Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24404 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24404 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22976/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME e COGNOME che la rappresentano e difendono;
-ricorrente-
contro
MINISTERO DI GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di SALERNO depositato il 22/06/2023, n. 525/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Salerno depositato il 22 giugno 2023, che in sede di opposizione ha rigettato le domande di equa riparazione fatte valere dalla ricorrente e da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano proposto opposizione contro il decreto monocratico che aveva accolto la domanda di equa riparazione di RAGIONE_SOCIALE, condannando il Ministero della giustizia a pagare euro 1.200, e rigettato la domanda di RAGIONE_SOCIALE In relazione alla domanda di Fincibec la Corte d’appello ha ritenuto applicabile il precedente orientamento di questa Corte, secondo il quale non rileva l’eventuale disagio psichico del socio o dell’amministratore della società trattandosi di un soggetto diverso dalla parte che è soltanto la società, quale centro autonomo di imputazione di diritti e di doveri, diritti che nel caso in esame non è provato che potessero essere messi significativamente in pericolo a fronte della ‘consistenza dei soggetti istanti’. La Corte d’appello ha poi ritenuto che, quantomeno nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, anche seguendo la più recente giurisprudenza di questa Corte secondo cui anche per le persone giuridiche può essere ravvisato un danno non patrimoniale inteso come danno morale soggettivo a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, nel caso in esame tale patema non si è protratto per un congruo periodo di tempo a causa della limitata permanenza nella carica dei rappresentanti dell’ente. Infine, ancora in relazione a Fincibec, la Corte d’appello ha osservato come fosse documentalmente riscontrato che la stessa, vantante un capitale sociale di euro 5.000.000, agiva nella
procedura fallimentare per il recupero di un credito chirografario pari appena allo 0,2866802% del capitale sociale.
Resiste con controricorso il Ministero della giustizia.
Memoria è stata depositata dalla ricorrente e dal controricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi:
Il primo motivo denuncia violazione e/o mancata applicazione degli artt. 2, legge 89/2001, 75, 77 e 78 c.p.c., 2056 e 2059 c.c. in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e 6, paragrafo 1, della CEDU: prima del 2003 la Corte di cassazione riteneva inammissibile il riconoscimento del danno non patrimoniale in favore degli enti, ma a partire dal 2004, a fronte della ‘spinta’ della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’orientamento è stato rivisitato e si è affermato che pregiudicate dall’eccessiva durata del processo sono le persone fisiche che ricoprono gli uffici negli enti ovvero ne sono membri; la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che l’indennizzo sia precluso in favore delle persone giuridiche che abbiano mutato la carica dei rappresentanti legali dell’ente con violazione del principio di effettività e si è posta in contrasto con quanto affermato dalla Corte di cassazione.
Il secondo motivo lamenta violazione e/o mancata applicazione dell’art. 2, comma 2 -sexies , lettera g), della legge 89/2001, in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, 24 e 111 Cost.: il decreto impugnato è poi erroneo laddove ha escluso la possibilità di ottenere l’indennizzo stante la consistenza del patrimonio e del capitale sociale da un lato e dell’entità del credito insinuato al passivo fallimentare dall’altro lato.
Il terzo motivo contesta violazione e/o mancata applicazione dell’art. 2, comma 2 -quinquies , lettera a) della legge 89/2001 per motivazione apparente e arbitraria, laddove la Corte d’appello ha affermato che nel corso della procedura fallimentare, e ben prima che la stessa avesse oltrepassato una durata ragionevole, doveva
essere stato subito evidente che non poteva esserci alcuna seria aspettativa di soddisfazione dei crediti chirografari vantati dalla ricorrente.
Il primo motivo è fondato. Secondo l’attuale orientamento di questa Corte, come riconosciuto dalla Corte d’appello, ‘in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è tenuto conto dell’orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo – conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri’. Ciò rende superflua – ha ancora affermato questa Corte -‘la valutazione circa la concreta e puntuale sofferenza di amministratori e preposti nel corso del giudizio presupposto perché tali soggetti non potevano che essere interessati, in quanto organi rappresentativi ed esecutivi della società, alla sollecita trattazione del giudizio’ (Cass., sentenze n. 13986/2013 e n. 322/2016). Il che rende irrilevante, al contrario di quanto sostenuto dalla Corte d’appello nel decreto impugnato, che vi sia stato un avvicendamento nella carica di amministratore della società ricorrente.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo e del terzo motivo.
Il decreto impugnato va pertanto cassato in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Salerno, che provvederà pure in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri motivi di ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda