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Danno reputazionale: risarcimento per espulsione

Un socio, espulso illegittimamente dal consiglio direttivo di un’associazione, ha ottenuto in appello il risarcimento per danno reputazionale. La Corte ha ritenuto che la diffusione della notizia, unita alla posizione sociale della vittima, fossero sufficienti a giustificare un indennizzo liquidato in via equitativa, riformando la decisione di primo grado che aveva negato il risarcimento per mancanza di prove.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno Reputazionale: Quando l’Espulsione Illegittima da un’Associazione Comporta un Risarcimento

L’espulsione da un’associazione, specialmente se si ricopre un ruolo di prestigio, può avere conseguenze che vanno oltre la semplice perdita della carica. Quando il provvedimento è illegittimo e la notizia si diffonde, si può configurare un vero e proprio danno reputazionale. Una recente sentenza della Corte di Appello di Roma ha affrontato proprio questo tema, stabilendo che il risarcimento è dovuto anche se non è possibile quantificare monetariamente in modo esatto il pregiudizio subito.

I Fatti del Caso

La vicenda ha come protagonista un membro storico e rispettato di un’associazione locale, da tempo attivo nella vita della sua comunità e con un passato da consigliere di circoscrizione. A seguito di dissidi interni, il Consiglio Direttivo dell’associazione lo espelleva con una delibera poi risultata illegittima. L’uomo decideva di agire in giudizio per far dichiarare la nullità del provvedimento e chiedere un risarcimento per il grave danno alla sua immagine e al suo prestigio sociale, aggravato dalla diffusione della notizia nella piccola comunità e sulla stampa locale.

In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda di nullità della delibera, riconoscendone l’illegittimità, ma respingeva la richiesta di risarcimento del danno. Secondo il giudice, l’attore non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare l’esistenza di un concreto pregiudizio “conseguenza” dell’espulsione. Insoddisfatto, l’ex consigliere proponeva appello.

La Decisione della Corte d’Appello sul Danno Reputazionale

La Corte di Appello ha ribaltato la decisione di primo grado riguardo alla richiesta di risarcimento. I giudici hanno ritenuto che il danno reputazionale fosse sussistente e meritasse di essere risarcito. La Corte ha sottolineato che, ai fini della prova del danno, non è necessario dimostrare un pregiudizio economico diretto, ma occorre valutare un insieme di fattori.

Il provvedimento di espulsione, ingiustificato e arbitrario, unito alla sua diffusione mediatica (anche attraverso un noto quotidiano locale), aveva inevitabilmente leso la reputazione dell’appellante. La sua posizione sociale, consolidata da anni di impegno e riconoscimenti pubblici, rendeva la lesione ancora più significativa. Pertanto, la Corte ha condannato l’associazione a versare una somma a titolo di risarcimento, determinata in via equitativa.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su principi consolidati in giurisprudenza. Per verificare la sussistenza di un danno reputazionale, il giudice deve considerare:

1. La diffusione della notizia lesiva: Nel caso di specie, era pacifico che la notizia dell’espulsione avesse avuto un’ampia eco, raggiungendo non solo i membri dell’associazione ma anche la comunità locale tramite la stampa.
2. La posizione sociale della vittima: L’appellante era una figura nota e stimata, che aveva goduto in passato della fiducia dei suoi concittadini, come dimostrato dalla sua elezione a cariche pubbliche. Un’accusa infamante o un provvedimento di espulsione hanno un impatto maggiore su chi gode di un’elevata reputazione.
3. Le conseguenze effettive: La Corte ha ritenuto che la lesione alla reputazione fosse una conseguenza diretta e prevedibile di un’espulsione ingiustificata e ampiamente pubblicizzata.

Di fronte all’impossibilità di calcolare con precisione matematica il valore della reputazione perduta, i giudici hanno fatto ricorso al criterio della liquidazione equitativa. Hanno quindi stabilito un importo (nella fattispecie, 2.500,00 euro) ritenuto congruo a ristorare il danno morale e di immagine subito dall’appellante. La Corte ha inoltre chiarito un punto sulle spese legali: pur avendo vinto sul risarcimento, l’appellante aveva visto respinte altre sue domande in primo grado. Per questo, la decisione iniziale del Tribunale di compensare parzialmente le spese era corretta, in applicazione del principio della soccombenza reciproca.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la tutela della reputazione è un diritto che trova protezione anche all’interno delle dinamiche associative. Un’espulsione illegittima non è solo un atto nullo, ma può costituire un illecito che genera un obbligo di risarcimento. La decisione insegna che, per ottenere giustizia, non è sempre necessario fornire una prova contabile del danno. Elementi come la notorietà della persona offesa e la risonanza mediatica della notizia lesiva possono essere sufficienti a fondare una richiesta di risarcimento, la cui quantificazione è affidata alla valutazione equitativa del giudice. Un monito per tutte le associazioni a operare nel rispetto delle regole e della dignità dei propri membri.

Quando un’espulsione illegittima da un’associazione dà diritto a un risarcimento per danno reputazionale?
Secondo la sentenza, il risarcimento è dovuto quando l’espulsione è ingiustificata e la notizia della stessa si diffonde, ledendo la reputazione e la posizione sociale della persona, specialmente se questa è una figura nota e rispettata all’interno della sua comunità.

Come si calcola l’importo del risarcimento per il danno alla reputazione?
La sentenza stabilisce che, quando è impossibile o particolarmente difficile provare l’esatto ammontare del danno, il giudice può determinarlo secondo un criterio “meramente equitativo”, basandosi sulla gravità del fatto, la diffusione della notizia e la posizione sociale della vittima.

La vittoria in appello su un punto specifico garantisce il rimborso totale delle spese di primo grado?
Non necessariamente. La Corte ha chiarito che se un parte vince su alcuni punti ma perde su altri, il giudice può disporre una compensazione parziale delle spese legali. Nel caso specifico, siccome in primo grado l’attore aveva vinto solo su una parte delle sue domande, la decisione di non addossare tutte le spese alla controparte è stata ritenuta corretta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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