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Danno rapporto parentale: prova e liquidazione

La Corte d’Appello di Trieste ha confermato la condanna di un’azienda sanitaria al risarcimento per il danno da perdita del rapporto parentale subito dai familiari di una paziente deceduta a seguito di complicazioni mediche. La sentenza chiarisce che, sebbene per i familiari stretti il legame affettivo sia presunto, l’intensità di tale legame, necessaria per quantificare il danno, deve essere provata concretamente. La Corte ha ritenuto insufficiente la mera non contestazione da parte dell’azienda, basando la sua decisione sulle prove testimoniali che hanno dimostrato la profondità e la costanza dei rapporti tra la defunta e i suoi cari.

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Pubblicato il 10 giugno 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da Perdita del Rapporto Parentale: Quando la Presunzione Non Basta

Il danno da perdita del rapporto parentale rappresenta una delle voci di danno più delicate e complesse da quantificare. Quando una persona muore a causa di un illecito altrui, come un caso di malasanità, i suoi familiari più stretti subiscono una sofferenza che merita un risarcimento. Ma come si misura il valore di un legame spezzato? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Trieste offre importanti chiarimenti, spiegando che la semplice appartenenza al nucleo familiare non è sufficiente per determinare l’ammontare del risarcimento. È necessario fornire una prova concreta dell’intensità e della qualità del rapporto perduto.

I Fatti del Caso

Una donna anziana, a seguito di una frattura, veniva sottoposta a un intervento chirurgico. Purtroppo, il suo decorso post-operatorio è stato segnato da un progressivo e inesorabile peggioramento, culminato con il decesso a causa di complicazioni e infezioni. I figli e i fratelli della donna, ritenendo responsabile l’azienda sanitaria per la gestione del caso, hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti, sia iure hereditatis (come eredi) sia iure proprio (per la sofferenza personale derivante dalla perdita della loro cara).

Il Tribunale di primo grado ha accolto la domanda, condannando l’azienda sanitaria a pagare un risarcimento. L’azienda ha però proposto appello, non contestando la propria responsabilità, ma l’ammontare del risarcimento, ritenuto eccessivo. In particolare, l’appellante sosteneva che il giudice avesse errato nell’attribuire un punteggio elevato per la “qualità e intensità della relazione” basandosi sulla presunta mancata contestazione dei fatti da parte dell’azienda stessa.

La Decisione della Corte d’Appello sul danno da perdita del rapporto parentale

La Corte d’Appello di Trieste ha rigettato l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado e, di conseguenza, l’importo del risarcimento. La Corte ha però corretto la motivazione del primo giudice, chiarendo un principio fondamentale in materia di prova del danno da perdita del rapporto parentale. La decisione non si è basata sulla mancata contestazione, ma sulle prove testimoniali ammesse nel corso del giudizio, che hanno dimostrato in modo inequivocabile la profondità del legame che univa la defunta ai suoi familiari.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra la presunzione dell’esistenza del danno e la necessità di provarne la concreta entità.

Presunzione vs. Prova Concreta

La Corte di Cassazione, richiamata nella sentenza, stabilisce che per i membri del “nucleo familiare minimo” (genitori, figli, coniuge, fratelli) la perdita di un rapporto affettivo si presume (presunzione iuris tantum). In altre parole, la legge dà per scontato che la morte di un familiare stretto causi sofferenza. Tuttavia, questa presunzione copre solo l’esistenza del danno in sé, una sorta di “quota standard”.

Per ottenere un risarcimento che tenga conto della reale portata della perdita, ovvero della componente “dinamico-relazionale” del danno, i familiari devono andare oltre la presunzione. Devono dimostrare attivamente la consistenza, l’intensità e l’effettività della relazione affettiva. Questo significa provare, ad esempio, la frequenza dei contatti, la condivisione di momenti importanti, il sostegno reciproco e le conseguenze negative che la perdita ha avuto sulla loro vita quotidiana.

I Limiti dell’Onere di Contestazione

La Corte d’Appello ha specificato che il primo giudice aveva errato nel basare la sua decisione sulla mancata contestazione da parte dell’azienda sanitaria. L’onere di contestazione, infatti, vale solo per i fatti che rientrano nella sfera di conoscibilità della parte convenuta. Le dinamiche interne di una famiglia, i sentimenti e la frequenza delle visite sono fatti privati che un’azienda ospedaliera non può conoscere e, quindi, non può essere tenuta a contestare specificamente. Di conseguenza, la prova di tali circostanze deve essere fornita da chi le afferma, cioè i familiari danneggiati.

L’Importanza della Prova Testimoniale

Proprio per colmare questa lacuna, la Corte ha dato pieno valore alle deposizioni dei testimoni. Dalle testimonianze è emerso un quadro chiaro e toccante: la defunta era una persona attiva e un pilastro per la sua famiglia. I figli e i fratelli le erano costantemente vicini, condividendo festività, eventi familiari importanti (come il matrimonio di un figlio, celebrato cercando di coinvolgere la madre nonostante fosse ricoverata) e supportandola costantemente durante la malattia. I testimoni hanno descritto un legame solido, fatto di visite assidue, sostegno morale e sofferenza condivisa per il progressivo peggioramento delle sue condizioni, percepito da tutti come un esito ineluttabile e doloroso.

Conclusioni

Questa sentenza offre una lezione pratica fondamentale: chi chiede un risarcimento per il danno da perdita del rapporto parentale non può fare affidamento unicamente sul vincolo di parentela. Sebbene la sofferenza sia presunta, la sua reale dimensione va provata con elementi concreti. Le testimonianze, ma anche fotografie, lettere o altri documenti, diventano strumenti cruciali per dimostrare al giudice non solo che esisteva un legame, ma quanto quel legame fosse profondo e centrale nella vita dei superstiti. Solo così è possibile ottenere una liquidazione del danno che sia veramente equa e commisurata alla perdita subita, come correttamente stabilito dalla Corte d’Appello nel caso di specie.

Per ottenere il risarcimento per il danno da perdita del rapporto parentale, basta essere un familiare stretto del defunto?
No. L’appartenenza al “nucleo familiare minimo” (genitori, figli, fratelli) fa presumere l’esistenza della sofferenza, ma per ottenere una liquidazione completa che rifletta l’effettiva intensità del legame, è necessario fornire prove concrete sulla qualità e la consistenza del rapporto affettivo.

La mancata contestazione da parte del convenuto (es. un’azienda ospedaliera) sui legami affettivi della famiglia è sufficiente a provarne l’intensità?
No. La Corte ha chiarito che l’onere di contestazione non si estende a fatti che sono al di fuori della sfera di conoscibilità del convenuto, come le dinamiche private e personali di una famiglia. Pertanto, i familiari devono provare attivamente i loro legami, non potendo fare affidamento sul silenzio della controparte.

Come si calcola in concreto l’entità del risarcimento per la perdita di un familiare?
La quantificazione avviene in via equitativa, spesso utilizzando le tabelle elaborate da alcuni tribunali, come quelle di Milano. Queste tabelle prevedono un punteggio basato su vari indicatori, come la frequenza dei contatti, la condivisione di festività o attività, l’assistenza fornita e la particolare sofferenza causata dalla malattia. La prova testimoniale è fondamentale per attribuire un punteggio corretto a questi indicatori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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