Danno patrimoniale da ritardo del processo: non basta affermare, bisogna provare
Quando un processo dura troppo a lungo, i danni possono essere non solo morali, ma anche concretamente economici. La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 18325/2024, offre un chiarimento fondamentale su un punto cruciale: per ottenere un risarcimento per il danno patrimoniale da ritardo processo, non è sufficiente lamentare un pregiudizio, ma è necessario dimostrare in modo specifico e dettagliato il legame diretto tra la lentezza della giustizia e la perdita economica subita. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I fatti di causa
La vicenda trae origine da una causa di simulazione di compravendite immobiliari iniziata nel lontano 2004. Dopo un lungo iter processuale, che vedeva la parte ricorrente vittoriosa in appello, le parti raggiungevano una transazione mentre il giudizio pendeva in Cassazione. Quest’ultima, nel 2021, dichiarava l’estinzione del processo.
A seguito della conclusione della causa, la parte che aveva subito la lunga attesa avviava un procedimento per ottenere un ‘equo indennizzo’ per la durata irragionevole del processo. In particolare, lamentava un ingente danno patrimoniale, sostenendo che l’eccessiva durata del giudizio aveva portato la controparte a uno stato di insolvenza, impedendole di recuperare le somme dovute e costringendola a sostenere ingenti spese legali.
La questione del nesso causale e il danno patrimoniale da ritardo processo
Il cuore del ricorso in Cassazione verteva proprio sul presunto errore della Corte d’Appello, la quale aveva liquidato un indennizzo per il solo danno non patrimoniale (la sofferenza e il disagio per l’attesa), ma aveva escluso il risarcimento per il danno patrimoniale. La ricorrente sosteneva che se il processo si fosse concluso in tempi ragionevoli, la controparte sarebbe stata solvibile (producendo un estratto conto del 2016 che ne attestava la capienza) e lei avrebbe potuto recuperare il suo credito.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per ‘difetto di specificità’. Con questa formula, i giudici hanno evidenziato una carenza fondamentale nell’argomentazione della ricorrente. La Corte ha ribadito un principio consolidato: chi chiede un risarcimento per un danno patrimoniale derivante dalla lungaggine processuale ha l’onere di dimostrare in modo rigoroso il nesso di causalità diretto e immediato tra il ritardo e il pregiudizio economico.
Le motivazioni
Secondo la Cassazione, la ricorrente si è limitata ad affermare l’esistenza di questo nesso, senza però argomentarlo in modo sufficientemente dettagliato e specifico. Non basta, infatti, presentare un documento che attesta la solvibilità della controparte in un dato momento (il 2016) e contrapporlo a una transazione con rinuncia avvenuta anni dopo (nel 2021). Era necessario spiegare e provare come e perché proprio il ritardo del processo avesse causato l’insolvenza della controparte e, di conseguenza, il danno economico quantificato in quasi 100.000 euro. Mancando questa specifica dimostrazione, la domanda non poteva che essere respinta, poiché il giudice non può presumere o ipotizzare il collegamento tra i due eventi.
Le conclusioni
L’ordinanza n. 18325/2024 è un monito importante per chiunque intenda chiedere un risarcimento per i danni patrimoniali causati dalla lentezza della giustizia. La decisione sottolinea che la prova del danno non può essere generica o presuntiva. È indispensabile fornire al giudice un’argomentazione dettagliata, supportata da prove concrete, che illustri in maniera inequivocabile come il trascorrere del tempo abbia direttamente e immediatamente causato la perdita economica. In assenza di questo rigoroso onere probatorio, il rischio è che la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale da ritardo processo venga dichiarata inammissibile, lasciando il cittadino con il solo, e spesso insufficiente, indennizzo per il danno morale.
Per ottenere un risarcimento per danno patrimoniale dovuto alla durata irragionevole di un processo, cosa bisogna dimostrare?
Secondo l’ordinanza, è onere della parte che chiede il risarcimento dimostrare in modo specifico e dettagliato il nesso causale immediato e diretto tra il ritardo del processo e il danno patrimoniale subito.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile nel caso specifico?
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per difetto di specificità, poiché la ricorrente non ha argomentato in modo sufficientemente dettagliato il nesso causale tra la capienza economica della controparte in un dato anno e l’insorgere del danno patrimoniale anni dopo.
Basta allegare un documento, come un estratto conto, per provare un danno patrimoniale da ritardo processuale?
No, non è sufficiente. Come chiarito dalla Corte, allegare un documento non basta se non è accompagnato da un’argomentazione specifica e dettagliata che colleghi in modo diretto la prova documentale al ritardo del processo e al danno economico che ne sarebbe conseguito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18325 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18325 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ordinanza
sul ricorso 12173/2023 proposto da:
NOME, difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, difeso da ll’RAGIONE_SOCIALE ;
-controricorrente-
avverso il decreto RAGIONE_SOCIALE Corte di appello di Bologna 568/2022 del 25/11/2022.
Ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa e ragioni RAGIONE_SOCIALE decisione
Nel processo presupposto la parte successivamente ricorrente per equo indennizzo è convenuta nel 2004 in un’azione di simulazione di compravendite immobiliari che in appello è stata rigettata. Nella pendenza del giudizio di cassazione, le parti concludono una transazione e la controparte rinuncia al rico rso. Nel 2021 questa Corte pronuncia l’estinzione del giudizio con compensazione delle spese. Rigettata nella fase monocratica, la domanda di equo indennizzo è parzialmente accolta nella fase collegiale, con liquidazione di € 4.500.
Ricorre in cassazione la parte privata con un unico motivo in cui si denuncia che la Corte di appello ha escluso l’impatto RAGIONE_SOCIALE durata irragionevole del processo presupposto sui danni patrimoniali lamentati dalla ricorrente come dovuti alla sopravvenuta insolvenza RAGIONE_SOCIALE controparte e alla necessità di pagare le spese processuali. Si deduce violazione degli artt. 2-bis l. 89/2001, 2056 e 1223 c.c., 115 c.p.c. Resiste il RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il ricorso è inammissibile per difetto di specificità.
È onere RAGIONE_SOCIALE parte dimostrare che i danni patrimoniali sono conseguenza immediata e diretta del ritardo del processo (cfr. Cass. 11829/2018). Nel caso attuale l’onere non è stato rispettato, poiché la ricorrente si limita a dire di aver allegato un estratto conto bancario che attestava la capienza RAGIONE_SOCIALE controparte nel 2016 a fronte di una transazione nel 2021 con rinuncia delle parti alle rispettive pretese, senza argomentare in modo sufficientemente dettagliato e specifico circa il nesso causale ipotizzato tra la capienza RAGIONE_SOCIALE parte debitrice nel 2016 e l’insorgere di un danno quantificato in complessivi € 108.769,58 (di cui € 10.000 di danno non patrimoniale e € 98.769,58 di danno patrimoniale).
Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore RAGIONE_SOCIALE parte controricorrente, che liquida in € 1.500, oltre alle spese da prenotare a debito.
Così deciso a Roma il 10/5/2024.