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Danno in re ipsa: la Cassazione chiarisce i limiti

In una controversia tra vicini per un muro di contenimento, la Corte di Cassazione ha chiarito la nozione di danno in re ipsa. L’ordinanza stabilisce che, in caso di violazione delle distanze legali, il risarcimento non è automatico. Il danneggiato deve allegare fatti specifici da cui desumere il pregiudizio, non essendo sufficiente la sola violazione. La sentenza della Corte d’Appello, che aveva liquidato il danno equitativamente senza tale analisi, è stata cassata con rinvio.

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Danno in re ipsa: Non Basta la Violazione, Serve il Pregiudizio Allegato

Le controversie per la violazione delle distanze legali tra costruzioni sono una costante del contenzioso immobiliare. Spesso, chi subisce l’illecito si chiede se abbia diritto a un risarcimento automatico. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20323/2024, offre un’importante precisazione sul concetto di danno in re ipsa, stabilendo che la semplice violazione non è sufficiente per ottenere un indennizzo monetario. È necessario un passo in più: l’allegazione di un pregiudizio concreto.

I Fatti del Caso: Una Disputa di Confine

La vicenda nasce dalla lite tra due proprietari di fondi confinanti, posti su un naturale declivio. I proprietari del fondo superiore realizzavano un muro per contenere un terrapieno, modificando così artificialmente il livello del loro terreno. I vicini del fondo inferiore li citavano in giudizio, sostenendo che il muro, in quanto sostegno di un dislivello artificiale, fosse una vera e propria costruzione e che fosse stato edificato in violazione delle distanze legali. Chiedevano quindi la demolizione dell’opera e il risarcimento dei danni.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione ai proprietari del fondo inferiore, confermando la natura di ‘costruzione’ del muro e la violazione delle distanze. La Corte d’Appello, in particolare, condannava i costruttori a un risarcimento di 16.000 euro, ritenendo che il danno fosse in re ipsa, cioè implicito nella stessa violazione. Liquidava tale somma in via equitativa, sulla base della durata dell’illecito, senza però analizzare specifiche lamentele o prove fornite dai danneggiati.

Il Danno in re ipsa secondo la Cassazione

È su questo punto che la Corte di Cassazione interviene, accogliendo il ricorso dei costruttori. Richiamando un precedente intervento delle Sezioni Unite (sent. n. 33645/2022), la Suprema Corte chiarisce la corretta interpretazione del danno in re ipsa.

Il principio non significa che il danno è un automatismo sganciato dalla realtà. Significa, piuttosto, che il danno è ‘presunto’ (danno presunto o danno normale). Questa presunzione, tuttavia, non esonera il danneggiato dall’onere di allegazione. In altre parole, chi chiede il risarcimento deve comunque indicare al giudice quali sono state le conseguenze negative concrete della costruzione illegittima. Deve descrivere, anche attraverso nozioni di comune esperienza, in che modo la violazione ha compresso o limitato il suo diritto di proprietà. Ad esempio, una diminuzione della luminosità, della vista, dell’aria o un deprezzamento del valore dell’immobile.

La Corte d’Appello ha errato proprio perché ha liquidato una somma di denaro senza alcuna analisi delle allegazioni delle parti, trasformando un danno presunto in un danno punitivo automatico, che non è previsto nel nostro ordinamento per questi casi.

La Misura Coercitiva ex Art. 614-bis c.p.c.

Un altro punto affrontato riguarda la condanna accessoria al pagamento di una somma per ogni futuro inadempimento (la cosiddetta ‘astreinte’). La Cassazione ha annullato anche questa parte della sentenza, specificando che tale richiesta costituisce una domanda giudiziale autonoma. Come tale, deve essere formulata nel primo grado di giudizio e non può essere proposta per la prima volta in appello, pena la sua tardività.

Le Motivazioni

La motivazione centrale della Suprema Corte risiede nella necessità di distinguere la tutela ‘reale’ (la rimozione dell’opera illegittima) da quella ‘risarcitoria’. Mentre la prima scatta con l’accertamento della violazione, la seconda richiede un quid pluris: l’allegazione e la prova, anche tramite presunzioni, di un pregiudizio effettivo. Il concetto di danno in re ipsa semplifica la prova del danno, ma non elimina la necessità di allegarne l’esistenza e le caratteristiche. Il giudice, per liquidare un danno in via equitativa, deve avere a disposizione elementi fattuali concreti forniti dalla parte che si assume danneggiata. In assenza di questi elementi, la condanna risarcitoria è infondata perché manca l’oggetto stesso da risarcire: la ‘conseguenza’ dannosa della violazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Chi subisce la violazione delle distanze legali ha pieno diritto a chiederne la rimozione. Tuttavia, se intende ottenere anche un risarcimento economico, non può limitarsi a denunciare l’illecito. Deve specificare fin dall’inizio del giudizio quali sono i pregiudizi concreti subiti: perdita di amenità, riduzione di aria e luce, impossibilità di utilizzare una parte del giardino, deprezzamento commerciale. Solo fornendo al giudice questi elementi sarà possibile ottenere, oltre alla riduzione in pristino, anche una somma a titolo di risarcimento del danno per il periodo in cui si è dovuto tollerare l’opera illegittima.

Se il mio vicino costruisce violando le distanze legali, ho diritto a un risarcimento automatico del danno?
No. Secondo questa ordinanza, il risarcimento non è automatico. Sebbene il danno sia ‘presunto’ (danno in re ipsa), è necessario allegare, cioè indicare nel corso della causa, le circostanze specifiche che dimostrano come la violazione abbia concretamente danneggiato il godimento della tua proprietà.

Un muro che sostiene un terrapieno artificiale è considerato una costruzione ai fini delle distanze legali?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che un muro di contenimento di un terrapieno creato artificialmente, che quindi modifica l’originario andamento del terreno, è a tutti gli effetti una costruzione e deve rispettare le distanze legali previste dalla legge.

È possibile chiedere per la prima volta in appello l’applicazione di una sanzione pecuniaria per il ritardo nell’esecuzione della condanna (ex art. 614-bis c.p.c.)?
No. La richiesta di una misura di coercizione indiretta come la sanzione pecuniaria dell’art. 614-bis c.p.c. è una vera e propria domanda giudiziale. Pertanto, deve essere presentata nel primo grado del giudizio e non può essere proposta per la prima volta in appello, altrimenti è considerata tardiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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