Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23308 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23308 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13485 – 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL ‘ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 11/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, del 5/1/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Home di RAGIONE_SOCIALE, (già Home di ing. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE di ing. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE) chiese, alla Corte di Appello di Firenze, l’ indennizzo ex art. 3 L. n° 89/01 per l’eccessiva durata d ‘un giudizio amministrativo, articolatosi in due gradi, iniziato in data 21/3/2005 e definito con sentenza del Consiglio di Stato del 31/12/2021; rappresentò che, con il ricorso dinnanzi al TAR aveva impugnato il provvedimento con cui il Comune di Capalbio aveva dichiarato improcedibile la sua richiesta di concessione edilizia per l’edificazione dei terreni di sua proprietà, classificati dal P.R.G. del 27/04/2000 come di «espansione residenziale»; il TAR aveva annullato il provvedimento con sentenza del 27/11/2014 , ma in pendenza dell’appello proposto il 2/4/2015, il Comune aveva adottato un nuovo strumento urbanistico, escludendo la edificabilità di quei terreni; il Consiglio di Stato, infine, aveva concluso il giudizio dichiarando improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso di primo grado; quantificò il ristoro spettante in euro 202.500 comprensivi anche del danno patrimoniale asseritamente subito in conseguenza del protrarsi del giudizio e chiese che l’indennizzo fosse liquidato «previa disapplicazione» dei limiti fissati da ll’art. 2 -bis della L. 89/2001; in via subordinata, ai sensi dell’art. 3 commi 4 e 5 della L. 89/2001, chiese la somma di euro 9.600,00 a titolo di equa riparazione.
Con decreto cron. n. 364/2022 del 13.09.2022, il Consigliere delegato della Corte di Appello di Firenze, liquidò euro 5.360,00 a titolo di equa riparazione per la durata irragionevole.
Con decreto n. cron. 11/2023, la Corte d’appello di Firenze respinse l’opposizione della società; quindi, ritenuti «parzialmente fondati i rilievi del MEF», revocò il decreto opposto e ridusse l’indennizzo al minor importo di euro 4.400,00 compensando interamente le spese di lite.
Avverso questa sentenza Home di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi; il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Home di RAGIONE_SOCIALE seppure articolando formalmente un primo motivo di ricorso in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., ha innanzitutto sostenuto che l’art. 2 -bis della legge 24 marzo 2001 n. 89, applicato nel provvedimento impugnato, sarebbe illegittimo per contrasto con gli artt. 6 e 13 CEDU in quanto fisserebbe limiti di indennizzo non adeguati.
1.1. Di là della mancanza di formulazione di una censura (la Corte d’appello ha, infatti, liquidato l’indennizzo nei limiti fissati dal legislatore), deve ribadirsi, come già chiarito da questa Corte, che il sistema di quantificazione dell’indennizzo delineato dagli artt. 2 e 2 bis della legge n. 89/2001 attua i principi fissati nell’art. 6 CEDU dettando una disciplina di dettaglio nell’ambito del margine di apprezzamento che la Convenzione lascia ai legislatori nazionali; le disposizioni in tema di misura dell’indennizzo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, introdotte prima dal d.l. n. 83 del 2012 e poi dalla legge n. 208/2015 non contrastano in tesi con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, par. 1, della CEDU, atteso che la derogabilità dei criteri ordinari di liquidazione e la ragionevolezza del criterio del minimo di 500 e, poi, di 400 euro per anno di ritardo hanno proprio recepito le indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza della Corte E.D.U. e di questa stessa Corte (Sez. 6 – 2, n. 25964 del 24/09/2021, con indicazione dei precedenti rilevanti).
Pertanto, l’indennizzo calcolato in euro 400 per anno di ritardo non può essere di per sé considerato irragionevole, e quindi lesivo dell’adeguato ristoro per violazione del termine di durata ragionevole del processo, in quanto riconosciuto nei limiti fissati dal legislatore e non contrasta, per sé solo, con l’esigenza, posta a fondamento della legge n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione (v. Cass. n. 22772 del 2014; Cass. n. 12937 del 2012; Cass. n. 17404 del 2009).
A ciò si aggiunga che la quantificazione dell’indennizzo tra il minimo (pari ad euro 400,00 per ciascun anno di ritardo irragionevole) ed il massimo (pari ad euro 800,00), secondo la forbice indicata dalla legge n. 89 del 2001, costituisce un giudizio di fatto non censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di violazione di legge.
Infine, come rilevato dalla Corte d’ appello (secondo cpv pag. 3), la predeterminazione dei parametri di liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale non interferisce in alcun modo con il rigetto della domanda di ristoro del diverso danno patrimoniale che è la statuizione effettivamente censurata.
Con il secondo motivo, pure articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la società ha denunciato la violazione degli artt. 2 e 2-bis della legge 4 marzo 2001 e de ll’art. 6 della CEDU, nonché degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. e degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. : la Corte d’appello ha escluso la risarcibilità del danno patrimoniale, sostenendo che la mancata realizzazione dell’intervento edificatorio non sarebbe dipesa dalla lunghezza del processo, ma dall’adozione di u n nuovo strumento urbanistico nel 2008. Così motivando, la Corte distrettuale non avrebbe considerato
che l’irragionevole protrarsi del processo ha ritardato la realizzazione dell’investimento e precluso la possibilità di conseguirne un profitto; ha lamentato, perciò, con un secondo profilo, articolato in riferimento al n. 5, l’ omessa, apparente e comunque insufficiente motivazione in ordine alla liquidazione dell’indennizzo ovvero l’ omesso esame di fatti invece decisivi, quali l’avere i terreni mantenuto, dopo lo stralcio parziale dell’area, un’ edificabilità di 220 mq. che comunque non era stata utilizzabile nella pendenza dei giudizi.
2.1. Il motivo è infondato. La Corte d’appello non ha affatto omesso l’esame dei fatti evidenziati in ricorso come non valutati, seppure rilevanti: dal penultimo capoverso di pag. 3 della sentenza e, poi, di seguito, ha escluso, infatti, la rilevanza diretta del protrarsi del giudizio oltre la durata irragionevole perché, come rilevato dal Consiglio di Stato, già nel 2008 , a soli tre anni di distanza dall’inizio del processo (punto 5 pag. 4 della motivazione del decreto impugnato), lo strumento urbanistico è stato modificato; la ricorrente, pertanto, ha realizzato l’investimento in termini più ridotti non per la pendenza della lite , ma perché solo in quei termini esso era consentito dal nuovo strumento urbanistico, la cui legittimità è stata confermata in altro giudizio pure intrapreso dalla società (così al precedente punto 4 della motivazione).
Così decidendo, la Corte d’appello ha correttamente applicato i principi già elaborati da questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, la natura indennitaria dell’obbligazione esclude la necessità dell’accertamento soggettivo della violazione, ma non l’onere del ricorrente di provare la lesione della sua sfera patrimoniale quale conseguenza diretta e immediata di detta violazione, esulando il pregiudizio dalla fattispecie del «danno evento»: il danno patrimoniale risarcibile è, infatti, soltanto quello in rapporto causale tra il ritardo nella definizione del giudizio e il pregiudizio sofferto, ma certamente non il pregiudizio che si innesta
nella serie causale già in atto come fattore autonomo (nella specie, la modifica dello strumento urbanistico) che comportano la degradazione delle cause preesistenti, la durata irragionevole, al rango di mere occasioni (cfr. tra le tante pronunce, Sez. 6 – 2, n. 16327 del 30/07/2020; Sez. 2, n. 33004 del 17/12/2024).
Con il terzo motivo, la ricorrente ha, infine, prospettato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello compensato le spese, sulla base del parziale accoglimento dell’opposizione del Ministero, seppure non fosse stata proposta «nessuna opposizione incidentale formale», ma soltanto una domanda di «rideterminazione del periodo di irragionevole durata del processo», interpretata tuttavia come proposizione di opposizione incidentale.
3.1. Anche questo motivo è infondato.
Come già puntualizzato da questa Corte, l’opposizione di cui all’art. 5-ter della legge n. 89 del 2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 19348/15; analogamente, Cass. n. 20463/15); come nel procedimento per decreto ingiuntivo, il procedimento ex lege Pinto condivide una prima fase, che si svolge inaudita altera parte e che termina con la provocatio ad opponendum e una seconda fase d’opposizione, caratterizzata da un contraddittorio pieno e da una cognizione esaustiva.
L’opposizione può essere attivata sia dalla parte erariale, che subisce l’ingiunzione di cui al decreto pronunciato ai sensi dell’art. 3, comma 5, sia da quella privata insoddisfatta da tale provvedimento, allorché il decreto monocratico abbia respinto in toto ovvero abbia
accolto parzialmente la domanda d’equa riparazione, escludendo una o più voci di danno o liquidandole in misura inferiore al richiesto; in tal caso, infatti, l’opposizione è necessitata dalla non riproponibilità della domanda (art. 3. comma 6 legge n. 89/01). In conseguenza, può considerarsi come l’opposizione ex art. 5-ter della parte privata, insoddisfatta dall’esito della fase monitoria, abbia carattere pretensivo, a differenza di quella erariale che ha sempre e solo natura difensiva. Questa considerazione consente di ulteriormente rimarcare che il Ministero opposto, avendo prestato acquiescenza al decreto emesso, in ipotesi di opposizione ad opera della parte privata, affronta un giudizio che non aveva interesse a provocare e del quale, se vittorioso, non può sopportare le spese.
A ciò deve ancora aggiungersi che il decreto opposto dev’essere necessariamente revocato, quando l’esito dichiarativo finale sia difforme dall’accertamento compiuto in sede monocratica.
Di riflesso, la sostituzione del provvedimento monocratico con il decreto collegiale, quale unica statuizione di merito, implica la necessaria revoca anche del capo relativo alle spese liquidate in favore della parte ricorrente, già poste a carico di quella erariale ai sensi dell’ultima parte del quinto comma dell’art. 3 legge n. 89/01.
Nel decreto collegiale, allora, le spese devono essere regolate a misura dell’intera vicenda processuale e non soltanto della fase d’opposizione, in base al criterio di soccombenza e mediante una valutazione complessiva del procedimento di equa riparazione.
Se invece, l’opposizione ex art. 5-ter legge n.89/01 è respinta, il decreto monocratico sopravvive tanto nel suo contenuto dichiarativo quanto nel capo che liquida le spese, con la conseguenza che il regolamento che ne segue in sede di opposizione, non potendo riguardare anche le spese, ormai intangibili, della fase monitoria, è ulteriore e autonomo: in tale ipotesi, la tutela del diritto all’equa
riparazione non resta monca, ma è soddisfatta dalle spese della fase monitoria; il «di più» provocato dall’opposizione infondata è, invece, correttamente posto a carico della parte opponente che ha imposto un giudizio infruttuoso, salvo ricorrano ipotesi di compensazione ai sensi dell’art. 92, cpv. cod. proc. civ. (così, chiaramente, Sez. 6 – 2, n. 26851 del 2016).
3.2. Nella specie, allora, la parte privata ha opposto il decreto opponendosi al rigetto della sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale, indicandolo nella consistente somma di euro 202.500,00, sia pure comprensiva dell’indennizzo per la durata ir ragionevole.
Il Ministero, costituendosi, ha chiesto alla Corte d’appello di modificare il calcolo della durata irragionevole in riferimento alla data di proposizione dell’istanza di fissazione dell’udienza di discussione e ha altresì rappresentato, al fine di liquidare l’indennizzo in riferimento al parametro minimo e senza ulteriori aumenti progressivi, che la ricorrente ha persistito nel giudizio presupposto nonostante l’adozione del nuovo strumento urbanistico già dal 2008, in pendenza del giudizio di primo grado.
La Corte d’appello ha correttamente esaminato le richieste del Ministero perché nel procedimento di equa riparazione delineato dal legislatore nel 2012 non è ipotizzatile, come preteso dalla ricorrente, la possibilità della proposizione di un’opposizione incidentale (Sez. 6 2, n. 16110 del 29/07/2015).
Dal combinato disposto degli art. 3, 5 e 5 ter della legge n.89/2001, infatti, si rileva che se il ricorso è, come accaduto nella specie, in tutto o in parte respinto, la domanda non può essere riproposta, ma la parte ricorrente può fare opposizione a norma dell’articolo 5-ter (art. 3 comma 6); l’opposizione, però, non è proponibile se il decreto che abbia parzialmente accolto l’istanza sia stato notificato alla controparte pubblica (art. 5 comma 3); ciò in altri
termini significa che la parte istante che abbia ricevuto un rigetto o un accoglimento soltanto parziale e intenda insistere nella sua intera pretesa deve necessariamente proporre opposizione ex art. 5 ter, senza procedere ad alcuna notifica.
In conseguenza, allora, per il Ministero la notificazione dell’atto di opposizione ex art. 5 ter costituisce (e ha costituito nella specie) il primo atto introduttivo sottoposto al suo contraddittorio: proprio in mancanza di notifica di un decreto di condanna sia pure in misura ridotta, il Ministero non aveva (e non ha) la possibilità di proporre una opposizione incidentale, potendo solo resistere alle domande formulate dall’opponente nei suoi confronti; le eccezioni e le richieste di rigetto dell’ampliamen to della pretesa, pertanto, costituiscono la necessaria difesa dell’Amministrazione resistente.
Ciò precisato, deve ancora considerarsi che, come rimarcato dalla Corte d’appello nel decreto impugnato e come già esposto al punto 3.1., la liquidazione delle spese di lite doveva necessariamente essere operata unitariamente per l’intero giudizio a seguito della revoca del decreto opposto, perché il giudizio di opposizione si è concluso con il rigetto dell’ulteriore pretesa della ricorrente e , in accoglimento delle eccezioni del Ministero, con la revoca del decreto opposto e la riduzione ulteriore dell’indennizzo spettante .
Più in particolare, la compensazione è stata giustificata tenendo conto della fondatezza soltanto parziale della pretesa, consistente in complessivi euro 202.500,00, ma per due differenti voci di danno, con la negazione della sussistenza dell’asserito danno patrimoniale e il riconoscimento del solo indennizzo per la durata irragionevole, per giunta ridotto nella minor misura di euro 4.400,00 in accoglimento dell’eccezione del Ministero.
In tal senso, allora, la statuizione di compensazione comunque non viola il principio della soccombenza, secondo cui la parte
integralmente vittoriosa non deve sopportare nemmeno parzialmente le spese di lite (cfr. Sez. U, n. 32061 del 31/10/2022).
Il ricorso è, perciò, respinto, con conseguente condanna della società ricorrente al rimborso delle spese di legittimità in favore del Ministero, liquidate in dispositivo in relazione al valore della causa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna Home di RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del Ministero delle Finanze delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.940,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda