Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33797 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33797 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28809/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO ANCONA n. 49/2020 depositata il 11/03/2020, RG n. 198 del 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME adiva il Tribunale di Pesaro, con un primo ricorso, per ottenere, nei confronti dell’ASUR Marche , datrice di lavoro, l’accertamento dell’esercizio di fatto di mansioni superiori riconducibili alla categoria B, ed al profilo di coadiutore amministrativo del CCNL di Comparto, nonché la condanna dell’Azienda al pagamento delle differenze retributive.
Il Tribunale, con la sentenza non definitiva n. 487/2011, dichiarava prescritto il diritto azionato per il periodo anteriore al 1° ottobre 2003, e con sentenza definitiva n. 244/2013 condannava l’Azienda al pagamento delle differenze retributive maturate per le mansioni superiori dal 1° ottobre 2003 al 31 dicembre 2003.
Per tale periodo, 1° ottobre 2003 31 dicembre 2003, l’Azienda aveva regolarizzato la posizione previdenziale della lavoratrice.
A seguito di successivo ricorso, il Tribunale di Pesaro, con la sentenza n. 104 del 2019 ha accolto la domanda della lavoratrice di risarcimento del danno previdenziale conseguente all’inadempimento dell’obbligo a carico dell’Azienda datrice di lavoro, di versare la contribuzione per il periodo lavorativo dal 1° marzo 1978 al 1° ottobre 2003, durante il quale la stessa ha assunto di aver svolto mansioni superiori.
La Corte d’Appello, con la sentenza n. 49 del 2020, ha accolto l’appello proposto dall’Azienda e, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda della lavoratrice.
Il giudice di appello ha affermato che il diritto della lavoratrice ad agire per le differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori è coperto da prescrizione con riferimento al periodo
antecedente al 1° ottobre 2003, così come accertato dal Tribunale di Pesaro.
Ciò preclude un nuovo accertamento finalizzato a verificare l’esercizio di fatto di mansioni superiori da parte della lavoratrice nel periodo coperto dalla prescrizione estintiva. Cosicché, la domanda di risarcimento del danno da mancata regolarizzazione contributiva del periodo in contestazione è inammissibile, perché la riapertura delle indagini istruttoria è inibita dal giudicato formatosi sui fatti dedotti nel precedente giudizio.
Non poteva condividersi l’argomentazione del Giudice di primo grado secondo cui la mancata contestazione da parte dell’ASUR Marche circa lo svolgimento di mansioni superiori costituirebbe riconoscimento delle stesse, poiché l’eccezione di giudicato solleva ta dall’Azienda ha comunque valenza di implicita contestazione.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando due motivi di ricorso.
Resiste con controricorso l’AS UR Marche, che ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 115 , c.p.c., e dell’art. 124 , dip. di att. del c.p.c. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). L’eccezione di giudicato sollevata dall’ASUR Marche non avrebbe potuto trovare accoglimento in ragione del mancato deposito da parte della stessa, così violando l’onere probatorio che incombe sulla parte che eccepisce il giudicato, della copia autentica della sentenza n. 487/2011 , con l’attestazione del passaggio in giudicato e ciò anche in mancanza di contestazione ad opera della controparte. Ciò avrebbe dato luogo alla violazione dell’art. 2909 , cod. civ., e dell’art. 360, n.5, cod. proc. civ., sul vizio di motivazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 2116 e 2909 cod. civ., cod. civ. Deduce l’autonomia dell’azione risarcitoria azionata ex art. 2116 cod. civ., e l’irrilevanza del giudicato di cui alla sentenza n. 487/2011 del Tribunale di Pesaro.
I motivi devono essere trattati insieme in ragione della loro connessione.
Gli stessi sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha affermato che l’azione promossa dalla lavoratrice, di risarcimento del danno da mancata regolarizzazione contributiva rispetto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori nel periodo in contestazione, non soltanto era del tutto sfornita di titolo, ma era inammissibile, perché la riapertura dell’indagine istruttoria sull’effettivo atteggiarsi del rapporto di lavoro nel periodo in contestazione sarebbe inibita dal giudicato.
Di talché, non era condivisibile la scelta del Tribunale di disporre la prova testimoniale sollecitata dalla ricorrente in primo grado e gli esiti di tale attività non erano utilizzabili ai fini del riconoscimento del diritto azionato.
Le censure sollevate dalla ricorrente (illustrate da pag. 21 a pag. 26 del ricorso) muovono da una considerazione del tutto parziale della motivazione resa dalla Corte territoriale.
Le stesse contestano, nella sostanza, il rilievo attribuito al giudicato, sia per profili formali, sia perché è intervenuto sulla distinta domanda di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori.
Di tale giudicato la ricorrente prospetta il carattere neutro rispetto alla domanda di risarcimento previdenziale.
Ma le doglianze, così formulate, non consentono alla Corte il controllo della loro rilevanza (cfr., Cass., S.U., n. 26182 del 07/12/2006), atteso che la ricorrente non offre argomenti in ordine alla prova che sarebbe stata allegata con il ricorso introduttivo a sostegno della domanda, prova disposta dal Tribunale e ritenuta non utilizzabile
dalla Corte d’Appello, che con statuizione di merito, ancor prima che di inammissibilità ha affermato la mancanza di titolo a sostegno della domanda.
Ciò anche considerando che nel pubblico impiego contrattualizzato, il giudicato di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori non comporta l’acquisizione della miglior qualifica, ma solo la condanna al pagamento delle differenze retributive, sicché esso ha efficacia vincolante per i periodi successivi, nonché per quelli precedenti, solo se il lavoratore, immutata la disciplina collettiva, alleghi e provi lo svolgersi delle mansioni superiori anche in detto arco temporale (Cass., n. 18901 del 2019).
Il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro