognola, pp.mm. 5 e 6 della p.ed. 984 in PT 1624, ha convenuto avanti il Tribunale di Trento NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, lamentando danni da infiltrazioni di fumo e immissioni di odori provenienti dalle canne fumarie dei convenuti nei sottotetti, nonché l’esistenza di sfiati in eternit non a norma.
Si sono costituiti tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e chiedendo la RAGIONE_SOCIALE in causa della società che aveva eseguito le coibentazioni in oggetto RAGIONE_SOCIALE, la quale a sua volta si è costituita contestando qualsiasi responsabilità
Con sentenza n. 704/2021 il Tribunale di Trento ha qualificato la domanda ex art. 844 cod. civ. con riguardo al fumo e agli odori ed ex art. 1172 cod. civ. per il pericolo paventato in relazione alla mancanza di manutenzione dei manufatti; ha escluso le immissioni e il pericolo, ha accertato che gli interventi di manutenzione eseguiti dalla società RAGIONE_SOCIALE non erano a norma e ne ha ordinato la messa in regola.
2.Hanno proposto appello sia NOME COGNOME che RAGIONE_SOCIALE, gli appelli sono stati riuniti e integralmente rigettati dalla Corte d’appello di Trento con sentenza n. 5/2023 depositata il 20-1-2023.
3.Avverso la sentenza NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE, alla quale la notificazione del ricorso è stata ritualmente eseguita all’indirizzo pec del difensore EMAIL, è rimasta intimata.
In data 2-10-2023 il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione anticipata ex art. 380-bis cod. proc. civ. del ricorso nel senso della dichiarazione di inammissibilità o manifesta infondatezza; il difensore della ricorrente munito di nuova procura speciale con istanza depositata il 9-11-2023 ha chiesto la decisione.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 5-6-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce ‘art. 360 n. 3 c.p.c.: falsa applicazione dell’art. 1172 c.c., in quanto la Corte d’appello, in presenza di canne fumarie crepate e interessate da trafilamento di fumi nella proprietà di COGNOME NOME e del conseguente pericolo, ha escluso il diritto della stessa a ottenere l’intervento di manutenzione necessario, a fronte della mera dichiarazione dei proprietari delle canne fumarie di non utilizzare le stesse’. La ricorrente evidenzia che le canne fumarie a servizio delle cucine delle pp.mm. 1 e 3 non erano state fatto oggetto di intervento, presentavano degrado generalizzato e crepe diffuse e lamenta che la dichiarazione dei proprietari di non utilizzare tali canne fumarie abbia indotto il giudice di merito a escludere l’esistenza del pericolo lamentato, risolvendosi la decisione in violazione dell’art. 1172 cod. civ.
1.1.Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha considerato che i condomini NOME COGNOME e NOME COGNOME si erano impegnati in sede di assemblea
condominiale del 27-11-2014 a non utilizzare le canne fumarie, ha dichiarato che l’impegno era giuridicamente vincolante e soltanto nel momento in cui i soggetti non l’avessero rispettato si sarebbe realizzato un inadempimento; ha altresì evidenziato che i l consulente d’ufficio aveva escluso pericolo attuale e che i difetti erano lievi e di natura costruttiva.
A fronte di questo contenuto della pronuncia, le deduzioni della ricorrente non fanno emergere alcuna violazione o falsa applicazione della disposizione dell’art. 1172 cod. civ. , perché la Corte d’appello ha escluso in fatto che sussistesse una situazione di pericolo determinata dalla presenza delle canne fumarie sulla base dell’accertamento svolto dal consulente d’ufficio ; quindi, le deduzioni della ricorrente in ordine allo stato delle canne fumarie sono volte a ottenere una rivalutazione in fatto delle risultanze probatorie, in quanto tale non consentito in sede di legittimità. Neppure l ‘ulteriore affermazione della ricorrente, secondo la quale l’impegno assunto di non utilizzare le canne fumarie non escludeva il pericolo, è rilevante in questa sede, perché spettava al giudice adito con la denunzia di danno temuto individuare le misure per ovviare al pericolo e il suo apprezzamento di merito, in quanto tale, non può essere oggetto di diversa valutazione in sede di legittimità.
2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce: ‘ art. 360 n. 5 c.p.c.: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte di appello ha affermato che la c.t.u. esperita avrebbe escluso il pericolo attuale delle canne fumarie crepate e interessate da trafilamento di fumo, mentre in realtà la c.t.u. ha espressamente dichiarato di non prendere in considerazione tali canne fumarie, in quanto ‘dichiarate inutilizzate” . Sostiene che la sentenza abbia omesso di esaminare fatto decisivo per il giudizio, riferito al fatto che la c.t.u. esperita in primo grado aveva escluso l’esame delle canne fumarie 7 e 8 , in quanto dichiarate inutilizzate.
2.1.Il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile in primo luogo ai sensi dell’art. 3 60 co.4 proc. civ. nella formulazione attuale, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme”. In tale caso , secondo l’elaborazione giurisprudenziale già avvenuta sulla base dell’art. 34 8-ter cod. proc. civ. previgente, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n.5 dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostra ndo che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202 -01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03, per tutte). Al contrario, la ricorrente si limita nel ricorso a lamentare che la Corte d’appello non abbia esaminato le deduz ioni del consulente d’ufficio e soltanto nella memoria contesta che sussista ipotesi di ‘doppia conforme’.
Il motivo è altresì e evidentemente inidoneo a porre qualsiasi questione di omesso esame di fatti decisivi. E’ chiaro che, nel momento in cui non ha preso in esame le canne fumarie 7 e 8 perché non oggetto di utilizzazione, secondo quanto lamenta la ricorrente, il consulente d’ufficio lo ha fatto sulla base del presupposto che non fosse la presenza delle canne fumarie in quanto tale a determinare pericolo; tale apprezzamento in fatto rimane estraneo al perimetro del sindacato di legittimità.
3.Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘ art. 360 n. 3 c.p.c.: falsa applicazione dell’art. 844 c.c., nonché dell’art. 2043 c.c., nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che le immissioni odorose delle colonne di scarico dei bagni nelle soffitte di COGNOME NOME costituirebbero una situazione indifferente, in quanto non vi sarebbe pericolo per la salute delle persone e in quanto soffitte non abitabili’. La ricorrente evidenzia come sia pacifico che le colonne di scarico dei bagni degli appartamenti si aprano nelle soffitte della ricorrente, con
fori a livello del pavimento; sostiene che la sentenza, avendo rigettato la domanda per il fatto che le soffitte non erano abitabili e non vi era pericolo per la salute , abbia applicato falsamente l’art. 844 cod. civ, il quale non richiede né il pericolo per la salute delle persone né che il bene destinatario delle immissioni sia abitabile.
3.1.Il motivo è inammissibile, perché non censura tutte le rationes decidendi sulle quali la sentenza impugnata ha fondato la pronuncia di rigetto della domanda relativa alle immissioni provenienti dalle colonne di scarico dei bagni. Quindi deve farsi applicazione del principio secondo il quale, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte e autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, in quanto tale censura, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. Sez. 1 27 -7-2017 n. 18641 Rv. 645076-01, Cass. Sez. 3 26-2-2024 n. 5102 Rv. 67018801).
La sentenza impugnata (pag. 9) in primo luogo ha rigettato il relativo motivo di appello evidenziando che la presenza dei buchi sul pavimento individuava difetti costruttivi e non mancanza di manutenzione, ma la domanda non aveva a oggetto difetti costruttivi dell’edificio; ha aggiunto che la soffitta non era abitata, non era abitabile ed eventuali immissioni odorose non arrecavano alcun pregiudizio; ha aggiunto che non vi era neppure prova delle esalazioni, non rilevate in sede di c.t.u., in quanto in quella sede era risultata la chiusura dei tubi, mentre l’onere della prova era incombente sull’attrice.
La ricorrente non censura in termini consentiti in fase di legittimità la pronuncia secondo la quale non vi era prova delle immissioni di odori,
per cui tale accertamento è divenuto definitivo; quindi le sue deduzioni sulla violazione dell’art. 844 cod. civ. risultano inammissibili, mancando il presupposto di fatto, riferito all’esistenza di immissioni di odori, necessario per valutare l’illiceità di tali immissioni.
4.Con il quarto motivo la ricorrente deduce ‘ art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione art. 113 c.p.c., in quanto la Corte d’appello si dichiara non in grado individuare l’eventuale norma di cui l’appellante invocherebbe la violazione; violazione dell’art. 12 della L. 27 marzo 1992 n. 257, nonché del D.M. 6 settembre 1994, in quanto la Corte ha ritenuto a carico di COGNOME NOME la valutazione del rischio legata alla presenza di sfiati in eternit (composto di amianto) di proprietà dei convenuti e presenti nelle soffitte di COGNOME NOME, mentre in realtà tale valutazione di rischio, così come gli interventi necessari, sono a carico dei proprietari degli sfiati’. La ricorrente evidenzia che la Corte d’appello non avrebbe potuto dichiarare di non essere in grado di individuare la norma di cui l’appellante invocava la violazione, in quanto l’art. 113 cod. proc. civ. poneva a carico del giudice di individuare tale norma. Rileva che in sede di accertamento tecnico preventivo, nelle osservazioni del consulente di parte, vi era il riferimento alla legge 27 marzo 1992 n. 257 e al d.m. 6 settembre 1994 ed evidenzia che gli sfiati che attraversan o le soffitte sono in eternit, per cui ai sensi dell’art. 12 co.3 legge 257/1992 i costi di bonifica erano a carico dei proprietari degli sfiati. Aggiunge che ai sensi del d.m. 6 settembre 1994 la valutazione del rischio e il programma di controllo del materiale erano a carico del proprietario, per cui erroneamente la sentenza ha ritenuto che la valutazione fosse a carico dell’attrice .
4.1.Il motivo in primo luogo è inammissibile perché non coglie la ratio della pronuncia censurata.
La sentenza, dichiarando di non individuare la norma di cui si lamentava la violazione, ha ritenuto l’inammissibilità dell’appello sul
punto, tanto che ha evidenziato che nell’atto di appello non era indicata la norma violata e la legge 257/1992 aveva portata generale, ponendo una serie di disposizioni che riguardavano i luoghi di lavoro e gli obblighi di smaltimento in capo agli enti pubblici. La pronuncia è corretta perché, se l’attri ce appellante intendeva lamentare il mancato accoglimento della sua domanda volta a ottenere la condanna dei proprietari degli sfiati in eternit a eseguire la bonifica -come potrebbe emergere dal contenuto del motivo di ricorso- avrebbe dovuto censurare in modo specifico la pronuncia di primo grado che quella domanda aveva rigettato. Quindi, per quanto interessa in questa sede, il motivo di ricorso non attinge la pronuncia di genericità del motivo di appello, perché a tal fine non è sufficiente il richiamo al principio iura novit curia, in quanto l’obbligo del giudice di appello di individuare la disposizione applicabile alla fattispecie sussisteva se e in quanto fosse stato formulato sul punto un motivo di appello ammissibile.
Non rileva neppure la deduzione della ricorrente in ordine al fatto che, ai sensi della legge 257/1992, la valutazione del rischio spettava al proprietario, perché in questo modo la ricorrente confonde il rischio dell’esposizione all’amianto al pericolo che giustifica la proposizione dell’azione di danno temuto. La sentenza impugnata ha evidenziato che era l’attrice a dovere dimostrare il pericolo, dopo avere dato atto che i tubi erano in buono stato di manutenzione e lo stesso consulente di parte attorea riconosceva che la normativa non imponeva alcuna bonifica per il fatto che fosse stato utilizzato quel materiale. Quindi, laddove la sentenza ha dichiarato che era l’attrice ad avere l’onere di eseguire la valutazione del rischio non ha posto illegittimamente a suo carico un obbligo che spettava alla controparte, ma ha dichiarato che ella, avendo proposto l’azione di danno temuto, aveva l’onere di dimostrare la situazione di pericolo, mentre neppure il suo tecnico aveva offerto elementi in tal senso.
5.Con il quinto motivo la ricorrente deduce ‘ art.360 n. 3 c.p.c.: violazione del D.M. 12 aprile 1996 del Ministero dell’Interno in materia di prevenzione incendi, in quanto la Corte di appello ha considerato la situazione di pericolo per l’accertata violazione di tale normativa nella centrale termica non rilevante ai fini dell’art. 1172 c.c.’. Evidenzia di avere prodotto documenti -suoi nn. 6,7,8- attestanti che le caldaie non erano a norma e lamenta che, nonostante la pacifica violazione delle disposizioni sulla prevenzione incendi, la Corte d’appello abbia escluso situazione di pericolo.
5.1.Il motivo è inammissibile, perché si limita a riproporre la ricostruzione dei fatti sostenuta dalla ricorrente nel giudizio di merito, senza attingere la ratio della decisione impugnata.
La sentenza ha espressamente dichiarato che la nota del Comune di Trento andava letta nella sua interezza e non solo in parte come fatto dall’appellante, perché il doc. 8 rimandava al Sindaco per i provvedimenti di competenza e il Sindaco aveva escluso situazioni di pericolo, tanto che aveva disposto l’archiviazione della segnalazione. Quindi, sulla base di questo accertamento in fatto, non attinto in modo ammissibile dagli argomenti della ricorrente, la sentenza ha escluso il ricorrere dei presupposti per l’accoglimento della domanda di danno temuto che, in quanto tale, poneva a carico dell’attrice l’onere di provare in concreto l’esistenza di pericolo. In sostanza la ricorrente vorrebbe sostenere che la violazione delle disposizioni sulla prevenzione incendi in sé comportava pericolo, ma tale violazione non è stata ritenuta dalla sentenza impugnata, in quanto ha accertato l’archiviazione della segnalazione sulla violazione delle disposizioni per la prevenzione degli incendi.
6.Ne consegue che il ricorso, in sostanziale conformità della proposta di definizione anticipata depositata dal consigliere delegato ex art. 380-bis cod. proc. civ., deve essere interamente rigettato e, in
applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
Inoltre, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., devono essere applicati, come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380bis cod. proc. civ., il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento a favore dei controricorrenti di somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01), l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. pro c. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Infine, in considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
condanna la ricorrente ex art. 96 co.3 e 4 cod. proc. civ. al pagamento di Euro 3.000,00 a favore dei controricorrenti e di Euro 3.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione