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Danno non patrimoniale: prova e nesso di causalità

Una cittadina, danneggiata dalla condotta illecita di un presidente di seggio elettorale, ha chiesto il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Quest’ultimo era basato sulla sofferenza causata dalla diffusione mediatica della notizia e dai commenti offensivi di terzi. La Corte di Cassazione ha negato il risarcimento del danno non patrimoniale, chiarendo che l’autore dell’illecito non risponde dei commenti fatti da altri, in quanto manca un nesso di causalità diretto. La Corte ha inoltre confermato la compensazione parziale delle spese legali a causa dell’accoglimento solo parziale della domanda di risarcimento.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno Non Patrimoniale e Commenti di Terzi: Chi Paga?

La richiesta di risarcimento per un danno non patrimoniale è una questione complessa, soprattutto quando si cerca di collegare la sofferenza subita non solo a un fatto illecito, ma anche alle sue conseguenze mediatiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: fino a che punto l’autore di un illecito è responsabile per i commenti offensivi e le reazioni negative di terzi? L’analisi del nesso di causalità diventa, in questi casi, l’elemento determinante.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine durante le elezioni regionali siciliane del 2008. Un presidente di sezione elettorale, dovendo sostituire due scrutatori assenti, ha nominato un proprio conoscente a un posto più remunerativo, a discapito di un’altra aspirante. Quest’ultima, sentendosi danneggiata, lo ha accusato di abuso d’ufficio.

Il percorso giudiziario è stato lungo e articolato:
1. In primo grado, il presidente di seggio è stato condannato penalmente.
2. In appello, la condanna è stata riformata per insufficienza di prove sull’intenzione di favorire il conoscente.
3. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello ai soli fini civili, rinviando la causa a una corte civile per la valutazione del risarcimento.

La Corte d’Appello, investita della questione civile, ha riconosciuto l’abuso d’ufficio e ha condannato l’ex presidente a un risarcimento di 1.100 euro per il danno patrimoniale (il mancato guadagno). Tuttavia, ha respinto la richiesta ben più cospicua (20.000 euro) per il danno non patrimoniale, che la ricorrente collegava alla sofferenza causata dalla diffusione mediatica della vicenda e dai commenti offensivi ricevuti.

L’Analisi della Corte sul Danno Non Patrimoniale

La ricorrente ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che la prova del danno non patrimoniale potesse essere desunta da presunzioni, come il risalto mediatico e i commenti sgradevoli diffusi a livello locale, che indicavano la sua sofferenza d’animo. La Suprema Corte ha rigettato questo motivo, basando la sua decisione su una rigorosa interpretazione del nesso di causalità.

Secondo i giudici, i commenti diffusi dalla stampa o dai media sono atti di terzi. L’illecito commesso dal presidente di seggio (l’abuso d’ufficio) ha rappresentato la mera occasione per la pubblicazione della notizia, ma non la causa diretta dei commenti negativi. In altre parole, non vi è un legame causale automatico e necessario tra l’aver commesso l’illecito e il contenuto offensivo degli articoli o dei commenti successivi. La responsabilità per tali commenti ricade sui loro autori, non su chi ha commesso il fatto originario.

La Questione delle Spese Legali e la Soccombenza Parziale

Un secondo motivo di ricorso riguardava la gestione delle spese legali. La Corte d’Appello aveva compensato per tre quarti le spese, addebitando solo il restante quarto all’ex presidente. La ricorrente lamentava questa decisione, ritenendola ingiusta, e contestava anche la liquidazione degli onorari al di sotto dei minimi tariffari.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto alla ricorrente. Ha chiarito che la compensazione delle spese non equivale a una condanna per la parte vittoriosa. È una decisione discrezionale del giudice, giustificata in questo caso dall’accoglimento solo parziale della domanda: la ricorrente aveva chiesto 20.000 euro e ne aveva ottenuti solo 1.100. Questa notevole differenza tra il richiesto e l’ottenuto configura una sorta di soccombenza parziale che legittima la compensazione delle spese. Riguardo agli onorari, il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la ricorrente si era limitata a una doglianza generica, senza specificare quali voci e importi fossero stati liquidati in modo errato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri giuridici fondamentali. Il primo è il principio del nesso di causalità (art. 2043 c.c.), secondo cui un soggetto è tenuto a risarcire solo i danni che sono conseguenza immediata e diretta della sua condotta illecita. La sofferenza derivante da commenti di terzi è una conseguenza mediata e indiretta, la cui responsabilità non può essere automaticamente trasferita all’autore del fatto originario. Il secondo pilastro riguarda le regole processuali: per contestare la liquidazione delle spese legali è necessario un onere di specificità, indicando in modo analitico gli errori commessi dal giudice di merito. Una critica generica non è sufficiente per ottenere una revisione in sede di legittimità.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, ribadisce che per ottenere il risarcimento di un danno non patrimoniale, specialmente quello derivante da lesioni alla reputazione o sofferenze d’animo, è indispensabile dimostrare un nesso causale forte e diretto tra l’illecito e il pregiudizio subito. Le reazioni di terzi, come l’opinione pubblica o i media, interrompono questo nesso, e la responsabilità per eventuali offese va cercata altrove. In secondo luogo, evidenzia l’importanza del rigore tecnico negli atti processuali: le contestazioni, in particolare quelle relative a questioni tecniche come la liquidazione delle spese, devono essere dettagliate e specifiche per essere ammissibili.

Se un illecito riceve attenzione mediatica, la persona che ha commesso l’illecito è responsabile per i commenti offensivi fatti da terzi?
No. Secondo questa ordinanza, la persona che commette l’illecito non è automaticamente responsabile dei commenti negativi o offensivi fatti da terzi (es. stampa o pubblico). L’illecito è considerato solo l’occasione, non la causa diretta di tali commenti, per i quali rispondono i rispettivi autori.

Quando può il giudice compensare le spese legali anche se una parte ha vinto la causa?
Il giudice può disporre la compensazione parziale delle spese legali quando l’accoglimento della domanda è solo parziale. Se un ricorrente chiede un risarcimento molto elevato e ne ottiene uno molto più basso, il giudice può ritenere che vi sia una soccombenza reciproca o parziale che giustifica la divisione delle spese tra le parti.

Come si deve contestare in Cassazione la liquidazione delle spese legali ritenuta troppo bassa?
Per contestare efficacemente la liquidazione delle spese legali, non è sufficiente una lamentela generica. È necessario specificare analiticamente le singole voci e gli importi che si ritengono errati rispetto alle tariffe professionali. In assenza di tale specificità, il motivo di ricorso è considerato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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