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Danno professionale: la liquidazione è equitativa

Un lavoratore ha impugnato in Cassazione la sentenza che riduceva il suo risarcimento per danno professionale, calcolato sulla base dello stipendio netto anziché lordo. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che la scelta del parametro per la liquidazione equitativa del danno rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se la motivazione è logica, seppur sintetica.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno professionale: i limiti del sindacato della Cassazione

La quantificazione del danno professionale derivante da demansionamento è uno dei temi più dibattuti nel diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini del potere del giudice di merito nella liquidazione equitativa del danno, chiarendo quali aspetti possono essere contestati in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda un lavoratore che, dopo aver subito un demansionamento, si è visto ridurre in appello l’importo del risarcimento, calcolato sulla base della retribuzione netta anziché lorda.

Il caso: dal demansionamento al ricorso in Cassazione

Un dipendente di una nota società automobilistica, dopo aver ottenuto in primo grado il riconoscimento del demansionamento e un cospicuo risarcimento, si è trovato di fronte a una parziale riforma della sentenza in Corte d’Appello. I giudici di secondo grado, pur confermando l’illegittimità della condotta del datore di lavoro, hanno rideterminato l’importo del risarcimento, riducendolo a circa 53.000 euro. La principale ragione di tale riduzione risiedeva nel criterio di calcolo: la Corte d’Appello ha ritenuto più congruo parametrare il danno a un terzo della retribuzione netta percepita dal lavoratore, giudicando eccessiva la precedente liquidazione basata sulla retribuzione lorda.
Ritenendo errata tale valutazione, il lavoratore ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali.

La quantificazione del danno professionale: i motivi del ricorso

Il ricorso del lavoratore si articolava su tre doglianze:
1. Nullità della sentenza: Si lamentava una motivazione carente o apparente, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe esplicitato in modo adeguato il percorso logico che l’ha portata a scegliere la retribuzione netta come parametro.
2. Violazione di legge: Il ricorrente contestava la violazione dell’art. 1226 c.c. sulla liquidazione equitativa, sostenendo che l’applicazione del parametro della retribuzione netta (circa 2.200 euro) in luogo di quella lorda (circa 3.723 euro) fosse giuridicamente errata.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: Si deduceva che la Corte d’Appello avesse omesso di considerare la retribuzione lorda, un fatto ritenuto decisivo per la corretta quantificazione del danno.

La decisione della Cassazione sulla liquidazione del danno professionale

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarando i motivi infondati o inammissibili. Gli Ermellini hanno chiarito che la valutazione del giudice di merito sulla quantificazione del danno professionale in via equitativa gode di ampia discrezionalità e non può essere oggetto di una nuova valutazione in sede di legittimità.
Nello specifico, la Corte ha stabilito che:
– La motivazione della Corte d’Appello, sebbene “succinta”, era comunque logica e sufficiente a comprendere il ragionamento seguito. Non si ravvisavano quei vizi gravi (come la mancanza assoluta di motivi o la perplessità incomprensibile) che, secondo le Sezioni Unite, possono giustificare l’annullamento della sentenza.
– La scelta del parametro (retribuzione netta o lorda) per la liquidazione equitativa del danno rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale scelta non è sindacabile in Cassazione se il giudice indica i criteri seguiti e fornisce una motivazione coerente.
– Il fatto presuntamente omesso (la retribuzione lorda) era stato in realtà esaminato e ritenuto “incongruo” dalla Corte d’Appello. La determinazione equitativa del danno è un’operazione rimessa al giudice e non è vincolata dalle deduzioni specifiche delle parti.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il giudizio di cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti riguardo ai fatti della causa o alle valutazioni discrezionali, come appunto la quantificazione di un danno in via equitativa. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che il processo si sia svolto nel rispetto delle regole procedurali. La motivazione di una sentenza può essere censurata solo quando è talmente viziata da non essere comprensibile o da basarsi su affermazioni logicamente inconciliabili, non quando è semplicemente sintetica o non condivisa dalla parte soccombente.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che, una volta provato il demansionamento, il giudice di merito dispone di un ampio potere discrezionale nel determinare l’ammontare del risarcimento per il danno professionale. La scelta di basare il calcolo sulla retribuzione netta, anziché su quella lorda, è una valutazione di merito che, se motivata in modo logico, non può essere contestata in Cassazione. Questa pronuncia sottolinea l’importanza di articolare le proprie difese in modo robusto nei primi due gradi di giudizio, poiché le possibilità di rimettere in discussione le valutazioni di fatto in sede di legittimità sono estremamente limitate.

Il giudice può usare la retribuzione netta invece di quella lorda per calcolare il danno da demansionamento?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la scelta del parametro di riferimento (netto o lordo) per la liquidazione equitativa del danno rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale scelta non è sindacabile in sede di legittimità se la decisione è supportata da una motivazione logica, anche se sintetica.

Una motivazione “succinta” rende nulla una sentenza d’appello?
No, una motivazione succinta non è di per sé causa di nullità della sentenza. La nullità si verifica solo in presenza di vizi motivazionali gravi, come la mancanza assoluta di motivazione, una motivazione solo apparente, il contrasto irriducibile tra affermazioni o una motivazione perplessa e oggettivamente incomprensibile.

In un ricorso per cassazione si può contestare la quantificazione del danno fatta dal giudice d’appello?
No, la quantificazione del danno effettuata in via equitativa è una valutazione di merito. Il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per ottenere un nuovo esame dei fatti o per contestare l’entità del risarcimento, a meno che non si dimostri una violazione di legge o un vizio logico-giuridico grave nella motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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