Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1325 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1325 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16662/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende -controricorrente- avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO MESSINA n. 431/2021 depositata il 03/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2023 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 9.11.2020, COGNOME Vincenzo propose nei confronti del Ministero della Giustizia domanda di equa riparazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’inosservanza del
termine di ragionevole durata in una causa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere la conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
La Corte d’appello, riformando parzialmente il decreto del Consigliere Delegato, condannò il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di € 1800,00 a titolo di indennizzo per l’irragionevole durata del giudizio. Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte di merito ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale in quanto ha ritenuto che non fosse conseguenza immediata e diretta dell’eccessiva durata del giudizio presupposto, osservando che l’art. 32, comma V del D. Lgs n.183 del 2010, ha introdotto la forfettizzazione del risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegalmente assunto a termine, sicché, anche nell’ipotesi in cui fosse stato rispettato il termine di durata ragionevole, il ricorrente non avrebbe evitato il pregiudizio subito relativamente al periodo eccedente i dodici mesi ristorabili ex L. 183/2010, compreso tra la scadenza del termine apposto al contratto e la pronuncia del provvedimento contenente l’ordine giudiziale di ricostituzione del rapporto. La Corte di merito ha richiamato l’art.1, comma 13 della L. 92/2012, che ha chiarito il carattere omnicomprensivo dell’indennità, esaustiva di tutti i danni che sono conseguenza, sul piano retributivo contributivo della perdita del lavoro a termine.
Infine, la Corte ha evidenziato che il danno da irragionevole durata non è quello di cui si controverte nel giudizio presupposto ma quello derivante dal protrarsi nel tempo della controversia, sicché tutti i riflessi negativi sui profili pensionistici avrebbero potuti essere fatti valere in sede di ricostruzione della carriera.
Per la cassazione del decreto della Corte d’appello ha proposto ricorso COGNOME Vincenzo sulla base di cinque motivi.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 bis, comma 2 L.89/2001, art.35, comma 5 del D. Lgs n.183 del 2010, degli artt.2056, 1223, 1226 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il danno patrimoniale non fosse conseguenza diretta ed immediata della durata del processo bensì conseguenza della limitazione del risarcimento prevista dall’art.32, comma 5 del D. Lgs 183/2010. Secondo il ricorrente, il fatto che l’art.32, comma V del D.Lgs 183/2010 limiti il risarcimento a dodici mensilità della retribuzione, con conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, non escluderebbe l’esistenza del danno subito dal lavoratore per la protrazione irragionevole del processo che riconosce il suo diritto. Ciò perché il ritardo nella pronuncia l’avrebbe privato del tempo necessario per la ricostituzione del rapporto di lavoro, a decorrere del quale ha riacquistato nei confronti del datore di lavoro tutti i diritti risarcitori ed indennitari. Il ricorrente esamina l’ipotesi di tre lavoratori lesi da un contratto di lavoro con termine illegittimamente apposto ed osserva come il lavoratore che ottiene la decisione oltre i cinque anni subisce un danno sotto il profilo del lucro cessante rispetto al lavoratore che
ottiene una decisione in tempi ragionevoli, in quanto subisce un ritardo nella decorrenza dell’obbligo del datore di lavoro all’assunzione e con esso una perdita in termini di mancato guadagno.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità del decreto per violazione dell’art.132 n.4 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.4 c.p.c., per motivazione contraddittoria o apparente nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che se il processo si fosse definito in cinque anni, il ricorrente non avrebbe avuto diritto al risarcimento.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 13 della Legge n.92 del 2012 , in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., in quanto proprio la limitazione del risarcimento del danno a dodici mensilità costituirebbe l’antecedente causale diretto ed immediato del danno da lucro cessante per irragionevole durata del processo.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità del decreto per violazione dell’art.132 n.4 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.4 c.p.c., per motivazione contraddittoria o apparente, per avere la Corte d’appello ritenuto che il danno da irragionevole durata non possa consistere nel pregiudizio connesso al giudizio presupposto.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 13 e 41 CEDU, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per violazione del diritto ad un processo equo ed ad un risarcimento satisfattivo in caso di irragionevole durata del giudizio presupposto.
I motivi, che per la loro connessione vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
In tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, la natura indennitaria dell’obbligazione esclude la necessità dell’accertamento soggettivo della violazione, ma non l’onere del ricorrente di provare la lesione della sua sfera patrimoniale quale conseguenza diretta e immediata di detta violazione, esulando il pregiudizio dalla fattispecie del “danno evento”. Pertanto, sono risarcibili non tutti i danni che si pretendono relazionati al ritardo nella definizione del processo, ma solo quelli per i quali si dimostra il nesso causale tra ritardo medesimo e pregiudizio sofferto.
Inoltre, il danno economico può ritenersi ricollegato al ritardo nella definizione del processo solo se sia l’effetto immediato di tale eccessiva durata sulla base di una normale sequenza causale.
In quest’ottica, l’equa riparazione a titolo di danno patrimoniale non può essere corrisposta quando le perdite e i mancati guadagni allegati non siano conseguenza diretta ed immediata del perdurare del processo.
In definitiva, ai sensi della L, 24 marzo 2001, n.89, art.2, il danno risarcibile nel caso di violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU è diverso da quello connesso al giudizio irragionevolmente lungo, in quanto non è rappresentato dalla lesione del bene della vita ivi dedotta, identificandosi, invece, nel danno arrecato come conseguenza immediata e diretta, e sulla base di una normale sequenza causale, esclusivamente dall’eccessivo prolungarsi della causa oltre il termine ragionevole.
Infatti, nel novero del danno patrimoniale da violazione del termine di durata ragionevole del processo non rientrano le poste che costituiscono oggetto del giudizio, pendente o concluso, protrattosi eccessivamente (Cass. Civ., Sez. Vi-2, 30.7.2020, n.16237; Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 8603 del 26/04/2005; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11858 del 19/05/2006).
Di tali principi di diritto ha fatto corretta applicazione la sentenza impugnata.
Il danno patrimoniale richiesto dal ricorrente non era conseguenza immediata e diretta dell’irragionevole durata del processo , ma costituiva una posta del danno oggetto del giudizio presupposto.
Come osservato dalla Corte d’appello, con motivazione articolata che si sottrae al vizio di apparenza per violazione dell’art.132 c.p.c., l’art.21, comma V del D. Lgs n.183 del 2010 ha introdotto la forfettizzazione del risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegalmente assunto a termine, sicché anche nell’ipotesi in cui fosse stato rispettato il termine di durata ragionevole il ricorrente non avrebbe evitato il pregiudizio subito relativamente al periodo eccedente i dodici mesi ristorabili ex L. 183/2010, compreso tra la scadenza del termine apposto al contratto e la pronuncia del provvedimento contenente l’ordine giudiziale di ricostituzione del rapporto. La Corte di merito ha correttamente richiamato l’art.1, comma 13 della L. 92/2012, che ha chiarito il carattere omnicomprensivo dell’indennità, esaustiva di tutti i danni che sono conseguenza, sul piano retributivo contributivo della perdita del lavoro a termine , ‘
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Il giudizio non è soggetto a contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 1500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione