Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27962 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27962 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18773/2020 R.G. proposto da :
CONDOMINIO di PALERMO INDIRIZZO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende ,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n.558/2020 depositata il 7.4.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14.10.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 2012 il Condominio di Palermo, INDIRIZZO, evocava in giudizio davanti al Tribunale di Palermo la RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti per l’abusiva occupazione della porzione di lastrico solare dello stabile non concessa in locazione alla RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva successivamente ceduto il contratto alla società convenuta, danni quantificati in € 175.209,49 e parametrati al canone di locazione pattuito per la porzione oggetto di detenzione convenzionale (indicata dal Condominio nei soli 9 mq destinati all’installazione di supporti per antenna e relativi apparati radio per telecomunicazioni, su un’estensione complessiva del lastrico solare di 153,53 mq).
La RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio contestando quanto ex adverso dedotto, sul presupposto che l’indicazione, nel contratto di locazione, della porzione di 9 mq del lastrico solare per l’installazione di supporti di antenna ed apparati radio, non valeva a delimitare l’oggetto dell’accordo, che includeva anche le aree destinate all’allocazione di canalette e percorsi/camminamenti di sicurezza, con la sola esclusione del torrino dell’ascensore.
Con la sentenza n. 2931/2017, previo espletamento di due CTU (la CTU dell’arch. COGNOME e la CTU disposta in rinnovazione dell’AVV_NOTAIO COGNOME), il Tribunale di Palermo rigettava la domanda attorea, ritenendo, in conformità alle conclusioni della seconda CTU, che la porzione di superficie occupata dalla convenuta non fosse superiore a quella pattuita, in quanto nel contratto di locazione, oltre all’area di appoggio delle antenne, alla quale sola aveva fatto riferimento il Condominio, erano contemplate anche le canaline porta cavi e le aree di accesso delimitate per ragioni di sicurezza, da considerare
quindi legittimamente detenute dalla parte convenuta secondo contratto.
Il Condominio proponeva appello avverso la predetta sentenza, dolendosi dell’erronea interpretazione del contratto e del vizio di motivazione, per avere il giudice di prime cure aderito acriticamente alle risultanze della seconda CTU, omettendo di considerare le osservazioni del consulente tecnico di parte attrice, e la RAGIONE_SOCIALE resisteva al gravame.
Con la sentenza n. 558/2020 la Corte d’Appello di Palermo respingeva l’impugnazione, ritenendo irrilevanti ai fini del decidere le doglianze del Condominio, in quanto superate dall’impossibilità per il Condominio di concedere in locazione ad altri soggetti l’uso del lastrico solare, come risultante dal parere dell’RAGIONE_SOCIALELRAGIONE_SOCIALE 6 di Palermo del 20.9.2001, che aveva subordinato l’installazione della stazione radio base per telefonia cellulare alla condizione che il sottostante lastrico solare fosse reso inaccessibile, con conseguente inesistenza del danno richiesto, e nel contempo riteneva che il Condominio non avesse assolto l’onere di allegazione dei fatti dai quali desumere presuntivamente il danno conseguenza da occupazione senza titolo, per l’inutilizzabilità di parte del lastrico solare non interessata dal contratto di locazione concluso, essendosi limitata a chiedere il risarcimento dei danni relativi a tale parte, sulla base del canone convenzionalmente stabilito per la locazione dell’altra parte, invocando così un danno in re ipsa, che era escluso dalla giurisprudenza di legittimità più recente richiamata.
Avverso tale sentenza il Condominio ha proposto ricorso a questa Corte, affidato a tre motivi, e RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis,1 c.p.c .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 350, 359 e 187 c.p.c. nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata a mente dell’art. 158 c.p.c., con riferimento a vizi relativi alla costituzione del giudice. Il provvedimento in questa sede impugnato sarebbe nullo per vizio relativo alla costituzione del giudice, insanabile ai sensi dell’art. 158 c.p.c., atteso che dal fascicolo telematico si evincerebbe che la designazione del collegio giudicante sarebbe avvenuta il 17.3.2020 e, dunque nello stesso giorno del deposito della sentenza, che però sarebbe stata deliberata nell’anteriore data del 28.2.2020 quando quindi il collegio non era stato designato.
Il motivo é infondato.
Dal combinato disposto degli artt. 132 e 276 c.p.c. è agevole ricavare il principio secondo cui la paternità della decisione dev’essere attribuita esclusivamente al giudice o al collegio che ha elaborato la decisione stessa, occorrendo che nell’epigrafe della sentenza-documento venga riportato il nominativo del giudice o dei giudici che abbiano assunto la decisione. E’ poi necessario che i membri del collegio nominativamente indicati nell’intestazione della sentenza coincidano con i nomi di coloro che hanno assistito all’udienza di discussione (ovvero di coloro che sono comunque individuabili sulla base del decreto del capo dell’ufficio giudiziario redatto ai sensi degli artt. 113 e 114 disp. att. c.p.c., o dei criteri prefissati nella tabella di organizzazione) ed hanno trattenuto la causa in decisione, stante il principio dell’identità dell’organo presente all’udienza di discussione con quello deliberante (vedi in tal senso Cass. 5.10.2022 n. 28914, relativa ad identica fattispecie in cui si invocava il vizio di costituzione del giudice perché in un atto telematico interno la composizione del collegio risultava indicata in una data successiva a quella della deliberazione in
camera di consiglio della sentenza). Nella specie, il collegio indicato nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 558/2020 del 7.4.2020 è stato composto dal Presidente NOME COGNOME, dal Consigliere NOME COGNOME e dal Consigliere relatore NOME COGNOME, e non é stato prodotto il verbale dell’udienza di discussione della causa nella quale la stessa é stata trattenuta in decisione, né é stata allegata la diversità di composizione del collegio che ha deciso la causa rispetto a quello che ha assistito alla discussione.
Secondo la giurisprudenza costantemente seguita da questa Corte, la nullità ex art. 158 c.p.c. della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione può essere dichiarata solo quando vi sia la prova della diversità tra il collegio deliberante e quello che abbia, invece, assistito alla discussione della causa (vedi ex multis Cass. 6.6.2016 n. 11581). In mancanza del verbale di discussione della causa, la composizione del collegio risulta comunque individuabile alla stregua delle regole dettate dagli artt. 113 e 114 disp. att. c.p.c., (arg. da Cass. Sez. 1, 02/10/2019, n. 24585), essendo onere di chi lamenti il vizio di costituzione del giudice, produrre il verbale di discussione della causa, o in difetto il decreto del Presidente dell’ufficio giudiziario che abbia stabilito prima dell’udienza di discussione la composizione dei collegi per i vari giorni della settimana. Il primo motivo del ricorso principale si fonda, invece, su due elementi di per sé irrilevanti: la data (28 febbraio 2020) della decisione in camera di consiglio indicata nella sentenza impugnata, anteriore a quella di pubblicazione, che ha invece rilevanza esterna, del 7.4.2020, e la data (17 marzo 2020) del provvedimento di designazione del collegio tratto dalla visura dello “storico” del fascicolo. Ora, la data della deliberazione della sentenza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., come la data del decreto che designa presidente e componenti del collegio, attengono ad atti interni, le cui incongruenze possono dar luogo soltanto ad
irregolarità formali e non determinano alcun vizio della decisione sotto il profilo dell’immodificabilità del collegio giudicante rispetto a quello che ha assistito alla discussione (arg. da Cass. 5.10.2022 n.28914, da Cass. sez. lav. 10.8.2006 n. 18156 e Cass. 7.6.1962 n. 1393).
2) Col secondo motivo ci si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 2°, n.4) c.p.c., con riferimento alla mancata motivazione in ordine al rigetto dei motivi di appello. Malgrado la loro rilevanza ai fini del decidere, il Giudice di seconde cure avrebbe omesso di esaminare i motivi di gravame articolati dal Condominio compiutamente riprodotti in ricorso (ipotizzandosi in fatto anche la violazione dell’art. 112 c.p.c.), limitandosi ad affermare la mancanza della prova del risarcimento danni richiesto, in ragione dell’esclusione della possibilità di locazione a terzi imposta nel parere sull’installazione dell’impianto di telecomunicazione rilasciato dalla RAGIONE_SOCIALE di Palermo del 20.9.2001, in tal modo incorrendo nel vizio di omessa motivazione sotto il profilo materiale e grafico.
Anche questo motivo é infondato.
La Corte distrettuale ha rigettato l’appello anzitutto sulla base della ragione più liquida della decisione, fondata sul parere rilasciato dalla RAGIONE_SOCIALE di Palermo il 20.9.2001 (autorizzazione all’installazione dell’impianto, condizionata all’esclusione della locazione a terzi della residua superficie del lastrico solare non occupata dall’impianto), con la conseguenza che da tale residua porzione il Condominio non avrebbe comunque potuto percepire alcun reddito; la Corte di merito ha inoltre escluso, in caso di occupazione senza titolo, la configurabilità di un danno in re ipsa, di carattere punitivo, in assenza di una specifica previsione di legge di risarcibilità, essendo necessaria almeno l’allegazione di fatti specifici dai quali sia desumibile in via presuntiva il danno
conseguenza (Cass. sez. un. n. 16601/2017; Cass. sez. un. n.26972/2008; Cass. 24.4.2019 n. 11203), allegazione nella specie mancata perché il Condominio si era limitato ad invocare il risarcimento di un danno in re ipsa agganciato al canone convenzionale di locazione del lastrico solare.
Ne deriva che non ci troviamo affatto in presenza di una motivazione meramente apparente.
Il vizio di motivazione apparente, ricorre infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ‘ quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass. sez. un. n. 2767/2023 e altre ivi richiamate).
Nel contempo, occorre considerare rispetto alla prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c., che l’operatività del principio della ragione più liquida nel giudizio di appello è soggetta al limite derivante dall’effetto devolutivo del gravame, in virtù del quale la decisione non può esorbitare dal thema decidendum delineato dai motivi di impugnazione, pena la violazione dell’art. 112 c.p.c. (vedi Cass. 6.6.2016 n. 11581; Cass. ord. 7.11.2017 n.26305; Cass. 16.5.2003 n. 7629).
Il principio della “ragione più liquida” si traduce soltanto in una deroga dell’ordine di trattazione delle questioni, come desumibile dall’art. 276 c.p.c., ma non può certo snaturare il carattere devolutivo del sindacato demandato al giudice d’appello (vedi in tal senso Cass. 3.11.2023 n. 30507; Cass. ord. 7.11.2017 n. 26305; Cass. 16.5.2003 n. 7629).
Invero, il suddetto principio risulta ” desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della
questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. “. (tra le molte, Cass. 3.11.2023 n. 30507; Cass. sez. lav., ord. 20.5.2020 n. 9309, non massimata).
Ciò detto, va anche evidenziato come l’operatività di tale principio abbia conosciuto, nella giurisprudenza di questa Corte, delle opportune delimitazioni. Si e’, in particolare, osservato che se l’art. 276 c.p.c., ” non prevede alcun ordine di trattazione per le varie questioni di merito (sicché il giudice resta libero di esaminare per prima quella che ritiene, come è d’uso dire, “più liquida”), stabilisce una gerarchia rigorosa tra l’esame delle questioni di rito e l’esame di quelle di merito, stabilendo che non possa mai esaminarsi il merito d’una domanda, se prima non vengano affrontate e risolte le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio ” (così Cass. 3.11.2023 n.30507 ed in motivazione Cass. ord. 26.11.2019). Si é anche affermato nella giurisprudenza di questa Corte che l’art. 276 c.p.c., comma 2, ” stabilisce un ordine di esame e decisione delle questioni, distinguendo soltanto fra le questioni e, dunque, le eccezioni, pregiudiziali di rito e, genericamente, il “merito”, mentre non stabilisce un ordine all’interno dell’esame di quest’ultimo (e, quindi, della pluralità di eccezioni, in ipotesi proposte) “, sicché il giudice, ” mentre deve necessariamente seguire un criterio di decisione che gli impone di decidere prima le questioni di rito, in quanto esse pregiudicano astrattamente la possibilità di decidere nel merito, viceversa è libero di decidere sul merito, individuando la questione posta a base della decisione ”
(così, Cass. 3.11.2023 n. 30507 ed in motivazione Cass. sez. un. 12.5.2017 n.11799, non massimata sul punto).
Il principio della decisione secondo la ragione più liquida, pertanto, non può intaccare il principio che il “thema decidendi” nel giudizio di secondo grado è delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione è richiesta, ex art. 342 c.p.c., per l’individuazione dell’oggetto della domanda di appello e per stabilire l’ambito entro il quale dev’essere effettuato il riesame della sentenza impugnata, con la conseguenza che, ” se il riesame esorbita dai motivi, sussiste la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c. ” (Cass. 3.11.2023 n. 30507; Cass. 16.5.2003 n. 7629).
Calati questi principi nel caso in esame, deve rilevarsi che al giudice di appello era stato richiesto di pronunciarsi sull’ an e sul quantum della pretesa risarcitoria del Condominio, rigettata nel merito in primo grado, connessa all’occupazione di una porzione del lastrico solare più ampia rispetto a quella che secondo il Condominio era stata oggetto di locazione alla RAGIONE_SOCIALE, che poi aveva ceduto il contratto alla RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE.
Erano stati censurati, infatti, dall’appellante, da un lato l’interpretazione data a quel contratto dal Tribunale di Palermo, ripresa dalla relazione del secondo CTU, AVV_NOTAIO, e dall’altro gli accertamenti tecnici compiuti dal CTU sulla base dei rilievi critici del CTP, e ciò al convergente scopo di escludere la riferibilità del contratto di locazione dell’1.6.1998 all’intero lastrico solare, e di riportarne l’ambito applicativo alla sola porzione di 9 mq, secondo quanto indicato dal Condominio nell’originaria citazione, per fare ritenere senza titolo l’occupazione eccedente, posta a base della pretesa risarcitoria avanzata.
Se questo quindi era il thema decidendi ancora oggetto di contestazione in appello, inerente alla fondatezza, o meno della
pretesa risarcitoria avanzata dal Condominio, e non a questioni di rito, ben poteva la Corte distrettuale optare per la ragione più liquida della decisione, che rendeva superfluo l’esame specifico dei motivi d’impugnazione proposti, inerenti comunque al merito della pretesa, senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato dell’art. 112 c.p.c. e senza esorbitare dai limiti del devolutum, non prevedendo la legge alcun ordine di decisione da rispettare tra più questioni che siano comunque di merito.
Con la terza censura il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte distrettuale posto a base della decisione fatti che non erano stati oggetto di allegazione, ai fini del rigetto delle domande svolte in giudizio. La Corte territoriale, a suo dire, avrebbe fondato la propria decisione esclusivamente sulla circostanza dell’inutilizzabilità dell’area di lastrico solare ulteriore rispetto a quella oggetto di contratto, desunta dal provvedimento autorizzativo della RAGIONE_SOCIALE di Palermo del 20.9.2001, ma mai allegata dall’attuale controricorrente a supporto delle proprie difese.
Questo motivo, da rapportare più correttamente al vizio dell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., é inammissibile per difetto di interesse, in quanto volto a censurare solo una delle due autonome rationes decidendi fornite dalla Corte distrettuale per confermare la decisione di rigetto della pretesa risarcitoria del Condominio, con motivazioni diverse da quella seguita dal Tribunale di Palermo, che facendo proprie le conclusioni del secondo CTU, AVV_NOTAIO, e l’interpretazione dallo stesso seguita del contratto di locazione del lastrico solare dell’1.6.1998, aveva ritenuto che non vi fosse stata occupazione di porzioni di lastrico solare non ricomprese in detto contratto.
La Corte distrettuale, infatti, ha rigettato la domanda di risarcimento danni da occupazione senza titolo di una porzione del
lastrico solare avanzata dal Condominio con due distinte ed autonome rationes decidendi :
la ritenuta impossibilità per il Condominio di concedere in locazione ad altri soggetti l’uso del lastrico solare oggetto di parziale locazione col contratto dell’1.6.1998, come risultante dal parere dell’RAGIONE_SOCIALE.U.S.L. 6 di Palermo del 20.9.2001, prodotto dal Condominio ma non espressamente invocato a difesa dalla convenuta, parere che aveva subordinato l’installazione della stazione radio base per telefonia cellulare alla condizione che il sottostante lastrico solare fosse reso inaccessibile e quindi insuscettibile di locazione a terzi;
il mancato assolvimento da parte del Condominio dell’onere di allegazione dei fatti specifici dai quali desumere presuntivamente il danno conseguenza da occupazione senza titolo, per l’inutilizzabilità di parte del lastrico solare non interessata dal contratto di locazione concluso dell’1.6.1998, essendosi esso limitato a chiedere in citazione il risarcimento dei danni relativi a tale parte, sulla base del canone convenzionalmente stabilito per la locazione dell’altra parte, invocando così un danno in re ipsa, che era escluso dalla giurisprudenza di legittimità più recente, nelle ipotesi di occupazione senza titolo, in assenza di una specifica previsione normativa di risarcibilità (Cass. 24.4.2019 n. 11203; Cass. sez. un. n. 16601/2017; Cass. sez. un. n. 26972/2008).
Di tali autonome e distinte ratione decidendi il ricorrente ha censurato, col motivo in esame, soltanto quella riportata sub a), ma non quella riportata sub b), che pertanto resterebbe ferma, il che dimostra la mancanza di interesse del Condominio ad ottenere una pronuncia di merito su tale ultimo motivo.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, ‘ ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte e autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa
impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre; ciò in quanto tale censura, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza’ (Cass. ord. 6.10.2025 n. 26852; Cass. 27.9.2025 n. 26289; Cass. 2025 n. 24584; Cass. ord. 5.9.2025 n. 24584; Cass. 27.7.2017 n. 18641; Cass. sez. un. 8.8.2005 n.16602).
In conclusione, il ricorso va rigettato con inevitabile addebito di spese per il soccombente.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € . 6.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 14.10.2025
Il Presidente
NOME COGNOME