Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8590 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8590 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24816-2020 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 249/2020 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 05/03/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 1170 c.c. depositato il 22.3.2002 NOME chiedeva al Tribunale di Macerata di accertare l’inesistenza della servitù di scarico fognario esercitata dal laboratorio di COGNOME NOME e COGNOME NOME a carico del cortile di proprietà di essa ricorrente e la condanna dei predetti al risarcimento del danno.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’acquisto del diritto di servitù di scarico per usucapione.
Con successivo atto di citazione notificato il 23.10.2006 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Macerata, invocandone la condanna al pagamento della somma occorrente per l’eliminazione del danno derivante dallo scarico di sostanze inquinanti e dalla impossibilità di utilizzare la porzione del fabbricato di essa attrice posta al piano terra dello stabile. L’attrice allegava che lo scarico era cessato nel 2005, ma che occorreva smaltire l’amianto con cui erano state realizzate le tubazioni e le sostanze inquinanti sversate nel cortile, contenenti rame e zinco.
Nella resistenza dei convenuti, e dopo la riunione dei due giudizi, il Tribunale, con sentenza n. 865/2014, rilevava la rinuncia dell’attrice alla domanda di negatoria servitutis e rigettava le domande risarcitorie, condannando la COGNOME alle spese.
Con la sentenza impugnata, n. 249/2020, la Corte di Appello di Ancona riformava parzialmente la decisione di prime cure, dichiarando cessata la materia del contendere sulle contrapposte domande, spiegate in prime cure, di negatoria servitutis e di usucapione del predetto diritto reale, a fronte della incontroversa cessazione dello
scarico contestato dalla COGNOME e rimozione delle relative tubature; confermava, nel resto, la sentenza del Tribunale quanto al rigetto delle domande risarcitorie proposte dalla COGNOME.
Quest’ultima propone ricorso per la cassazione di detta decisione, affidandosi a sette motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 132 e 116 c.p.c. e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe reso una motivazione meramente apparente e non avrebbe tenuto conto di tutte le risultanze emerse in occasione degli accessi eseguiti dal C.T.U. nel contraddittorio con i C.T.P.
Con il secondo motivo, la ricorrente si duole invece della violazione o falsa applicazione degli artt. 949, 1063, 1226, 2909, 2043, 872 e 889 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di negatoria servitutis , senza considerare l’abusivo esercizio dello scarico per 14 anni e riconoscere alla ricorrente il correlato danno.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte di Appello, dopo aver ricostruito le domande spiegate, in via principale e riconvenzionale, dalle parti, ed aver dato atto che lo scarico contestato dalla NOME era stato disattivato nel 2005 e che la condotta in amianto già utilizzata per il suo esercizio era stata rimossa nel 2011 (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), ha rilevato l’errore in
cui era incorso il Tribunale, poiché l’odierna ricorrente non aveva mai rinunciato alla domanda di negatoria servitutis , che aveva coltivato e riproposto anche in appello (cfr. pagg. 6 e 7 della sentenza). Ha poi evidenziato che, alla luce della concorde deduzione circa l’eliminazione dello scarico e della tubatura mediante la quale esso era stato esercitato, fosse cessata la materia del contendere in relazione alle contrapposte domande di negatoria servitutis e di accertamento della costituzione del diritto di servitù per usucapione, avendo perso le parti qualsiasi interesse ad una pronuncia sul punto, salva la valutazione della soccombenza virtuale e della rilevanza dei rispettivi comportamenti ai fini del governo delle spese (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza).
La Corte distrettuale, poi, ha escluso che la condotta dei convenuti fosse configurabile come riconoscimento del diritto vantato dalla NOME, poiché essi avevano sempre contestato la fondatezza delle pretese di quest’ultima ed avevano dichiarato di aver disattivato lo scarico, spostandolo altrove, soltanto per sottrarsi alle numerose iniziative legali poste in essere dall’odierna ricorrente nei loro confronti (cfr. pag. 9 della sentenza).
La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘La cessazione della materia del contendere si ha per effetto della sopravvenuta carenza d’interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l’effettivo venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché altrimenti non vi sarebbero neppure i presupposti per
procedere all’accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese che, invece, costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la compensazione delle spese’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30251 del 31/10/2023, Rv. 669310; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10553 del 07/05/2009, Rv. 607814). La valutazione circa la sussistenza delle condizioni per dichiarare cessata la materia del contendere appartiene al giudice di merito, al quale spetta la verifica dell’effettivo venir meno dell’interesse delle stesse ad una decisione sul merito della vertenza (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 19568 del 04/08/2017, Rv. 645279; cfr. anche, in termini analoghi, Cass. Sez. 6 -5, Ordinanza n. 5188 del 16/03/2015, Rv. 634695).
Per quanto concerne la motivazione della sentenza impugnata, infine, essa non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di ammettere e di esaminare, ai fini della decisione, la sentenza n. 244/2016, con la quale il Tribunale di Macerata aveva accertato l’esistenza di due bagni nel laboratorio esercitato da COGNOME NOME e COGNOME NOME. Ad avviso della ricorrente la circostanza, relativa all’esistenza dei predetti bagni, non avrebbe potuto essere rimessa in discussione dalla Corte di Appello, essendo stata definitivamente accertata dalla richiamata sentenza.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha esaminato la domanda della COGNOME, evidenziando che dalle verifiche tecniche eseguite dal AVV_NOTAIO, eseguite quando lo scarico era ancora attivo e dunque particolarmente attendibili, era emerso che l’impianto di scarico esistente nel locale terminava in una cavità, dalla quale iniziava la conduttura di collegamento con il collettore municipale, alla quale risultavano allacciati ‘… anche altre adduzioni fognarie, per lo più vetuste ed in pessimo stato di manutenzione, provenienti dai palazzi limitrofi e dalle due gronde adiacenti al cancello’ (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata, che a sua volta richiama un passaggio contenuto a pag. 12 della relazione tecnica depositata dall’ausiliario nel 2005) e che la elevata pendenza del condotto di scarico e la sua realizzazione in opera, senza giunti, garantissero un ‘… accettabile funzionamento drenante complessivo della canalizzazione’ (cfr. ancora pag. 12 della sentenza). Su tali basi, il C.T.U. aveva escluso la presenza di infiltrazioni sulla superficie del cortile, provenienti dal condotto fognario ad esso sottostante, utilizzato dai COGNOME per lo scarico di cui è causa e, all’esito delle analisi chimiche eseguite, non aveva riscontrato la presenza di prodotti inquinanti nel terreno del cortile né il pericolo per la salute degli abitanti (cfr. sempre pag. 12 della sentenza). Inoltre, la Corte di Appello ha evidenziato che i rilievi dell’ausiliario non avevano evidenziato cedimenti legati alla presenza del condotto fognario, ad eccezione di un modesto avvallamento, e dunque ha concluso affermando che ‘… non sono ravvisabili sversamenti di sostanze nocive dal condotto fognario degli appellati nel cortile dell’appellante né danni causati al cortile dell’appellante dalla presenza, sotto la sua superficie, del vecchio condotto fognario a servizio dell’edificio degli appellati’ (cfr . pag. 13 della sentenza).
Nell’ambito di tale complessiva valutazione di merito non risulta attribuito alcun rilievo alla presenza dei due bagni di cui si duole oggi la NOME, della cui esistenza la decisione impugnata non fa menzione. Poiché la ricorrente chiarisce in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, la relativa questione sarebbe stata dedotta, si configura un deficit di specificità della censura e l’argomento va ritenuto nuovo, e inammissibile, perché proposto per la prima volta in sede di legittimità.
In ogni caso, poiché la parte ricorrente attinge la ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito contrapponendovi una lettura alternativa del compendio istruttorio, va rilevata l’inammissibilità della censura, posto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza e del procedimento e la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe rigettato la domanda risarcitoria, non ravvisando il danno in re ipsa derivante dal semplice esercizio, di fatto, dello scarico contestato.
Con il quinto motivo, si duole invece dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di rilevare la configurabilità del danno in re ipsa di cui alla precedente censura.
Le censure, suscettibili di esame congiunto, anche perché trattate unitariamente dalla parte ricorrente, sono inammissibili.
Come evidenziato in relazione allo scrutinio dei primi tre motivi di ricorso, la Corte di Appello ha ricostruito le domande delle parti, ha dato atto delle risultanze dell’istruttoria, attribuendo particolare rilievo agli esiti della C.T.U. eseguita quando lo scarico era ancora in funzione, ed ha escluso, all’esito di una complessiva ponderazione del fatto e delle prove, la sussistenza di profili di danno, non avendo riscontrato né sversamenti a carico del cortile della NOME, né cedimenti dello stesso, né elementi idonei a far supporre un pericolo per la salute.
Trattasi di valutazione di merito, non utilmente censurabile in sede di legittimità, dovendosi richiamare, sul punto, i medesimi argomenti già utilizzati a confutazione del secondo e terzo motivo di ricorso.
Peraltro, anche in questo caso la questione della configurabilità del danno in re ipsa non risulta dalla sentenza impugnata, e la parte ricorrente non chiarisce in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, essa sarebbe stata dedotta, con conseguente deficit di specificità della censura ed inammissibilità dell’argomento, da ritenere nuovo perché proposto per la prima volta in sede di legittimità. Peraltro, occorre evidenziare che il C.T.U. ha riscontrato che lo scarico esercitato dai COGNOME confluiva in una conduttura già esistente, a carico della quale esistevano altre adduzioni fognarie, e la ha ritenuta idonea, per pendenza e caratteristiche costruttive, ad assicurare un adeguato drenaggio delle acque di scarico; può dunque ritenersi implicitamente esclusa la configurazione di un pregiudizio derivante direttamente dall’esercizio dello scarico, proprio a cagione delle sue caratteristiche e della ravvisata idoneità complessiva dell’impianto di smaltimento delle acque esistente in loco.
Né si ravvisa alcun profilo di omesso esame di fatto decisivo, non potendosi ritenere tale la configurabilità del danno in re ipsa . Va infatti ribadito che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato,
né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Infine, anche a voler ammettere che la configurabilità del danno in re ipsa possa costituire ‘fatto’ nei termini delineati dalla norma di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., va evidenziato che nel caso di specie la Corte di Appello ha riformato la decisione di prima istanza soltanto con riguardo alla dichiarazione di cessata materia del contendere sulle contrapposte domande di negatoria e confessoria servitutis , mentre la ha confermata in punto di rigetto della pretesa risarcitoria proposta dalla NOME. Poiché dunque si configura, su questo profilo, una ipotesi di cd. doppia conforme, la deducibilità del vizio di omesso esame di fatto decisivo è esclusa ope legis.
Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 2050, 2909, 1226 c.c., 40 e 41 del D. M. 471/1999, 58 del D. Lgs. n. 152/1999, 2, 14 e 32 Cost., nonché della legge n. 257/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la configurabilità di un danno derivante dall’inquinamento del cortile di cui è causa, nonché del correlato pregiudizio esistenziale della NOME.
Con il settimo ed ultimo motivo, infine, denunzia l’omesso esame di documenti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe trascurato di tener conto di alcuni documenti contenenti la conferma dell’inquinamento contestato dalla NOME.
Le censure, suscettibili di esame congiunto, anche perché trattate unitariamente dalla ricorrente, sono inammissibili.
Come evidenziato in relazione allo scrutinio dei precedenti motivi di ricorso, la Corte di Appello ha escluso la configurabilità di danni da inquinamento del cortile della NOME, sulla base di una complessiva ricostruzione del fatto e delle prove che non è utilmente contestabile, in sede di legittimità, mediante la contrapposizione di una lettura alternativa delle risultanze istruttorie. Sul punto, si rinvia agli argomenti e ai precedenti di questa Corte già richiamati in relazione ai precedenti motivi di impugnazione.
Per le medesime considerazioni già esposte in relazione al quinto motivo del ricorso, non si configura alcun vizio di omesso esame di fatto decisivo, in quanto la parte ricorrente lamenta soltanto la mancata valorizzazione di alcune prove. Non può, quindi, configurarsi alcun ‘fatto’ il cui esame sia stato omesso; vizio che, comunque, non sarebbe deducibile in presenza di doppia conforme in punto di rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla odierna ricorrente nel giudizio di merito.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile (cfr. quanto alla formula conclusiva, SSUU sentenza n. 7155/2017).
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda