Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22159 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22159 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12351 R.G. anno 2021 proposto da:
Bona NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso lo studio Orrick, Herrington e Sutcliffe;
contro
ricorrente
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME
intimato avverso la sentenza n. 971/2019 della Corte di appello di Milano, pubblicata il 4 febbraio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2025
dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME soci al 50% ed ex amministratori di RAGIONE_SOCIALE, hanno convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE nonché NOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente presidente del consiglio di amministrazione, consigliere di amministrazione e sindaco della stessa RAGIONE_SOCIALE illustrando una serie di vicende societarie asseritamente preordinate in loro danno. Tali vicende erano sfociate in una delibera invalida, assunta il 30 dicembre 2013 dalla detta società -delibera con la quale erano stati nominati amministratori COGNOME e COGNOMEe successivamente, nella cessione, da parte di COGNOME in qualità di liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, delle quote di RAGIONE_SOCIALE, di cui la prima società era detentrice. Detta cessione era stata operata per il corrispettivo di euro 3.000.000,00, significativamente inferiore al valore nominale e a quello di mercato delle dette partecipazioni.
Gli attori hanno quindi chiesto di accertare la responsabilità dei convenuti con conseguente loro condanna al risarcimento dei danni, sia patrimoniali (quantificati in euro 13.200.000,00, pari alla differenza tra il valore della partecipata ceduta e il corrispettivo vile percepito da Finpower), sia non patrimoniali (indicati in euro 1.000.000,00).
Nella resistenza di COGNOME COGNOME e COGNOME il Tribunale di Milano ha respinto la domanda attrice e condannato gli attori al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. nei confronti dei nominati convenuti.
In esito al giudizio di appello proposto dagli attori soccombenti in primo grado, in cui si sono costituiti RAGIONE_SOCIALE e COGNOME la Corte di Milano ha respinto il gravame.
Ricorrono per cassazione, con quattro motivi, NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo è denunciata la violazione degli artt. 2476 c.c. e 81 c.p.c.. Deducono i ricorrenti che la domanda risarcitoria da loro proposta era rivolta agli organi di gestione e controllo di RAGIONE_SOCIALE, di cui gli stessi non erano stati mai soci, per le condotte poste in atto con riferimento alla delibera del 30 novembre 2013. Il pregiudizio risentito dagli istanti risulterebbe così essere un danno diretto alla loro sfera patrimoniale, dipendente dalle condotte illecite poste in essere da NOME NOME COGNOME già presidente del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE con la complicità di NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente consigliere di amministrazione e sindaco della predetta società. Assumono gli istanti che tali condotte «si pongono in stretto legame di consequenzialità eziologica con tutti gli ulteriori danni -patrimoniali e non -direttamente subiti» da loro stessi.
Col secondo mezzo si prospetta la nullità della sentenza impugnata per motivazione meramente apparente e si denuncia la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, n. 4, c.p.c.. Viene censurato il passaggio motivazionale della pronuncia impugnata in cui è affermato che gli appellanti «non censurato la sentenza chiarendo quali altri pregiudizi sarebbero stati da loro direttamente patiti, ma si limitati a svolgere generiche censure alla pronuncia di primo grado, inidonee ad incrinare l’iter logico argomentativo seguito dal primo Giudice». I ricorrenti deducono che nei propri scritti difensivi avevano compiutamente allegato le condotte illegittime tenute da COGNOME COGNOME e COGNOME ai loro danni, onde la sentenza impugnata risulterebbe connotarsi, a loro avviso, per contraddittorietà ed illogicità.
Il terzo motivo censura la decisione di appello per motivazione perplessa e incomprensibile, oltre che per manifesta e irriducibile contraddittorietà; anche in questo caso si lamenta la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, n. 4, c.p.c.. La doglianza investe la
pronuncia nella parte in cui ha ritenuto tardiva un’ allegazione difensiva dei ricorrenti, siccome contenuta nella comparsa conclusionale di appello. Si oppone che con l’atto di citazione di primo grado si era già dedotto in merito alla condotta menzionata nella detta conclusionale e alle conseguenze che ne erano derivate.
– I tre mezzi di censura si prestano a una trattazione congiunta, siccome convergenti sul tema dell’allegazione del danno diretto asseritamente risentito dai ricorrenti.
La Corte di appello ha osservato, per quanto utile ai presenti fini: che il Tribunale aveva correttamente evidenziato come gli attori avessero fatto valere il pregiudizio subito dalla società RAGIONE_SOCIALE, pregiudizio rappresentato dalla diminuzione del patrimonio conseguente alla vendita della partecipazione della medesima in RAGIONE_SOCIALE; che il danno in questione quindi costituiva, per gli appellanti, un pregiudizio meramente riflesso, siccome rappresentato dalla diminuzione di valore della partecipazione degli stessi in RAGIONE_SOCIALE; che nel giudizio di gravame gli appellanti non avevano censurato la sentenza chiarendo quali altri pregiudizi sarebbero stati da loro direttamente patiti; che i predetti si erano infatti limitati a svolgere generiche censure inidonee a incrinare l’iter logico e argomentativo seguito dal Giudice di primo grado; che il motivo di appello con cui si era censurata la pronuncia di primo grado nella parte concernente la mancata l’allegazione del danno riconducibile alle condotte dei convenuti risultava essere generico, in quanto gli appellanti non avevano neppure identificato tali condotte, e non avevano spiegato quali danni sarebbero stati riferibili a COGNOME; che nella comparsa conclusionale gli appellanti avevano introdotto nuove allegazioni difensive, diverse da quelle svolte nel giudizio di primo grado, le quali risultavano inammissibili -in quanto gli appellanti stessi avevano inteso collegare la condotta illecita contestata a COGNOME a una delibera assunta in data 30 novembre 2013, introducendo, così, nuove
allegazioni difensive – e comunque infondate nel merito, perché sfornite di riscontro.
4. – Ciò posto, la Corte di appello ha nella sostanza reputato inammissibili, per assenza di contenuto critico, i motivi di appello cui si correlano i mezzi di censura in esame: lo si desume chiaramente dal passaggio della motivazione in cui si dà atto della genericità delle censure portate contro la sentenza di primo grado, che secondo il Giudice distrettuale non erano corredate delle allegazioni pertinenti alle condotte illecite e ai danni lamentati. D’altro canto, la necessità che l’impugnazione affianchi alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice trova fondamento proprio nel disposto dell’art. 342 c.p.c. (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199; in senso conforme, Cass. Sez. U. 13 dicembre 2022, n. 36481).
5. – A fronte dell’indicata statuizione, e a prescindere dall’impropria deduzione, col primo motivo, della censura di error in iudicando (art. 360, n. 3, c.p.c.), piuttosto che di quella di error in procedendo (art. 360, n. 4, c.p.c.), competeva ai ricorrenti di indicare, nel ricorso, le ragioni per cui si è ritenuta erronea la statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, non potendo il ricorrente per cassazione limitarsi a rinviare all’atto di appello, dovendo invece riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 6 settembre 2021, n. 24048; Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 20 settembre 2006, n. 20405).
Nel giudizio di merito si è dibattuto del danno risentito dai ricorrenti per effetto delle condotte, asseritamente illecite, imputate ai convenuti RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, COGNOME e COGNOME. Il Tribunale aveva rilevato che il danno conseguente alla dismissione a prezzo vile della partecipazione di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE si era prodotto nella sfera patrimoniale della prima società, non dei ricorrenti odierni, che ne
erano soci. Sul punto, il Giudice di primo grado ha fatto applicazione del principio per cui qualora una società di capitali subisca, per effetto dell’illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito (per tutte: Cass. Sez. U. 24 dicembre 2009, n. 27346).
Col primo motivo di ricorso non è spiegato in che modo l’appello proposto sconfessi l’affermazione della Corte di merito secondo cui la sentenza di primo grado era stata censurata in modo generico, avendo riguardo al richiamato profilo: il motivo non reca infatti alcuna trascrizione di deduzioni pertinenti al tema indicato. I ricorrenti si sono limitati ad esporre quale sarebbe stato, a loro avviso, il reale tema del contendere, senza fornire alcuna indicazione delle allegazioni riferite ai danni direttamente da loro risentiti per effetto delle condotte illecite denunciate.
Il mezzo è dunque inammissibile.
– Anche il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.
Il secondo investe la statuizione relativa alla genericità delle censure proposte: statuizione che, come si è detto, ha natura processuale. Il terzo si dirige contro un altro dictum del Giudice di appello che ha la medesima connotazione: si tratta dell’affermazione per cui le allegazioni contenute nella comparsa conclusionale di appello erano tardive.
Ora, in tema di errores in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa
motivazione (tra le tante: Cass. 2 settembre 2019, n. 21944; Cass. 10 novembre 2015, n. 22952; Cass. 16 dicembre 2005, n. 27728; 24 novembre 2004, n. 22130).
– Si osserva, per completezza, che entrambi i motivi sono carenti di specificità, in quanto rinviano genericamente ad atti del giudizio, nel mentre l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi deve avvenire, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481). Col secondo motivo i ricorrenti fanno cenno a danni, da loro risentiti, che asseriscono di aver allegato (un danno patrimoniale legato ad alcuni progetti, un danno all’immagine commerciale e un danno non patrimoniale legato alle condizioni di disagio, stress e sofferenza morale), ma non si mostrano capaci di precisare a questa Corte quale fosse il preciso contenuto, per la parte di interesse, degli atti che avrebbero veicolato le relative deduzioni. Col terzo mezzo il tema dei danni risentiti dai ricorrenti, che è centrale nella logica della sentenza impugnata, non viene nemmeno menzionato: gli istanti fanno ivi generico richiamo alle sole condotte che avrebbero tenuto i convenuti con riguardo alla vicenda che interessa.
– Col quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 96 c.p.c.. I ricorrenti assumono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, le loro allegazioni risultavano essere rituali e tempestive e che la responsabilità aggravata non si configurava, in assenza di loro malafede o colpa grave. Censurano la pronuncia avendo anche riguardo al quantum della condanna loro inflitta.
– Anche tale motivo è inammissibile.
– La Corte territoriale ha posto in risalto la natura gravemente imprudente dell’azione proposta dagli attori, che emergeva dalla carenza di allegazioni quanto a specifiche condotte dannose riconducibili ai convenuti; ha quindi reputato equa la quantificazione del danno operata dal Tribunale.
11. – il Giudice di appello ha dunque reputato che, per quanto esposto, l’azione giudiziaria fosse stata proposta con colpa grave. Ebbene, l’accertamento della responsabilità aggravata, che ricorre quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, rientra nei compiti del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass. 4 marzo 2022, n. 7222; Cass. 8 marzo 2007, n. 5337). La censura in punto di quantum è poi carente di specificità e concludenza: risultano infatti inesplicate le ragioni per cui il risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. debba essere quantificato in un importo inferiore rispetto a quello delle spese processuali.
– Il ricorso è dichiarato inammissibile.
– Le spese d i giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 25.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione