Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21956 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21956 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5685-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente – ricorrente incidentale -nonché contro
COGNOME
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 516/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/08/2019 R.G.N. 371/2018;
Oggetto
Risarcimento danno rapporto privato
R.G.N.5685/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello di NOME COGNOME e, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Società RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato la domanda del lavoratore, di risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità sofferto a causa della forzata inattività ed ha confermato nel resto la decisione di primo grado, che aveva condannato la datrice di lavoro al risarcimento del danno non patrimoniale.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con due motivi, illustrati da memoria. È stato depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Ricorso principale di NOME COGNOME
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza ( error in procedendo ) per violazione degli artt. 113 co. 1, 345 e 437 co. 1 c.p.c., per avere la Corte d’appello giudicato inammissibile, in quanto nuova, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale formulata dal ricorrente in base alla nozione di “danno comunitario” e/o di “danno punitivo”. Il ricorrente deduce che tutti gli argomenti dal medesimo posti a sostegno dell’appello erano proponibili, non
involgendo alcuna “questione’ o “domanda” preclusa ex art. 437 c.p.c.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 15 e 31 della Carta di Nizza e dell’art. 26 della Carta Sociale Europea ( error in judicando ) per avere la sentenza d’appello erroneamente ritenuto che nella fattispecie non sarebbe utilmente invocabile né il concetto di “danno comunitario” (il cui profilo della dissuasività sarebbe estraneo alla nozione nazionale di danno risarcibile da utilizzare nel caso), né quello di “danno punitivo” (che ai termini dell’art. 23 Cost. può ritenersi compatibile con l’ordinamento solo in caso di sua espressa previsione normativa).
Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza ( error in procedendo) per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui, riformando la statuizione del Giudice di primo grado, ha respinto la domanda di risarcimento del danno patrimoniale sul rilievo che il ricorrente, ottenuto l’annullamento dei licenziamenti subiti, sarebbe stato per due volte reintegrato e riammesso allo svolgimento delle medesime mansioni che aveva sempre svolto. In particolare, si assume che la Corte d’Appello avrebbe posto in essere una duplice violazione delle norme sopra indicate: i) per aver ritenuto controversa una circostanza in realtà pacifica e non contestata tra le parti, ovvero il fatto che il ricorrente, successivamente alla prima reintegra in servizio, fosse stato adibito non alle mansioni qualificate precedenti ma solo a “mansioni di basso profilo e meramente esecutive”, come afferma la stessa SINA nei suoi atti difensivi; ii) per aver ritenuto pacifica e non necessitante di prova una circostanza, allegata dal difensore della società solo all’udienza di discussione del grado di appello e immediatamente contestata
dal difensore del ricorrente, ovvero il fatto che quest’ultimo, successivamente alla sentenza n. 719/2013 del Tribunale di Firenze del 18.06.2013 di reintegra (conseguente al 3° licenziamento per giusta causa del novembre 2011) e dopo l’introduzione della presente lite, fosse stato riammesso in servizio nella pienezza del ruolo professionale svolto prima del licenziamento subito il 21.7.1997.
Si esamina anzitutto il secondo motivo di ricorso, logicamente prioritario. Esso è infondato.
Questa Corte, con indirizzo costante, ha affermato che, nel vigente ordinamento, il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive – restando estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta – ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l’arricchimento, se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro. E ‘ quindi incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi (Cass. n. 1183 del 2007; n. 15814 del 2008; n. 1781 del 2012). A conclusioni diverse non conduce l’esame della sentenza delle S.U., n. 16601 del 2017, che ha soltanto escluso che fosse ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi ma non ha in tal modo legittimato i danni punitivi quale categoria generale nell’ordinamento nazionale.
Parimenti infondata è la censura sulla mancata considerazione, ai fini risarcitori, del requisito della dissuasività; tale requisito afferisce al canone di effettività della tutela contemplato dal diritto eurounitario in riferimento alla violazione di specifiche
normative (ad es. in tema di tutela antidiscriminatoria oppure di tutela contro l’abuso della reiterazione di contratti a termine, cfr. sul punto Cass., S.U. n. 5542 del 2023; n. 5072 del 2016) e non è utilmente invocabile nella fattispecie oggetto di causa. 5. Il rigetto del secondo motivo di ricorso assorbe il primo motivo.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto mancanti specifiche allegazioni e prove sul danno alla professionalità che il lavoratore avrebbe subito a causa dell’inadempimento datoriale consistito nella forzata inattività; il motivo in esame evidenzia circostanze fattuali volte a dimostrare l’inadempimento datoriale e non specificamente il danno ad esso conseguente.
Ricorso incidentale della SIMA
Con il primo motivo la società denuncia l’erroneità della sentenza per aver riconosciuto la sussistenza di un danno non patrimoniale già liquidato con la sentenza n. 984/2013, pronunciata dalla Corte d’appello di Firenze nel precedente procedimento tra le stesse parti, con conseguente violazione del principio del ne bis in idem (art. 360 n. 4 c.p.c.).
Con il secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 2059 e 2087 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) per avere la Corte d’appello valutato nuovamente l’intera vicenda lavorativa del sig. COGNOME e liquidato il danno non patrimoniale già riconosciuto con la citata sentenza n. 984/2013.
I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente, sono infondati.
La Corte d’appello ha premesso che il tribunale, nell’esaminare la questione del ne bis in idem sollevata già in quella sede dalla società, aveva delimitato l’oggetto del giudizio
al ‘periodo dal novembre 2008 al giugno 2015, arco di tempo oggetto esclusivo del presente giudizio, successivo a quello a cui si riferiva invece l’analoga domanda già proposta in precedente giudizio fra le stesse parti, accolta in maniera definitiva dalla sentenza d’appello n. 984/2013 (con condanna al risarcimento del danno non patrimoniale per euro 10.000 per analoghe condotte vessatorie dal periodo del primo licenziamento del luglio 1997 all’ottobre 2008)’ (sentenza d’appello, p. 2). Ha ribadito che la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale oggetto di questo giudizio riguarda ‘le sole condotte datoriali proseguite e rinnovate dal novembre 2008 a giugno 2015’ (p. 4).
La sentenza impugnata ha inoltre dato atto che, in assenza di un aggravamento del danno biologico già liquidato con la sentenza d’appello n. 984/2013, nel presente giudizio viene in considerazione la lesione della dignità, della identità professionale e della libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro, quindi un danno esistenziale, ricollegabile alle ulteriori condotte datoriali protratte negli anni dal 2008 al 2015. E sono queste ulteriori voci di danno che sono state riconosciute con la sentenza impugnata e liquidate ricorrendo a criteri equitativi, nella consapevolezza della impossibilità di separare temporalmente in modo rigido l’impatto, in termini di danno esistenziale, di comportamenti illegittimi posti in essere nei confronti del sig. COGNOME in un lungo arco temporale.
Per le ragioni fin qui esposte, il ricorso principale e quello incidentale devono essere respinti.
Le spese del giudizio di legittimità sono compensate in ragione della reciproca soccombenza.
Il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 6 maggio 2025