SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 1696 2025 – N. R.G. 00002085 2022 DEPOSITO MINUTA 29 09 2025 PUBBLICAZIONE 02 10 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Firenze, Sezione I Civile, riunita in Camera di Consiglio in data 14.09.2025 composta dai Sigg.ri Magistrati:
dr.ssaNOME
NOME
NOME
Presidente
dr.ssa
NOME
COGNOME
Consigliere
dr.ssa
NOME
COGNOME
Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
– SENTENZA –
nella causa in grado di appello iscritta a ruolo il 17/11/2022 al n. 2085 del R.G. Affari Contenziosi dell’anno 2022 avverso la sentenza 4116/2014 pubblicata in data 18/12/2014 promossa da
rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME NOME rocura in atti
– Ricorrente in riassunzione –
contro
in persona del pro tempore, rappresentato e difeso dall’ AVVOCATURA DELLO STATO ZE., come da procura in atti;
– Resistente – avente ad oggetto: responsabilità extracontrattuale.
La causa era posta in decisione sulle seguenti conclusioni:
per il ricorrente : ‘ Voglia la Corte respingere l’appello proposto dal
(procedimento NRG 1411/2014) alla sentenza del Tribunale di Firenze n. 4116/2014, con vittoria di compensi e spese di tutti i gradi del giudizio, compreso quello di cassazione, e rimborso delle spese di C.U. versate. Con vittoria di compenso, spese e rimborso del C.U. anche del presente giudizio. ‘; per il resistente : ‘ Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, in accoglimento dell’appello esperito dal , riformare la sentenza impugnata n. 4116/14 emessa dal Tribunale di Firenze e per l’effetto: – dichiarare totalmente non fondata la domanda risarcitoria, ovvero in subordine per il periodo dal 25.1.1999 al 1.7.2009 con conseguente necessità di ricalcolare il dovuto prendendo in considerazione unicamente i mancati contributi sino alla data del 25.1.1999; – in via ulteriormente subordinata, ridurre il quantum risarcitorio nella minor somma di € 36.143,63; – in via residuale, compensare le spese di lite del giudizio di primo grado. Con vittoria di compensi giudiziali.’ .
– SVOLGIMENTO DEL PROCESSO –
Con atto di citazione in riassunzione in data 17/11/2022, ritualmente notificato, chiedeva il rigetto del l’appello proposto dal avverso la sentenza del Tribunale
di Firenze n. 4116/2014. Con detta sentenza il Tribunale aveva riconosciuto il diritto del ricorrente al risarcimento del danno pensionistico subito a causa della sua illegittima cancellazione dalle liste di collocamento obbligatorio.
era stato assunto il 1° aprile 1995 dalla società RAGIONE_SOCIALE avente sede in Scandicci, come operaio di quinto livello a seguito di avviamento obbligatorio. Il ricorrente era stato riconosciuto nel 1990 invalido civile con il 46% di perdita della capacità lavorativa ed avviato al lavoro ex L.482/1968 quale categoria protetta.
In seguito alla visita di revisione da parte della competente commissione, in data 11 dicembre 1995, il Ministero del Lavoro aveva segnalato alla C.S.O. l’inefficacia dell’avviamento e la cancellazione dello dall’elenco del collocamento obbligatorio; di conseguenza, il 15 gennaio 1996, la C.S.O. aveva comunicato al ricorrente la cessazione del rapporto di lavoro.
Con sentenza del 20 maggio 1998, il Pretore di Firenze, adito dallo aveva dichiarato quest’ultimo invalido civile con una percentuale di invalidità permanente del 55%, accertando il suo diritto all’iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio ove lo era stato reiscritto.
Il 25 gennaio 1999, al compimento del 55° anno di età, il ricorrente era stato nuovamente cancellato dalle liste di collocamento per ragioni di età, in conformità all’art. 1 della legge 4 aprile 1968, n. 482. Tuttavia, il 1° febbraio 2000, egli aveva effettuato una nuova iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio ai sensi della legge 12 marzo 1999 n. 68, che aveva abrogato il limite di età.
In un primo giudizio, avviato il 20 marzo 1999, aveva convenuto in giudizio il per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla cancellazione dalle liste di collocamento e per le retribuzioni non percepite dal gennaio 1996 al gennaio 1999.
Il Tribunale di Firenze aveva condannato il al pagamento di £. 52.632.000.
Il aveva proposto appello dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze che aveva riformato la sentenza, rigettando la pretesa risarcitoria.
aveva esperito ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, con sentenza del 19 gennaio 2009, aveva cassato la sentenza impugnata, condannando il a pagare allo la somma di € 28.541,47.
Con un nuovo atto di citazione, notificato il 5 novembre 2011, evocava in giudizio il per ottenere il risarcimento del danno dovuto alla perdita parziale della pensione, causata dalla mancata contribuzione dall’11 maggio 1996 al 1° luglio 2009, chiedendo euro 109.568,09. I
Il si costituiva in giudizio deducendo, in primo luogo, l’inammissibilità dell’azione per violazione del principio del ne bis in idem e per ingiustificato frazionamento della domanda; in secondo luogo, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno
replicava sostenendo l’ammissibilità della domanda, conseguente al proprio diritto a ottenere una pronuncia sul danno da perdita parziale della pensione. Si opponeva inoltre all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, sostenendo che il diritto alla pensione era maturato a partire dal 1° luglio 2009.
IV . Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 29 dicembre 2014, rigettava le eccezioni di inammissibilità e prescrizione della domanda e, in accoglimento delle richieste di parte attrice, condannava il al risarcimento di € 59.054,04.
V . Avverso la sentenza del Tribunale il
proponeva appello il 19 giugno 2015, deducendo l’inammissibilità della domanda per violazione del principio del ne bis in idem ; la prescrizione del diritto al risarcimento del danno e l’infondatezza della domanda Il Ministero sosteneva che la seconda cancellazione del 25 gennaio 1999, dovuta all’età e prevista dalla legge, fosse legittima. Rilevava che, anche in assenza della prima cancellazione illegittima del 1995, lo avrebbe comunque perso il lavoro nel 1999. Affermava quindi l’insussistenza di un nesso eziologico tra la prima cancellazione e il danno contributivo lamentato per il periodo successivo al 1999. Argomentava inoltre che, in assenza di svolgimento concreto di mansioni, non poteva dirsi insorto alcun diritto alle prestazioni previdenziali, invocando il principio della compensatio lucri cum damno .
Il Ministero contestava altresì la liquidazione del danno basata sull’ipotesi “A” della CTU (€ 59.054,04), che prendeva a riferimento, per il pensionamento di anzianità, la data del 2006 quando aveva sempre richiesto il risarcimento riferito al pensionamento per vecchiaia nel 2009, di cui all’ipotesi
“B” della CTU ( € 36.143,63). Il riteneva quindi che il Tribunale si fosse pronunciato ultra petita .
Il contestava infine la regolamentazione delle spese di lite evidenziando la ricorrenza di una ipotesi di soccombenza reciproca; ciò in quanto la richiesta iniziale dello di € 109.568,90 era stata accolta solo per € 59.054,04.
costituendosi in giudizio, rilevava la tardività dell’impugnazione e la sua infondatezza.
VI . La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza emessa in data 18 luglio 2019, accoglieva l’atto di gravame interposto, riformando la decisione di primo grado in ragione dell’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno azionato. A fondamento dell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, la Corte richiamava la natura di illecito istantaneo attribuibile alla condotta illegittima di cancellazione del ricorrente dagli elenchi del collocamento obbligatorio. Tale condotta, secondo la Corte, avrebbe avuto quale conseguenza diretta il licenziamento del ricorrente in data 15 gennaio 1996, data identificata come dies a quo per il computo del termine di prescrizione, in quanto prima manifestazione del danno asseritamente subito. Considerando che il giudizio era stato introdotto solamente nell’anno 2011, la Corte concludeva per la decorrenza del termine prescrizionale previsto dalla legge. Sottolineava la differenza tra danno pensionistico derivante da omissione contributiva da parte del datore di lavoro, regolato dall’art.2116 c.c… e dunque di origine contrattuale, e il danno aquiliano, richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale ‘in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione comincia a decorrere con la prima manifestazione del danno’ (Cass.Sez.Un.14/11/2011 n.23763; Cass civ. sez. III, sent.28/5/2013 n.13201).
VII. Avverso suddetta sentenza proponeva ricorso in Cassazione denunciando quale primo motivo la violazione dell’art.281 sexies c.p.c. in relazione agli artt. 323, 324,325 e 327 c.p.c.; quale secondo motivo deduceva la violazione o erronea applicazione degli artt.2935 e 2947 c.c.. in relazione all’art. 2043 c.c.. Rilevava, in particolare, che la Corte di Appello aveva errato nel ritenere prescritto il diritto risarcitorio consistito nel minor importo pensionistico percepito dal ricorrente a causa dell’illegittima cancellazione dagli
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elenchi del collocamento con conseguente licenziamento e stato di disoccupazione fino al raggiungimento dell’età pensionabile al 1/7/2009.
La Suprema Corte, con l’ordinanza n.27014 depositata il 14/9/2022, respingeva il primo motivo di ricorso e, in accoglimento del secondo motivo, annullava la sentenza di secondo grado con rinvio a questa Corte di Appello.
VIII. Con ricorso in riassunzione adiva la Corte di Appello chiedendo, in forza dei principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione, il rigetto dell’appello proposto dal avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 4116/2014 con conseguente riconoscimento del diritto al risarcimento del danno e vittoria delle spese di tutti i gradi di giudizio.
Il , costituendosi in giudizio, riproponeva i motivi di appello non esaminati nel precedente giudizio di merito, rinunciando al primo motivo di appello (inammissibilità per ne bis in idem ), avendo la decisione della Cassazione implicitamente confermato l’inesistenza del ne bis in idem e del frazionamento della domanda.
Chiedeva, quindi, il rigetto della domanda risarcitoria, o, in via subordinata, la limitazione del risarcimento al periodo antecedente il 25 gennaio 1999, con conseguente ricalcolo del danno. In via ulteriormente subordinata, chiedeva di ridurre il quantum risarcitorio a € 36.143,63, importo relativo al pensionamento maturato nel 2009 come richiesto da
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita parziale accoglimento.
Con l’ordinanza di rinvio, la Suprema Corte ha riaffermato un principio cardine in materia di responsabilità civile: l’azione risarcitoria, sia essa di natura contrattuale o extracontrattuale, presuppone, quale condizione per la sua esperibilità, la concreta e attuale verificazione del danno nella sfera giuridica del soggetto leso. Di conseguenza l’azionabilità del diritto al risarcimento sorge unicamente nel momento in cui il danno si verifica. L’applicazione di tale principio alla peculiare fattispecie de l danno pensionistico derivante da omessa contribuzione conduce alla conclusione per la quale il dies a quo per il computo del termine prescrizionale viene a coincidere con il momento in cui il lavoratore matura il diritto al trattamento pensionistico. Tale interpretazione, conforme al dettato dell’articolo 2935 c.c. si fonda sul rilievo che il danno pensionistico, inteso come perdita o riduzione del trattamento pensionistico a causa dell’omissione contributiva, non può dirsi realizzato, né è suscettibile d i risarcimento, fino al raggiungimento dell’età pensionabile da
parte del lavoratore. Solo a partire da tale momento, infatti, il lavoratore può effettivamente percepire le conseguenze negative dell’omissione contributiva e, di conseguenza, far valere il proprio diritto al risarcimento del danno subito. Afferma la Suprema Corte nell’ordinanza di rinvio: ‘ Il principio affermato dalla giurisprudenza in tema di prescrizione del danno (pensionistico) da omessa contribuzione trae fondamento dal rilievo che ‘quando il danno da omessa contribuzione consista nella perdita della pensione, esso non può considerarsi realizzato, e non è pertanto risarcibile, prima che il lavoratore abbia raggiunto l’età pensionabile; da questo momento, e non prima, può pertanto decorrere la prescrizione, in aderenza alla lettera dell’art.2935 cod. c iv (Cass. Sez. U. 18/12/1979 n.6568.). Si tratta dunque di una diretta applicazione del più generale principio per il quale l’azione risarcitoria, abbia essa fondamento contrattuale o extracontrattuale, presuppone la produzione del danno, con la conseguenza che la relativa prescrizione non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del pregiudizio di cui si chiede il risarcimento (v. ex multis Cass. n. 26020 del 5/12/2011). A tal fine nessun rilievo può dunque assumere la natura del fatto costitutivo del credito risarcitorio. Nella fattispecie legale che lo determina, l’inadempimento contrattuale o il fatto colposo o doloso contrajus (torto aquiliano) coprono alternativamente solo il primo elemento, rappresentato per [ ‘appunto dal fatto illecito causativo del danno, ricorra l’uno o l’altro, però, il danno rappresenta il secondo distinto elemento che perfeziona la fattispecie e, per ciò stesso, condiziona in entrambi i casi, allo stesso modo, il sorgere del diritto che prima non potrebbe pertanto essere fatto valere. In entrambi i casi, pertanto, e allo stesso modo, solo al momento dell’insorgenza del danno il credito risarcitorio può essere fatto valere e solo da quel momento, pertanto, ex art.2935 cod. civ., decorre il relativo termine prescrizionale’ (c fr. ordinanza di rinvio). E’ dunque evidente che, t anto nell’ipotesi di danno pensionistico derivante da omessa contribuzione, quanto nell’ipotesi di danno conseguente all’illegittima interruzione del rapporto di lavoro per fatto colposo imputabile all’amministrazione, il dies a quo per l’esercizio del diritto al risarcimento coincide con il momento in cui il danno si manifesta ovvero con il raggiungimento dell’età pensionabile. Dall’applicazione del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nella richiamata ordinanza, deriva che, nel caso di specie, non era maturata la prescrizione del diritto al risarcimento del danno vantato dal ricorrente. Invero, la decorrenza del termine prescrizionale va
individuata nell’anno in cui lo ha perfezionato il diritto al trattamento pensionistico, ovvero a partire dall’anno 2009.
Il primo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha censurato l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dal resistente, deve dunque essere accolto. La Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto prescritto il diritto al risarcimento, in contrasto con il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, facendolo decorrere dalla data dell’illegittimo licenziamento intimato dalla C.S.O il 15.01.1996, e dunque ritenendolo ampiamente prescritto al momento dell’instaurazione de l giudizio in data 5.11.2011. L’accoglimento di tale motivo comporta la necessità di rivalutare la pretesa risarcitoria del ricorrente.
Se è vero che l’azione risarcitoria non è prescritta, deve tuttavia, rilevarsi che il danno derivante dall’omissione contributiva, ascrivibile a condotta colposa dell’amministrazione resistente, deve essere rigorosamente circoscritto e commisurato agli anni in cui il ricorrente è stato illegittimamente escluso dalle liste di collocamento obbligatorio, subendo, di riflesso, la mancata contribuzione previdenziale correlata alla permanenza del rapporto di lavoro, illegittimamente interrotto nell’anno 1996. S olo da tale data e sino alla data della successiva cancellazione dalle liste, avvenuta nel 1999 per raggiungimento dei limiti di età, può estendersi la valutazione di illegittimità della condotta amministrativa, tale da concretizzare la condotta colposa ri levante ai sensi dell’art 2043 c.c… Non può invece essere computato nel danno risarcibile il pregiudizio derivante dall’omessa contribuzione per gli anni successivi alla cancellazione imposta dalla Legge 482/1968, che, all’epoca dei fatti, prevedeva l’es tinzione del diritto al collocamento obbligatorio al raggiungimento di una determinata soglia anagrafica. Pertanto, la pretesa risarcitoria del ricorrente, nella parte in cui si estende alla mancata contribuzione successiva all’anno 1999, risulta infondata e non può trovare accoglimento. È inoltre evidente che la successiva reiscrizione del ricorrente nelle liste di collocamento, avvenuta nell’anno 2020, è stata resa possibile esclusivamente per effetto dell’intervento legislativo ( Legge del 12 Marzo 1999) che ha abrogato la pregressa limitazione normativa fondata sull’età anagrafica. Allo stesso modo, quindi, non può essere imputato a parte resistente il mancato reimpiego seguito alla reiscrizione del 2000; tale circostanza è infatti del tutto autonoma e scollegata rispetto alla precedente illegittima cancellazione.
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In definitiva la pretesa risarcitoria avanzata dal ricorrente può trovare accoglimento limitatamente al danno derivante dall’omessa contribuzione previdenziale nel periodo compreso tra il licenziamento illegittimo, intervenuto il 15 gennaio 1996, e la data del 25 gennaio 1999, anno in cui il ricorrente è stato cancellato dalle liste di collocamento a seguito del raggiungimento dell’età prevista dalla legge previgente.
Ai fini della quantificazione del danno derivante dall’illegittima esclusione del ricorrente dalle liste di collocamento nel periodo 1996-1999, devono recepirsi le conclusioni rassegnate dal Consulente Tecnico d’Ufficio, il quale ha elaborato un conteggio basato su due distinte ipotesi ( A e B) , relative ai diversi periodi di omessa contribuzione. L’ammontare del risarcimento dovuto al ricorrente ammonta ad euro 36.143,63, in conformità alle conclusioni del CTU in relazione alla ipotesi sub B). Il minore importo riconosciuto a titolo risarcitorio tiene in debita considerazione la limitazione del periodo di illegittima esclusione del ricorrente dalle liste di collocamento obbligatorio al triennio compreso tra il 1996 e il 1999. Il giudice di prime cure ha erroneamente assunto a parametro di riferimento, ai fini della determinazione del dovuto l’ammontare del danno quantificato dal CTU con riferimento all’ipotesi sub a), la quale considera un arco temporale che si estende anche al periodo successivo all’anno 1999. Tale periodo, tuttavia, per le ragioni precedentemente esposte, non può essere computato ai fini della quantificazione del pregiudizio subito dal ricorrente, difettando un nesso di causalità tra la condotta colposa della pubblica amministrazione relativa all’illegittima esclusione del ricorrente dalle liste nel periodo 1996-1999 e la mancata contribuzione successiva al 1999. Quest’ultima, infatti, è derivata dalla mancata reintegrazione lavorativa del ricorrente in epoca successiva alla sua reiscrizione, avvenuta nell’anno 20 00, nelle liste di collocamento obbligatorio, reiscrizione resa possibile per effetto dell’intervento legislativo che ha superato il precedente limite anagrafico . Occorre, altresì, evidenziare che la stessa Corte di cassazione , nell’ordinanza di rinvio, ha espressamente indicato, quale termine ad quem , l’anno 2009, data in cui il ricorrente ha compiuto l’età pensionabile .
Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, oggetto di censura da parte del resistente, si osserva che, a fronte di una pretesa risarcitoria avanzata dal ricorrente pari ad di Euro 109.568,90, il giudice di primo grado ha
liquidato la minor somma di Euro 59.054,04, pressoché dimezzando l’importo originariamente richiesto. La somma definitiva riconosciuta come spettante al ricorrente deve essere ulteriormente ridotta ad Euro 36.000,00 per le ragioni sopra evidenziate Secondo la pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’accoglimento in misura ridotta di una domanda articolata in un unico capo, pur non configurando una ipotesi di reciproca soccombenza in senso stretto, può giustificare la compensazione, totale o parziale, delle spese di lite, in presenza degli altri presupposti previsti dall’articolo 92, co2 c.p.c. (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 26/07/2024, n. 20889). Nello specifico, la significativa sproporzione tra la pretesa risarcitoria originaria e l’importo definitivamente liquidato, unitamente alla complessità delle questioni giuridiche sottese alla controversia, integrano i presupposti per una compensazione, quantomeno parziale, delle spese di lite tra le parti.
In ragione dell’esito complessivo del giudizio, valutata la significativa discrasia tra la pretesa creditoria azionata e la somma liquidata in favore del ricorrente, si ravvisa l’opportunità di disporre la parziale compensazione delle spese di lite relative a tutti i gradi di giudizio, nella misura di un terzo, ponendo a carico del
il pagamento dei restanti due terzi degli importi indicati nel dispositivo. La liquidazione è effettuata in conformità al D.M. 10.03.2014 n. 55, in base allo scaglione corrispondente al valore della causa, avuto riguardo ai parametri medi applicabili ratione temporis , con esclusione della fase istruttoria nei gradi di appello .
– PER QUESTI MOTIVI –
La Corte di Appello di Firenze, ogni altra domanda reietta, definitivamente pronunciando in sede di rinvio, nel ricorso per riassunzione promosso
nei confronti del
avverso la sentenza impugnata così provvede:
1) in parziale riforma della sentenza n. 4116/2014 del Tribunale di Firenze, condanna il al risarcimento del danno patrimoniale subito da che liquida in euro € 36.143,63 , fermo il resto.
2) compensa per 1/3 le spese del primo grado di giudizio e condanna il al pagamento dei
residui 2/3 che liquida, per l’intero nella somma di euro 3.500,00 oltre accessori di legge;
compensa per 1/3 le spese del precedente giudizio di appello e condanna il al pagamento dei residui 2/3 che liquida, per l’intero nella somma di euro 6.615,00 oltre accessori di legge;
compensa per 1/3 le spese del giudizio di legittimità e condanna il al pagamento dei residui 2/3 che liquida, per l’intero nella somma di euro 5.513,00 oltre accessori di legge;
compensa per 1/3 le spese del presente grado di giudizio e condanna il al pagamento dei
residui 2/3 che liquida, per l’intero nella somma di euro 6.946,00 oltre accessori di legge;
dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone in esso menzionate ai sensi dell’art. 52 del d. l.vo 30.06.2003 n.196.
IL CONSIGLIERE Est. IL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME COGNOME