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Danno punitivo: no dalla Cassazione nel lavoro

La Corte di Cassazione ha escluso l’applicabilità del danno punitivo in un caso di prolungata inattività forzata di un lavoratore. L’ordinanza chiarisce che il risarcimento deve limitarsi al pregiudizio effettivo subito, senza finalità sanzionatorie. La Corte ha inoltre specificato che è possibile richiedere un nuovo risarcimento per il protrarsi di condotte lesive in un periodo successivo a quello già giudicato, distinguendo il nuovo danno esistenziale da quello già liquidato in precedenza.

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Danno Punitivo: la Cassazione Conferma il Suo ‘No’ nel Diritto del Lavoro

L’ordinamento italiano non contempla, come regola generale, il risarcimento del danno punitivo. Questo principio è stato ribadito con forza dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza, che ha affrontato il caso di un lavoratore vittima di una prolungata inattività forzata. La decisione chiarisce i confini del risarcimento del danno non patrimoniale, distinguendolo nettamente da qualsiasi finalità sanzionatoria nei confronti del datore di lavoro.

Il Caso: una Lunga Battaglia per il Risarcimento

Un lavoratore, dopo aver subito diversi licenziamenti poi annullati e essere stato reintegrato, ha citato in giudizio la società datrice di lavoro per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa della forzata inattività e del demansionamento.
In primo grado, il Tribunale aveva condannato l’azienda al solo risarcimento del danno non patrimoniale. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione, aveva rigettato anche la domanda di risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità, confermando il resto.
Il lavoratore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la mancata applicazione dei concetti di “danno comunitario” o “danno punitivo“, volti a sanzionare e dissuadere la condotta del datore di lavoro. Anche la società ha presentato un ricorso incidentale, sostenendo che il danno non patrimoniale fosse già stato liquidato in un precedente giudizio.

La Decisione della Corte: i Limiti del Risarcimento

La Corte di Cassazione ha rigettato sia il ricorso principale del lavoratore sia quello incidentale della società, fornendo importanti chiarimenti su due fronti: l’inapplicabilità del danno punitivo e il principio del ne bis in idem.

La Posizione della Corte sul Danno Punitivo e il Ricorso del Lavoratore

La Suprema Corte ha affrontato prioritariamente il motivo relativo al danno punitivo. Ha affermato in modo netto che, nel nostro ordinamento, il risarcimento del danno ha una funzione prettamente compensativa, non sanzionatoria. L’idea di punire il responsabile civile è estranea al sistema, che si concentra sull’effettivo pregiudizio subito dalla vittima. Sebbene le Sezioni Unite abbiano ammesso in passato la possibilità di riconoscere sentenze straniere che liquidano danni punitivi, ciò non ha legittimato l’introduzione di questa categoria generale nel diritto nazionale.
Inoltre, il concetto di “dissuasività” del risarcimento, derivante dal diritto europeo, è applicabile solo in specifici contesti normativi (come la tutela antidiscriminatoria), non invocabili nel caso di specie.
La Corte ha anche dichiarato inammissibile il motivo relativo al danno alla professionalità, poiché il ricorrente si era concentrato sul dimostrare l’inadempimento del datore (il demansionamento), senza fornire allegazioni e prove specifiche sul danno che ne era concretamente derivato.

La Valutazione del Ricorso Incidentale della Società

La Cassazione ha respinto anche le doglianze della società, che lamentava una duplicazione del risarcimento. La Corte ha chiarito che la precedente sentenza aveva liquidato i danni per un periodo di tempo ben definito (fino a ottobre 2008). Il presente giudizio, invece, riguardava le condotte successive (dal novembre 2008 al giugno 2015).
Si trattava, quindi, di un danno nuovo e distinto: un danno esistenziale legato alla lesione della dignità e dell’identità professionale del lavoratore, causato dal protrarsi delle condotte illecite. Pertanto, non vi era alcuna violazione del principio del ne bis in idem.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un’interpretazione consolidata del sistema di responsabilità civile italiano. Il fulcro del risarcimento è il danno-conseguenza, ovvero il pregiudizio effettivo che deriva dalla lesione di un diritto. L’idea di un risarcimento che vada oltre questa funzione riparatoria, per assumere una veste punitiva, è considerata incompatibile con i principi generali, salvo espresse previsioni di legge. La Corte distingue nettamente tra la condotta illecita (il demansionamento o l’inattività) e il danno che ne consegue (la perdita di professionalità, il disagio esistenziale). Per ottenere il risarcimento, non è sufficiente provare la prima, ma è necessario allegare e dimostrare specificamente il secondo. Per quanto riguarda il ricorso della società, la motivazione si basa su una precisa delimitazione temporale dei fatti. La Corte ha ritenuto che il protrarsi di una condotta lesiva oltre il periodo già giudicato generi un nuovo e autonomo diritto al risarcimento per il danno ulteriore che ne deriva, in questo caso qualificato come danno esistenziale.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida due importanti principi nel diritto del lavoro. Primo, esclude categoricamente che un lavoratore possa richiedere un risarcimento con finalità punitiva nei confronti del datore di lavoro, ribadendo la natura strettamente compensativa del danno nel nostro ordinamento. Secondo, chiarisce che il persistere di una condotta illecita da parte del datore di lavoro può generare un nuovo diritto al risarcimento per il periodo non coperto da una precedente sentenza, a condizione che venga provato un danno ulteriore e distinto, come il danno esistenziale alla dignità e all’identità professionale.

È possibile ottenere un risarcimento per “danno punitivo” in Italia a seguito di una condotta illecita del datore di lavoro?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che nell’ordinamento italiano il diritto al risarcimento del danno non ha finalità punitive o sanzionatorie, ma solo compensative del pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato.

Se un lavoratore ha già ottenuto un risarcimento, può chiederne un altro se la condotta illecita del datore di lavoro prosegue?
Sì. È possibile ottenere un nuovo risarcimento se la domanda riguarda un arco di tempo successivo a quello già coperto dalla precedente sentenza. In tal caso, viene risarcito il danno ulteriore (ad esempio, un danno esistenziale) derivante dal protrarsi delle condotte lesive.

Perché la richiesta di risarcimento per danno alla professionalità è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché il lavoratore non ha fornito specifiche allegazioni e prove sul danno concreto subito alla sua professionalità a causa dell’inattività forzata. Secondo la Corte, non è sufficiente dimostrare l’inadempimento del datore di lavoro, ma è necessario provare specificamente il danno che ne è conseguito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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