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Danno in re ipsa: la Cassazione nega il risarcimento

Una lunga controversia relativa a uno scarico fognario abusivo si conclude in Cassazione. La proprietaria di un cortile aveva citato in giudizio i vicini per l’inesistenza di una servitù di scarico e per i danni subiti. Nonostante la successiva rimozione dello scarico, la richiesta di risarcimento è stata portata avanti, invocando un danno in re ipsa. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che il danno non è automatico ma deve essere specificamente provato. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che, basandosi su una CTU, avevano escluso la presenza di sversamenti o inquinamento.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno in re ipsa per scarico abusivo: la Cassazione fa chiarezza

L’esercizio di una servitù di scarico fognario senza averne il diritto sul fondo del vicino è una situazione che può generare lunghe e complesse battaglie legali. Ma la semplice illegittimità della condotta è sufficiente a fondare una richiesta di risarcimento? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio questo tema, escludendo l’esistenza di un danno in re ipsa e ribadendo la necessità di una prova concreta del pregiudizio subito. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Caso: Una Lunga Controversia Immobiliare

La vicenda ha origine nel 2002, quando la proprietaria di un cortile avvia un’azione legale (negatoria servitutis) per far accertare l’inesistenza di una servitù di scarico fognario esercitata da un laboratorio artigianale confinante. I titolari del laboratorio, di contro, chiedevano in via riconvenzionale che venisse accertato il loro acquisto del diritto per usucapione.

Nel 2006, la proprietaria intentava una seconda causa, chiedendo la condanna dei vicini al pagamento delle somme necessarie per eliminare i danni derivanti dallo scarico di sostanze inquinanti. Sosteneva che, sebbene lo scarico fosse cessato nel 2005, era necessario smaltire le tubazioni in amianto e bonificare il cortile da rame e zinco.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

Il Tribunale, dopo aver riunito i due giudizi, rigettava le domande risarcitorie. La Corte d’Appello, con sentenza del 2020, riformava parzialmente questa decisione. Da un lato, dichiarava la cessazione della materia del contendere sulla questione della servitù, poiché lo scarico era stato disattivato nel 2005 e le tubature rimosse nel 2011, facendo così venire meno l’interesse delle parti a una pronuncia nel merito. Dall’altro, però, confermava il rigetto della domanda di risarcimento danni, non ravvisando prove sufficienti a sostegno della richiesta.

I Motivi del Ricorso in Cassazione e il Danno in re ipsa

Insoddisfatta, la proprietaria ricorreva in Cassazione, lamentando diversi vizi della sentenza d’appello. Il nucleo centrale delle sue doglianze si basava sull’idea che la Corte territoriale avesse errato nel non riconoscere un danno in re ipsa, ossia un danno che sarebbe implicito nel semplice fatto di aver subito per anni un esercizio abusivo dello scarico, a prescindere da prove specifiche su sversamenti o contaminazioni. Secondo la ricorrente, la violazione del suo diritto di proprietà costituiva di per sé un pregiudizio risarcibile.

La Valutazione delle Prove Tecniche

Inoltre, la ricorrente contestava la valutazione delle prove, in particolare della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), che a suo dire non aveva considerato tutti gli elementi, come la presenza di documenti che confermavano l’inquinamento del terreno.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti. I giudici hanno stabilito che la valutazione sulla sussistenza dei presupposti per la cessazione della materia del contendere è una valutazione di merito, correttamente motivata dalla Corte d’Appello e non sindacabile in sede di legittimità.

Il punto cruciale della decisione riguarda la questione del danno. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto. La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione sulle risultanze della CTU, eseguita quando lo scarico era ancora attivo. L’esperto aveva escluso la presenza di infiltrazioni, sversamenti di sostanze nocive e pericoli per la salute, evidenziando un accettabile funzionamento drenante dell’impianto. Di fronte a questa ricostruzione fattuale, la Suprema Corte ha affermato di non poter procedere a una nuova e diversa valutazione delle prove.

In particolare, la Corte ha specificato che la questione del danno in re ipsa era stata introdotta come argomento nuovo in sede di legittimità e, in ogni caso, non era fondata. L’omesso esame di un fatto decisivo, motivo valido per un ricorso, deve riguardare un fatto storico preciso e controverso (es. uno sversamento), non una categoria giuridica come il danno in re ipsa. Poiché i giudici di merito avevano accertato l’assenza di un danno concreto, non vi era spazio per un risarcimento basato su un pregiudizio meramente presunto. Inoltre, la Corte ha evidenziato la presenza di una doppia conforme sul rigetto della domanda risarcitoria, un ulteriore ostacolo processuale all’ammissibilità del motivo di ricorso.

Conclusioni: L’Importanza della Prova del Danno

L’ordinanza in esame conferma un orientamento consolidato: nel diritto civile italiano, chi lamenta un danno ha l’onere di provarlo. Il concetto di danno in re ipsa è applicato in modo restrittivo e non può essere invocato per ottenere un risarcimento automatico ogni volta che si subisce la violazione di un proprio diritto. La lesione del diritto di proprietà, pur essendo un illecito, non si traduce automaticamente in un pregiudizio economicamente valutabile. È sempre necessario dimostrare, con prove concrete, le conseguenze negative subite, siano esse di natura patrimoniale o non patrimoniale. In assenza di tale prova, come nel caso di specie, la domanda risarcitoria non può essere accolta.

L’esercizio di uno scarico abusivo sul fondo altrui genera automaticamente un diritto al risarcimento del danno?
No. Secondo questa ordinanza, il danno non può essere considerato in re ipsa, cioè presunto nell’atto illecito stesso. Il proprietario che subisce lo scarico abusivo deve fornire la prova concreta del pregiudizio subito, come ad esempio l’esistenza di infiltrazioni, inquinamento del terreno o cedimenti strutturali. In assenza di tali prove, la domanda di risarcimento viene rigettata.

Cosa significa “cessazione della materia del contendere” in un caso di servitù?
Significa che il motivo originario della disputa legale è venuto meno. Nel caso specifico, poiché lo scarico contestato era stato rimosso e le relative tubature sostituite, le parti non avevano più un interesse giuridicamente rilevante a ottenere una sentenza che accertasse l’esistenza o l’inesistenza della servitù. Il giudice, pertanto, dichiara chiuso il procedimento su quel punto.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, di regola non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che valuta la corretta applicazione delle leggi e delle procedure, ma non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove (come una perizia tecnica) a quella dei giudici dei gradi precedenti. Un ricorso basato sul tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti è destinato a essere dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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