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Danno riflesso del socio: la Cassazione fa chiarezza

Due soci agiscono per il risarcimento dei danni derivanti dalla svendita di una partecipazione societaria. La Cassazione chiarisce che il pregiudizio al valore della quota è un danno riflesso del socio, risarcibile solo dalla società. L’appello generico viene dichiarato inammissibile.

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Danno Riflesso del Socio: Quando il Socio non Può Chiedere il Risarcimento

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto societario: la distinzione tra il danno subito direttamente dalla società e il cosiddetto danno riflesso del socio. Questa pronuncia sottolinea come il pregiudizio che un socio subisce a causa della diminuzione di valore della sua partecipazione, derivante da un illecito che ha colpito il patrimonio sociale, non gli conferisce un’autonoma azione di risarcimento. Analizziamo insieme i dettagli della vicenda e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Due soci, ex amministratori di una S.r.l., avevano citato in giudizio un’altra società e i suoi organi amministrativi e di controllo. Secondo i soci attori, i convenuti avevano posto in essere una serie di condotte illecite culminate nella vendita di una partecipazione societaria, detenuta dalla società danneggiata, a un prezzo notevolmente inferiore al suo valore reale. Gli attori lamentavano di aver subito, a causa di questa operazione, un ingente danno patrimoniale, quantificato nella differenza tra il valore effettivo della partecipazione ceduta e il basso corrispettivo incassato, oltre a un danno non patrimoniale.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto le loro richieste. I giudici di merito avevano stabilito che il danno lamentato era, in realtà, un danno subito dal patrimonio della società e che, di conseguenza, l’eventuale pregiudizio per i soci era solo una conseguenza indiretta e “riflessa”. Pertanto, l’azione risarcitoria spettava unicamente alla società danneggiata. Inoltre, la Corte d’Appello aveva giudicato generici e inammissibili i motivi di gravame proposti dai soci, confermando la loro condanna al risarcimento per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.

La Questione del Danno Riflesso del Socio

Il cuore della controversia giuridica risiede nella distinzione tra il danno diretto alla società e il danno diretto al socio. La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato, espresso dalle Sezioni Unite (sent. n. 27346/2009).

Quando un atto illecito di un terzo (in questo caso, gli amministratori della società acquirente) colpisce il patrimonio di una società di capitali, il diritto al risarcimento spetta esclusivamente alla società stessa. L’incidenza negativa che tale danno provoca sui diritti del socio, come la diminuzione del valore della sua quota o la perdita di utili, è considerata un danno riflesso del socio. Non è una conseguenza immediata e diretta dell’illecito, ma un effetto mediato del pregiudizio subito dal patrimonio sociale. Di conseguenza, il singolo socio non è legittimato ad agire individualmente per ottenere il ristoro di tale pregiudizio.

L’Importanza della Specificità dei Motivi di Appello

Un altro aspetto fondamentale evidenziato dalla Corte riguarda i requisiti formali delle impugnazioni. La Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile il gravame perché i motivi erano generici. La Cassazione conferma questa linea, ricordando che, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., l’atto di appello non può limitarsi a una mera riproposizione delle proprie tesi. Deve contenere una parte argomentativa che confuti specificamente le ragioni della sentenza di primo grado. L’appellante ha l’onere di individuare i passaggi della pronuncia che intende contestare e di esporre le ragioni per cui li ritiene errati. Nel caso di specie, i ricorrenti non erano riusciti a dimostrare di aver mosso critiche specifiche e pertinenti alla decisione del Tribunale sul tema del danno riflesso, rendendo il loro appello inammissibile.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili tutti i motivi di ricorso. In primo luogo, ha stabilito che i ricorrenti non avevano adeguatamente contestato la statuizione della Corte d’Appello sulla genericità del gravame. Essi avrebbero dovuto, nel ricorso per cassazione, trascrivere le parti rilevanti dell’atto di appello per dimostrarne la specificità, cosa che non è avvenuta. In secondo luogo, la Corte ha sottolineato come la censura relativa alla presunta violazione di legge fosse in realtà un error in procedendo (errore processuale) mascherato da error in iudicando (errore di giudizio), e come tale andava formulato in modo diverso.

Infine, anche il motivo relativo alla condanna per responsabilità aggravata (lite temeraria) ex art. 96 c.p.c. è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ricordato che la valutazione sulla sussistenza della malafede o colpa grave rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è adeguatamente motivata. La Corte territoriale aveva correttamente evidenziato la grave imprudenza dell’azione legale, data la carenza di allegazioni specifiche su condotte dannose direttamente riconducibili ai convenuti e la chiara applicabilità del principio del danno riflesso.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. La prima, di natura sostanziale, è una ferma riconferma del principio secondo cui il socio non può agire per il risarcimento del danno riflesso del socio, ossia per la perdita di valore della sua quota causata da un danno al patrimonio sociale; tale azione spetta solo alla società. La seconda, di natura processuale, è un monito sulla necessità di formulare impugnazioni specifiche e critiche, che non si limitino a riproporre le tesi già esposte, pena l’inammissibilità del gravame. La vicenda si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, a conferma della solidità delle decisioni dei precedenti gradi di giudizio.

Quando un illecito danneggia il patrimonio di una società, il singolo socio può chiedere il risarcimento per la perdita di valore della sua quota?
No. Secondo la Corte, questo tipo di pregiudizio costituisce un “danno riflesso” e non una conseguenza immediata e diretta dell’illecito. Il diritto al risarcimento spetta unicamente alla società, in quanto è il suo patrimonio ad essere stato direttamente colpito.

Quali sono i requisiti perché un motivo di appello non sia considerato generico?
L’appello deve contenere una parte argomentativa specifica che confuti e contrasti le ragioni addotte dal giudice di primo grado. Non è sufficiente riproporre le proprie tesi, ma è necessario indicare con precisione perché la decisione impugnata è ritenuta errata, criticandone l’iter logico-argomentativo.

Cosa si intende per responsabilità aggravata per lite temeraria (art. 96 c.p.c.) e quando si applica?
È una forma di risarcimento del danno a cui può essere condannata la parte che ha agito o resistito in giudizio con malafede (consapevolezza di avere torto) o colpa grave (grave imprudenza). Nel caso esaminato, è stata ravvisata la colpa grave nell’aver intrapreso un’azione legale basata su allegazioni carenti riguardo a specifiche condotte dannose e ignorando principi giuridici consolidati come quello del danno riflesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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