Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30392 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30392 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32097/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, ORRIZONTI DEL LAGO RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2602/2020 depositata il 07/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Venezia ha respinto l’impugnazione del lodo con cui l’arbitro unico ha deciso nel giudizio arbitrale promosso da NOME COGNOME ed NOME COGNOME nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, di cui erano soci di minoranza, nonché nei confronti dei restanti soci NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME Del RAGIONE_SOCIALE
L’arbitro ha respinto le domande dei soci COGNOME di annullamento delle delibere assunte in data 19.2.2016, dall’assemblea delle due predette società con le quali erano stati autorizzati gli affitti delle rispettive aziende, impugnate per abuso di maggioranza, eccesso di potere e/o conflitto di interessi; ha, invece, accolto la domanda dei medesimi volta ad accertata la responsabilità dei soci di maggioranza convenuti per aver leso -in violazione dei doveri integrativi del contratto sociale di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. – l’aspettativa dei soci di minoranza COGNOME « di partecipazione alle ragionevoli prospettive di reddito e collaborazione nelle due società », condannando i convenuti a risarcire il danno liquidato in via equitativa in 9.013,20 euro.
2.La Corte d’appello ha respinto l’impugnazione proposta dai predetti soci di maggioranza volta alla dichiarazione della nullità del lodo in ragione di sei motivi, ritendo:
infondati i motivi di impugnazione primo e secondo -volti alla declaratoria di nullità del lodo per aver deciso oltre i limiti della convenzione d’arbitrato e in violazione del contraddittorio pronunciando la condanna in relazione ad una delibera adottata dall’assemblea dei soci della RAGIONE_SOCIALE in data 11.2.2016 estranea al thema decidendum) ;
infondati altresì i motivi terzo e quarto -volti alla declaratoria della nullità del lodo per violazione degli artt. 1218, 1175 1375 2043 e 2479 ter c.c. avendo l’arbitro condannato i soci di maggioranza al risarcimento del danno in favore di quelli di minoranza pur avendo accertato che le due libere assembleari impugnate erano state assunte in conformità della legge dell’atto costitutivo;
infondato il quinto motivo di nullità relativo, da un lato, alla mancanza di prova di un danno direttamente incidente sul patrimonio dei soci e non mero riflesso del danno subito dalle due società, per aver affittato a condizioni economiche svantaggiose le rispettive aziende sociali; dall’altro alla determinazione in via equitativa del danno individuato nella « frustrazione delle ragionevoli aspettative di reddito e di collaborazione dei soci di minoranza» senza che di siffatto danno fosse concretamente accertata l’ontologica esistenza, e, comunque senza aver verificato l’impossibilità -o l’estrema difficoltà -di dimostrare l’esatto ammontare del danno stesso; e detta infondatezza la Corte territoriale ha ritenuto in quanto: (i) la contestazione relativa alla sussistenza di un danno incidente direttamente nella sfera patrimoniale dei soci minoritari per effetto dell’approvazione delle due delibere impugnate non si confrontava con le ragioni poste a fondamento della statuizione risarcitoria, in effetti riferite alla violazione dei doveri di correttezza e buona fede non in relazione alle determinazioni adottate dall’assemblea, bensì in relazione alla conduzione dei lavori assembleari, collocandosi, quindi, sul
versante delle relazioni intersoggettive all’interno delle società, ed estrinsecandosi nelle condotte indicate atte a cagionare « una frustrazione delle ragionevoli aspettative di reddito e collaborazione dei soci di minoranza » con motivazione in fatto incensurata; (ii) il ricorso al criterio equitativo di liquidazione doveva ritenersi legittimo tenuto conto delle oggettive difficoltà di misurare l’esatto peso in termini di pregiudizio economico della condotta illegittima ;
infondato il sesto motivo denunciante la violazione delle norme in materia di liquidazione delle spese.
-Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi di ricorso, che hanno illustrato anche con memoria. NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno resistito con controricorso corredato di memoria
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo del ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 2056, 2395, 2476 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Per quel che si può comprendere da una narrativa, che si avvale della collazione mediante «copia e incolla» di parti dell’atto di appello della memoria di replica e della sentenza gravata, del richiamo di principi astratti in tema di risarcibilità del danno non puntualmente connessi alla fattispecie oggetto di ricorso, i ricorrenti chiedono alla Corte « di stabilire se ‘le ragionevoli aspettative di reddito e di collaborazione dei soci di minoranza’ di una società di capitali rappresentino un interesse giuridicamente tutelato dall’ordinamento societario, se quindi la loro ‘ frustrazione’ costituisca un evento di danno giuridicamente rilevante; con quale criterio giuridico debbano sceverarsi dal novero delle conseguenze
dannose provocate dalla lesione di un siffatto interesse quelle che sole possano dirsi risarcibili ai sensi dell’art. 1223 c.c.», censurando, in sostanza, l’erroneità della pronuncia della Corte territoriale in quanto – a loro dire – affermativa di quanto precede, poiché dette « ragionevoli aspettative » non sono tutelate dall’ordinamento societario e « il danno evento non può essere confuso con il danno conseguenza »; sicchè, comunque, l’aver ritenuto lese dette aspettative non bastava, essendo necessario che la Corte di merito -e prima l’arbitro -individuasse le conseguenze pregiudizievoli che ne erano derivate, per poi procedere alla loro liquidazione.
In altre parole la Corte avrebbe errato a ritenere « ragionevoli aspettative di reddito e collaborazione dei soci di minoranza» un interesse giuridicamente tutelato dall’ordinamento, non tenendo conto che i diritti di voto e di partecipazione dei soci di una società di capitali non comportano il diritto o l’aspettativa di conseguire reddito e di collaborare direttamente all’attività di impresa, ed avrebbe confuso « la lesione di aspettative ragionevoli di reddito» con il danno senza individuare in concreto quali conseguenze dannose aveva provocato la frustrazione di quelle ragionevoli aspettative.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2056, 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nonché omessa motivazione integrante violazione degli articoli 111 comma 6 cost., 132 comma 2, e 4 c.p.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c., in quanto, a fronte del fatto che con l’impugnazione del lodo gli odierni ricorrenti avevano lamentato che l’arbitro avesse liquidato in via equitativa il danno in assenza di accertamento dello stesso e di motivazione circa l’impossibilità di una stima dello stesso in ragione di fattori oggettivi, la Corte avrebbe risposto laconicamente, con una argomentazione carente e nello stesso tempo contraria ai
principi in materia, potendosi il giudice avvalere del potere equitativo in quanto abbia previamente accertato il danno e l’impossibilità o la rilevante difficoltà nella stima dello stesso (in termini oggettivi e non meramente supposti) non dipendente dall’inerzia della parte gravata dall’onere della prova.
La Corte d’appello quindi avrebbe falsamente applicato l’articolo 1226 c.c. incorrendo anche in assoluto difetto di motivazione sul punto non avendo individuato quali conseguenze dannose aveva provocato il «danno evento» della « frustrazione delle ragionevoli aspettative di reddito e collaborazione dei soci di minoranza », né dichiarato di aver riscontrato e non supposto che la difficoltà nella stima del danno era rilevante ed oggettiva, né motivato le ragioni di tale difficoltà né se tale difficoltà era incolpevole.
3.- Entrambi i motivi, che possono essere esaminati insieme essendo evidentemente connessi, sono chiaramente inammissibile perché non si confrontano con la ratio decidendi della pronuncia impugnata; la quale non afferma affatto quanto sostengono i ricorrenti nel primo mezzo ma -come detto poco sopra – respinge il quinto motivo d’appello poiché con esso, gli appellanti, non si confrontavano con le ragioni poste dalla decisione arbitrale a fondamento della statuizione risarcitoria, riferite alla violazione dei doveri di correttezza e buona fede non con riguardo ai deliberati assembleari bensì in relazione alla conduzione dei lavori assembleari, ed estrinsecatasi nelle condotte indicate nella decisione arbitrale stessa e ritenute atte a cagionare « una frustrazione delle ragionevoli aspettative di reddito e collaborazione dei soci di minoranza » con motivazione ritenuta in fatto incensurata.
La Corte d’Appello riporta, quindi, le sole ragioni dell’arbitro unico che reputa non aggredite da idoneo motivo do gravame, senza farle proprie. Sicchè risultano inconferenti tutte le considerazioni dei ricorrenti volti a censurare la sentenza
impugnata con riguardo alle ragioni di rigetto del quinto motivo d’appello
Sicchè anche il secondo motivo di cassazione è inammissibile: anche a voler prescindere dalla ragione di inammissibilità che deriva dal fatto che detto motivo propone genericamente e cumulativamente vizi per error in iudicando e vizi per error in procedendo tra loro logicamente incompatibili, quali, appunto, la violazione di norme di diritto sostanziali – che presuppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione delle norme invocate – e il vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ritenendoli non accertati attraverso idonea motivazione (cfr. Cass. n. 4979/2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018; Cass. nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554 del 2017; Cass. nn. 21016 e 19133 del 2016), tale mezzo invoca la violazione dell’obbligo motivazionale censurando tuttavia il merito della decisione assunta in punto sussistenza nella fattispecie dei presupposti per una liquidazione in via equitativa del danno, decisione che la Corte di merito assume a fronte del fatto che il danno da liquidare era stato individuato dall’arbitro con pronuncia non idoneamente aggredita con l’appello, e che rispetto a siffatto danno risultava legittimo il ricorso al criterio equitativo tenuto conto « della natura dell’interesse giuridico leso e della oggettiva difficoltà di misurarne l’esatto peso in termini di pregiudizio patrimonial e»; motivazione che oltre ad essere declinata su quella del lodo per come «stabilizzatasi» pur dopo l’impugnativa, da un lato, non può certo dirsi inesistente, e, quindi, non corrispondente neppure a quel minimo costituzionale la cui sola assenza può costituire ragione di ricorso in cassazione per vizio di legittimità ex art. 360 n. 4 c.p.c. (v. Cass. Sez. Un. n.8053/2014); dall’altro, entro detto minimum, dà conto – seppure
succintamente, proprio della sussistenza dei presupposti del ricorso al criterio liquidativo secondo equità che i ricorrenti reputano, invece, omessi.
3.- Resta da aggiungere che nella memoria depositata i ricorrenti hanno osservato, quanto al secondo motivo, che il «problema» nella specie starebbe non nella « oggettiva difficoltà della prova ma nell’inesistenza del fatto da provare, che non può essere sostituito dal potere equitativo dell’arbitro », e ripercorrono il modo in cui l’arbitro ha proceduto al risarcimento del danno, partendo dai compensi che NOME COGNOME avrebbe potuto percepire come amministratore se fosse rimasta in carica fino alla data del lodo e pur precisando che il danno da liquidare non consisteva nella perdita di quei compensi -ha quantificato il danno nella misura di 1/3 di detti compensi per un totale di risarcimento dovuto solidalmente dai soci di maggioranza a favore della sig. COGNOME di euro 9013,20, senza dire nulla con riguardo all’altro socio NOME COGNOME, e, tuttavia, nel dispositivo ha condannato – in insanabile contrasto con la parte motiva del lodo – i soci di maggioranza al risarcimento del danno nei confronti dei soci di minoranza NOME e NOME COGNOME nell’ammontare predetto; ciò premesso sottolineano che queste evidenti aporie del lodo sarebbero state trasfuse nella sentenza impugnata che le ha fatte proprie, condividendo per relationem e sbrigativamente la decisione dell’arbitro.
Tuttavia così facendo, i ricorrenti introducono inammissibilmente una ragione ulteriore di illegittimità della decisione, pacifico essendo che la memoria ex art. 378 c.p.c. – e lo stesso vale per quella di cui all’art. 380 -bis.1 – non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente, cioè in maniera completa, compiuta e definitiva, enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il
quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (Cass. 30 marzo 2023, n. 8949; cfr. pure: Cass. 20 dicembre 2016, n. 26332; Cass. 22 febbraio 2016, n. 3471).
4.- Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE; condanna i ricorrente in solido fra loro al pagamento delle spese di lite in favore di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, liquidate nell’importo di euro 4.200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.11.2024.