Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8349 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8349 COGNOME 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30812/2021 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO tessa NOME AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 949/2021 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata l’11/05/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/01/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 11/05/2021, la Corte d’appello di Firenze ha confermato (seppur in forza di una motivazione parzialmente difforme) la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni subiti dall’attore a seguito del sinistro stradale deAVV_NOTAIOo in giudizio;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base del complesso degli elementi istruttori acquisiti nel corso del giudizio, fosse rimasta accertata la concorrente responsabilità dei protagonisti del sinistro nella relativa verificazione (pur nella diversa percentuale del 70% a carico del COGNOME e del 30% a carico del COGNOME), con la definitiva liquidazione del risarcimento del danno dovuto in favore del COGNOME nella corrispondente misura che, benché rideterminata in appello (in parziale accoglimento delle ragioni sostenute dal danneggiato), doveva ritenersi in ogni caso inferiore agli importi complessivamente già versati (in parte prima del giudizio e in parte in corso di causa) dalla RAGIONE_SOCIALE in favore dell’istante, con la conseguente conferma della ritenuta infondatezza della domanda risarcitoria proposta dall’originario attore;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso;
la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME non hanno svolto difese in questa sede;
entrambe le parti costituite hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la corte territoriale accertato un concorso di colpa con una motivazione carente e contraddittoria senza valutare correttamente gli elementi di fatto (intersezione stradale) non oggetto di valutazione discrezionale e non avendo esaminato un fatto decisivo del giudizio oggetto di illustrazione in atti (caratteristica dei luoghi dove è avvenuto il sinistro) determinando l’erroneità delle conclusioni circa il concorso di colpa;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come nel proporre la censura in esame il ricorrente si sia sottratto al puntuale assolvimento degli oneri di allegazione allo stesso imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., con particolare riguardo all’esatta localizzazione, tra gli atti dell’odierno giudizio, degli atti su cui l’impugnazione risulta fondata;
varrà peraltro sottolineare, da un lato, come le circostanze di fatto il cui esame sarebbe stato asseritamente omesso dal giudice d’appello non risultino esser state in alcun modo effettivamente trascurate (avendo la corte territoriale proceduto alla ricostruzione dei luoghi di causa e all’esame completo delle modalità di verificazione del sinistro) e, dall’altro, come il fatto deAVV_NOTAIOo dal ricorrente (così come dallo stesso soggettivamente ricostruito, peraltro in termini largamente approssimativi e arbitrari) appare del tutto destituito dell’indispensabile requisito della decisività, essendosi il ricorrente sottratto all’onere di argomentare in forme adeguate le ragioni per cui l’eventuale considerazione di tale fatto avrebbe in ipotesi conAVV_NOTAIOo a un sicuro diverso esito della lite;
del tutto destituita di fondamento, infine, deve ritenersi la censura avanzata con riguardo al preteso carattere apparente della motivazione dettata dal giudice a quo , avendo la corte territoriale elaborato un discorso giustificativo pienamente comprensibile e logicamente congruo, idoneo a dar conto in modo adeguato dell’ iter logico-giuridico seguito al fine di giungere alla decisione assunta;
pienamente condivisibili, per completezza, devono ritenersi le argomentazioni svolte da parte resistente con riguardo alle caratteristiche dell’intersezione, nella specie invocate da parte ricorrente;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2054 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha posto a base della propria decisione di attribuzione di un concorso di colpa a carico del conducente il motoveicolo una contestazione mai sollevata dalla difesa della controparte, violando o, comunque, non correttamente applicando altresì gli artt. 1227 e 2054 c.c. per non aver accertato che il comportamento di uno dei soggetti coinvolti sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso comunque non evitabile da parte dell’altro, attese le concrete circostanze della circolazione stradale e l’effettiva invasione improvvisa della carreggiata da parte del conducente il furgone;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, anche in relazione alla censura in esame, il ricorrente si sia sottratto al puntuale assolvimento degli oneri di allegazione allo stesso imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., con particolare riguardo all’esatta localizzazione, tra gli atti dell’odierno giudizio, degli atti su cui l’impugnazione risulta fondata;
varrà sotto altro profilo evidenziare come le plurime asserite violazioni di legge denunciate dal ricorrente si risolvano in una sostanziale proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, secondo un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità, apparendo peraltro del tutto impropria l’affermazione del ricorrente secondo cui i modi scorretti della conAVV_NOTAIOa stradale dell’attore non fossero mai stati contestati dalla controparte, spettando in ogni caso all’istante, nel rispetto dei principi di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti posti a fondamento della richiesta risarcitoria; fatti tra i quali devono ritenersi necessariamente ricompresi quelli concernenti la ricostruzione della dinamica del sinistro, cui non sfugge la considerazione del l’eventuale apporto causale fornito dalla conAVV_NOTAIOa stradale del danneggiato; conAVV_NOTAIOa stradale che, pertanto, rappresenta un elemento costitutivo, tanto del thema probandum quanto del thema decidendum , in virtù della medesima sollecitazione giudiziaria avanzata dall’attore ;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059, 2697 e 2729 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5, per essersi la corte territoriale illegittimamente sottratta all’illustrazione, quantomeno sommaria, dei motivi sulla base dei quali avrebbe considerato non raggiunta la prova degli elementi di fatto integranti la particolare fattispecie, non riconducibile all’ id quod plerumque accidit , legittimante un diverso, maggior risarcimento rispetto a quello ottenibile con l’applicazione delle tabelle e per non aver quindi esaminato un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di analitica illustrazione negli atti
depositati e per aver disapplicato perciò anche gli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., violando il diritto al risarcimento del danno integrale del macroleso;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, anche in relazione alla censura in esame, il ricorrente si sia sottratto al puntuale assolvimento degli oneri di allegazione allo stesso imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., con particolare riguardo all’esatta localizzazione, tra gli atti dell’odierno giudizio, degli atti su cui l’impugnazione risulta fondata;
varrà peraltro evidenziare come le censure avanzate dal ricorrente, tanto sotto il profilo della violazione di legge, quanto sotto il profilo del preteso omesso esame di fatti decisivi controversi, si risolvano ancora una volta in una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, con particolare riguardo alla prova delle circostanze cosiddette ‘ personalizzanti ‘ , idonee, in ipotesi, a legittimare un maggior importo del risarcimento del danno (una personalizzazione di entità maggiore sul piano quantitativo) rispetto a quello liquidato dal giudice d’appello;
nella specie, trattandosi della valutazione delle prove acquisite al giudizio con riguardo a circostanze rilevanti ai fini della decisione della causa, il senso o l’ ubi consistam delle censure in esame, da un lato, si risolve nella prospettazione di un’errata ricognizione della fattispecie concreta (con la conseguente esclusione di alcuna forma di violazione o di falsa applicazione di legge), dall’altro, mira a denunciare il preteso omesso esame di fatti sulla cui eventuale effettiva decisività non risulta articolata alcuna adeguata argomentazione, con particolare riguardo al preteso carattere eccezionale delle conseguenze invalidanti sofferte, che non sarebbero state ricomprese tra quelle ordinariamente
considerate dalle tabelle e dall’ulteriore personalizzazione positivamente accordata al COGNOME‘COGNOME ;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 e 2729 c.c., e degli art. 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5, per aver la corte territoriale violato le norme che disciplinano la liquidazione del danno patrimoniale da mancato guadagno non avendo utilizzato i coefficienti più attuali, disapplicando il principio di diritto stabilito dal giurisprudenza costante, ed applicando, invece, un’ulteriore riduzione con motivazione incoerente ed illogica per essere fondata su presunzioni smentite da dati di comune esperienza non avendo, pertanto, esaminato un fatto decisivo della controversia oggetto di illustrazione analitica negli atti di causa e risultando la motivazione della sentenza perciò affetta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e obiettivamente incomprensibili;
il motivo è fondato nei termini di seguito precisati;
osserva preliminarmente il Collegio come, pur avendo il ricorrente formalmente prospettato la doglianza in esame sotto il profilo della violazione delle norme di legge richiamate nell’epigrafe del motivo d’impugnazione nonché dell’omesso esame di fatti decisivi controversi rilevanti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., detta doglianza appare tuttavia articolata, sul piano sostanziale, in termini tali costituire un’inequivoca sollecitazione al controllo dell’effettiva congruenza logica della motivazione dettata dalla corte territoriale (in forme tali da incidere sulla relativa legittimità nel rispetto dell’art. 132 n. 4 c.p.c.),
con particolare riguardo al punto concernente i criteri di liquidazione del danno (cfr., ad es., pag. 31 del ricorso);
sul punto, è appena il caso di richiamare l’insegnamento della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi del quale, l’onere della specificità ex art. 366 n. 4 c.p.c. (secondo cui il ricorso deve indicare ‘ i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano ‘ ) non dev’essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione dell’ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360, co. 1, c.p.c., cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione degli articoli, codicistici o di alti testi normativi (nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali), comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo d’impugnazione, abbia deAVV_NOTAIOo un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 cit. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, in motivazione);
ferma tale premessa, osserva il Collegio come la motivazione dettata dalla corte territoriale, in relazione al punto concernente la liquidazione del danno, appare tale ( in parte qua ) da porsi in insanabile e irriducibile contrasto con il principio che impone l’essenziale conformazione della giustificazione argomentativa dettata nella sentenza a un elementare standard di congruità logico-giuridica, secondo i termini del c.d. ‘minimo costituzionale’ della motivazione;
in thema , la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha espressamente evidenziato come la riformulazione dell’art. 360, co. 1,
n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguente denunciabilità in cassazione dell’anomalia motivazionale che si tramuti in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, là dove il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n . 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01);
nel caso di specie, lo sviluppo argomentativo seguito nella sentenza impugnata – nella parte in cui ritiene di dover procedere a una riduzione dell’importo risarcitorio dovuto in favore dell’odierno ricorrente in considerazione del (preteso) principio secondo cui ‘ l’effettiva percezione del reddito ragionevolmente ridursi con l’avanzare dell’età del sinistrato ‘ e tenuto conto dello scarto tra la vita fisica e la vita lavorativa – risulta gravemente carente sul piano logico-giuridico, risolvendosi, in ultima analisi, in un discorso motivazionale dal carattere meramente apparente;
ciò posto, dev’essere in primo luogo disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente con riguardo alla pretesa violazione delle norme che disciplinano la liquidazione del danno patrimoniale da mancato guadagno in considerazione della mancata utilizzazione dei coefficienti più attuali;
sul punto, varrà considerare come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il danno permanente da incapacità di guadagno non possa più liquidarsi utilizzando i coefficienti di capitalizzazione approvati con r.d. n. 1403 del 1922, dal momento che questi ultimi, a causa dell’aumento della durata media della vita, e della
diminuzione dei saggi d’interesse, non sono idonei a garantire un corretto risarcimento equitativo del danno. Sicché, per rispettare il principio di integralità del risarcimento ex art. 1223 cod. civ. la valutazione deve essere svolta mediante la moltiplicazione del reddito perduto ‘per un adeguato coefficiente di capitalizzazione’, alla stregua di parametri che considerino ‘da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, mediante coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano (Sez. 3, Sentenza n. 16913 del 25/06/2019, Rv. 654432 -02; Sez. 3, Sentenza n. 9002 del 21/03/2022);
nel caso di specie, la corte territoriale, risulta aver fatto corretta applicazione di tali principi, avendo ricavato il coefficiente di capitalizzazione dalle più recenti tabelle previdenziali e assistenziali elaborate dall’RAGIONE_SOCIALE, che, in relazione ad un individuo di anni 44 (al momento del sinistro), prevedono un coefficiente pari al 24,9611;
in questa sede, l ‘attualità del coefficiente utilizzato dalla corte territoriale viene censurata dal ricorrente in modo solo generico e sostanzialmente apodittico, essendosi il ricorrente limitato a rilevare la (pretesa) insussistenza di elementi idonei ad attestare l’attualità del coefficiente (senza peraltro sviluppare alcun calcolo che, sulla base di coefficienti alternativi, avrebbe in ipotesi garantito risultati più favorevoli), astenendosi dall’allegare e comprovare il ricorso di alcuna erroneità del richiamo che la corte territoriale ha espressamente operato ‘alle più recenti tabelle previdenziali e assistenziali elaborate
dall’RAGIONE_SOCIALE , risolvendo, pertanto, la propria censura in una sostanziale contestazione nel merito del potere discrezionale di valutazione equitativa del danno che il giudice d’appello ha sul punto esercitato in modo corretto e nel rispetto di parametri adeguati;
dev’essere, viceversa, rilevata la radicale illogicità in iure delle argomentazioni illustrate dalla corte territoriale con riguardo alla riduzione dell’importo risarcitorio sul presupposto della pretesa ‘ragionevolezza’ del principio secondo cui ‘ l’effettiva percezione del reddito ragionevolmente ridursi con l’avanzare dell’età del sinistrato ‘, nonché con riguardo alla predetta riduzione in applicazione del coefficiente concernente lo scarto tra la vita fisica e la vita lavorativa;
tali argomentazioni appaiono all’evidenza del tutto prive di logicità e sostanzialmente irragionevoli, dovendo attribuirsi carattere decisivo al dato di comune apprezzamento relativo alla normale dinamica reddituale di ciascun lavoratore, di regola destinata ad aumentare con l’avanzare dell’età , vuoi per l’affinamento delle capacità del lavoratore autonomo, dovuto all’accrescimento delle esperienze, vuoi per effetto del maturare dell’anzianità del lavoratore dipendente, comportante di norma incrementi salariali (cfr. quanto precisato sul punto da Sez. 6 3, Ordinanza n. 6619 del 16/03/2018, Rv. 648478 – 01);
sotto altro profilo, dev’essere ormai destituita di alcun significato l’applicazione del tradizionale principio incline a giustificare una riduzione del risarcimento del danno in applicazione del coefficiente concernente lo scarto tra la vita fisica e la vita lavorativa, non comprendendosene più le ragioni operative nel quadro di un sistema che, attraverso la generalizzazione del criterio di liquidazione pensionistica su base contributiva, appare piuttosto vòlto ad aggravare
(invece che ad attenuare) il pregiudizio patrimoniale connesso alla forzata inattività del lavoratore danneggiato;
con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 e 272 c.c., e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per essersi la corte territoriale sottratta all’obbligo di pronuncia sulla domanda di condanna al pagamento degli interessi dopo aver riconosciuto il danno da ritardo nel risarcimento da fatto illecito extracontrattuale, omettendone la relativa quantificazione;
la riconosciuta fondatezza del quarto motivo vale ad assorbire la rilevanza dell’esame del quinto motivo;
sulla base di tali premesse, rilevata l’inammissibilità dei primi tre motivi e la fondatezza del quarto per quanto di ragione (assorbito il quinto), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle ragioni di accoglimento del quarto motivo, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i primi tre motivi; accoglie il quarto per quanto di ragione; dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione alle ragioni di accoglimento del quarto motivo, e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione dell’11/01/2024.
Il Presidente NOME COGNOME