Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31184 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 31184 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26930-2024 proposto da:
COGNOME DANTE ENEA, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE GIÀ RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 31/2024 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 13/06/2024 R.G.N. 155/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/10/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Campobasso, con la sentenza in atti, pronunciando sugli appelli principale e incidentale, proposti,
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 01/10/2025
CC
rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME NOME avverso la sentenza del tribunale di Campobasso ha rigettato l’appello incidentale e accolto per quanto di ragione l’appello principale e per l’effetto in parziale riforma della impugnata sentenza, confermata nel resto, ha rideterminato in € 53.533,33 oltre accessori, la somma che l’appellante era condannata a liquidare all’appellato a titolo di risarcimento del danno professionale.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha ritenuto provato il demansionamento del lavoratore e per quanto riguarda la liquidazione dei danni, alla luce della durata e della gravità del demansionamento, ha ritenuto congrua la commisurazione del danno pari ad un terzo della retribuzione effettivamente percepita dallo stesso lavoratore, desumibile dalla busta paga di gennaio 2016 in atti, allegata da entrambe le parti, pari ad € 2200 netti; reputando invece eccessiva la liquidazione parametrata alla retribuzione lorda effettuata dal giudice di prime cure.
Avverso la sentenza proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME con tre motivi di ricorso ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il Collegio dopo la decisione ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni.
Ragioni della decisione
1.- Il primo motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c. per non avere la Corte di appello esplicitato in alcun modo il percorso logico seguito nella rideterminazione del danno professionale patito dal lavoratore 1.1.- Il motivo di ricorso investe la motivazione della sentenza ed è infondato avendo la Corte di appello, nell’esercizio del proprio potere di determinare il danno professionale in via
equitativa, ritenuto congrua la commisurazione del danno alla professionalità pari ad un terzo della retribuzione effettivamente percepita dallo stesso lavoratore, desumibile dalla busta paga di gennaio 2016 in atti, allegata da entrambe le parti, pari ad € 2200 netti, piuttosto che quella commisurata all’importo lordo. Si tratta di una motivazione succinta, ma logica e rispondente all’ordinamento; laddove invece come è noto, è denunciabile in cassazione solo il vizio motivazionale nella quadruplice nota declinazione che le Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014 ne hanno dato: la ‘mancanza assolut a di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’ e la ‘motivazione apparente’; il ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e la ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’; ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico della impugnata pronuncia.
2.Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1226 del c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello applicato per la quantificazione del danno il parametro della retribuzione netta (pari ad €.2.200,00) indicata nel prospetto paga di gennaio 2016 in luogo della retribuzione mensile pari ad €.3.723,23.
2.1. Il secondo motivo è inammissibile perché mira alla rivalutazione del parametro posto dalla Corte di merito alla base della determinazione del danno effettuata sulla scorta di paramenti discrezionali ed equitativi non sindacabili in sede di legittimità, ove il giudice consideri i fatti allegati ed indichi i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, come appunto nel caso di specie.
Il terzo motivo deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla base di calcolo dell’importo (per intero) dell’ultima
retribuzione mensile, poiché ove la Corte di appello avesse considerato i fatti dedotti dal ricorrente non avrebbe potuto quantificare il danno professionale sulla base della retribuzione netta di €.2.200,00, frutto della tardiva contestazione di COGNOME, bensì sulla base della retribuzione mensile lorda indicata dal ricorrente.
3.1. Il motivo è inammissibile perché esso non denuncia l’omessa valutazione di alcun fatto decisivo discusso tra le parti, posto che il preteso fatto omesso relativo alla retribuzione lorda è stato in realtà valutato e ritenuto ‘incongruo’ dalla Corte di merito ai fini della dimostrazione del danno. Inoltre, non può esistere alcuna tardiva contestazione proveniente dalla datrice di lavoro posto che la determinazione del danno è un’operazione rimessa alla liquidazione equitativa del giudice e non può essere vincolata dalle deduzioni delle parti; oltre tutto che l’onere della tempestiva e specifica contestazione investe soltanto i fatti costitutivi della domanda e non quelli secondari, ovvero le circostanze dedotte al solo fine di dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi.
10.- Per i motivi esposti il ricorso deve essere rigettato.
11- Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate in dispositivo in favore della controricorrente.
12.Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto. P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale dell’1.10.2025
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME