Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20323 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20323 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23912 – 2021 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale amministratrice di sostegno del coniuge COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura a margine del ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– ricorrenti e controricorrenti incidentali –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 450/2021 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, pubblicata il 02/08/2021 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 dal consigliere COGNOME; lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
1 Con atto di citazione notificato in data 21/10/2005, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME convennero in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Spoleto, NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponendo che erano proprietari di due abitazioni site nel Comune di Trevi, con relativo giardino pertinenziale, confinante con l’abitazione e il giardino di proprietà dei convenuti e che le relative proprietà erano ubicate su un naturale declivio; la proprietà dei convenuti si trovava nel tratto più alto di questo declivio rispetto al loro fondo e i convenuti, nel 2005, avevano realizzato, in violazione alla disciplina sulle distanze legali, un muro che, pur fungendo da confine, in realtà costituiva una costruzione, in quanto aveva funzione di contenimento di un terrapieno creato artificialmente; in conseguenza, costruendo in violazione delle distanze, avevano costituito illegittimamente una servitù di veduta a carico del loro fondo, oltre ad aver realizzato una illegittimità servitù di scolo di acque meteoriche, perché nel muro erano state aperte bocche di scarico. Pertanto, gli attori chiesero l’accertamento delle violazioni dedotte e la condanna dei coniugi convenuti alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con conseguente rimozione delle opere illegittimamente realizzate e al risarcimento del danno.
1.1. COGNOME e COGNOME eccepirono la prescrizione dell’azione e sostennero che il muro, avendo la funzione di contenimento di un declivio del terreno naturale, non costituisse costruzione, fungendo soltanto da confine; sostennero altresì che fossero stati gli attori a
ridurre il piano di campagna e che COGNOME avesse comunque prestato il suo consenso alla realizzazione del muro; proposero, quindi, domanda riconvenzionale per la condanna degli istanti alla remissione in pristino dei luoghi e, con riferimento alla sola coppia COGNOME e COGNOME, al risarcimento del danno da illegittima revoca del consenso prestato.
Disposta c.t.u., con sentenza n. 364/2019 il Tribunale di Spoleto, ritenuta la natura di costruzione del muro, in quanto edificato a contenimento di un terrapieno artificialmente creato, dichiarò sussistenti le violazioni dedotte e accolse la domanda di rimessione in pristino e per l’effetto , per quel che qui ancora rileva, condannò COGNOME e COGNOME a demolire o arretrare fino alla distanza legale dal fondo di COGNOME e COGNOME l’opera edificata a confine dello stesso eliminando il terrapieno; condannò COGNOME e COGNOME al rimborso di ½ delle spese in favore degli attori COGNOME e COGNOME, compensandole per il residuo.
Sostenne pure che la realizzazione del terrapieno dovesse ritenersi illegittimamente effettuata anche con riferimento al fondo COGNOME, avendo COGNOME acconsentito soltanto all’innalzamento del muro, ma non al consistente riporto di terra realizzato; rigettò quindi la domanda riconvenzionale di ripristino dello stato originario, in quanto non era stato provato che a loro volta anche i coniugi COGNOME e COGNOME avessero alterato l’originario livello del loro fondo.
Con sentenza n. 451/2021, la Corte di appello di Perugia, rilevato il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale per le statuizioni relative ai rapporti con COGNOME e COGNOME e l’omessa pronuncia del Tribunale sul danno da violazione delle distanze, in accoglimento del l’appello principale proposto da COGNOME e COGNOME e rigettando, invece, l’appello incidentale dei coniugi COGNOME e COGNOME , in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannò in via equitativa
COGNOME e COGNOME al risarcimento del danno in favore di COGNOME e COGNOME nella misura di complessivi Euro 16.000,00, oltre alla somma di Euro 1.000,00 in caso di ulteriore inadempimento futuro ai sensi dell’art. 614 -bis cod. proc. civ. e al rimborso delle spese del doppio grado; ritenne infatti in re ipsa il danno da violazione di distanze legali.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME, in proprio e quale amministratore di sostegno di NOME COGNOME che con lei ha impugnato, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi. COGNOME e COGNOME hanno resistito con ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo a cui i ricorrenti hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno denunciato la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ. per motivazione apparente, in quanto composta da argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi o fra loro logicamente inconciliabili o comunque obiettivamente incomprensibili. La Corte non avrebbe fornito una chiara e corretta ricostruzione della fattispecie ed avrebbe errato a valorizzare le risultanze della c.t.u. e ad affermare l’avvenuta alterazione del piano di campagna in assenza di alcun riscontro probatorio concreto.
1.1. Il motivo è inammissibile. Deve ormai ritenersi acclarato, nella giurisprudenza di questa Corte, che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene
violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (da ultimo, Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022): questa ipotesi non ricorre nella specie, perché la Corte d’appello ha reso una motivazione intellegibile e comunque coerente, anche richiamando le conclusioni e gli accertamenti della c.t.u. svolta; i ricorrenti, del resto, hanno potuto comprenderne l’articolazione e censurarla con alcuni tra i successivi motivi.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno lamentato la violazione degli artt. 872 e 1226 cod. civ. e dell’art. 614 bis cod. proc. civ.: secondo un primo profilo, hanno lamentato che la Corte d’appello abbia riconosciuto la sussistenza di un danno in re ipsa in assenza di alcuna allegazione e, per un secondo profilo, che abbia pronunciato condanna per le eventuali future violazioni ex art. 614 bis cod. proc. civ., nonostante l’inapplicabilità della norma alla fattispecie ratione temporis e in assenza di corrispondente domanda.
2.1. Entrambi i profili di censura sono fondati.
Quanto al danno, la Corte d’appello, ritenuta la sussistenza di un danno in re ipsa in conseguenza della violazione delle distanze, ne determinò l’ammontare « in via equitativa e tenuto conto della durata della limitazione del diritto di proprietà degli appellanti, in Euro 16.000,00 (Euro 1.000,00 per ciascun anno di durata delle predette limitazioni)», senza specificare quale parametro avesse individuato per operare questa quantificazione, né se avesse o non considerato allegazioni di parte.
Sul punto, allora, deve considerarsi che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n.33645 del 15/11/2022, hanno indicato i principi utilizzabili in materia di prova del danno da violazione del diritto di proprietà e di altri diritti reali e hanno, in particolare, offerto una soluzione interpretativa che partecipa sia della teoria normativa del danno, come elaborata nella giurisprudenza della II Sezione Civile, sia della teoria causale, sostenuta dalla III Sezione Civile.
Innanzitutto, la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, è suscettibile di tutela non soltanto reale ma anche risarcitoria sicché, in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, il proprietario confinante ha diritto ad ottenere sia la tutela per riduzione in pristino, sia la reintegrazione del danno.
Ciò posto, la locuzione danno in re ipsa deve essere intesa come indicante un «danno presunto» o «danno normale», identificabile sì a mezzo presunzioni, ma basate su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.
Il pregiudizio consegue alla violazione del diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa e consiste nella compressione o nella perdita de lla specifica possibilità dell’ esercizio di questo diritto; è, perciò, la compressione o la perdita la conseguenza da risarcire.
La prova di questa conseguenza, per quanto ricavabile da presunzioni, comunque importa un onere di allegazione, sia pure mediante nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
Nel caso in cui sia stata disposta la riduzione in pristino in conseguenza della violazione di distanze legali, allora, il pregiudizio subito dal proprietario per aver dovuto sopportare temporaneamente una costruzione a distanza inferiore a quella consentita, deve essere valutato in riferimento ad una illegittima imposizione di un peso avente le caratteristiche della servitù; ove sia disposta la demolizione
dell’opera illecita, il danno deve essere liquidato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto, della diminuzione temporanea del valore della proprietà e di altri elementi che il danneggiato ha l’onere di allegare, al fine di consentire al giudice la valutazione equitativa del danno (così, da ultimo, Cass. Sez. 2, n. 18108 del 23/06/2023).
Nella specie, invece, la Corte d’appello ha liquidato e riconosciuto un danno in mancanza assoluta di una previa analisi delle allegazioni, una individuazione dei criteri da utilizzarsi e una valutazione degli elementi di fatto risultanti.
2.2. Quanto alla condanna ex art. 614 bis cod. proc. civ., ritiene il Collegio che l’istanza di una misura di coercizione indiretta ex art. 614-bis cod. proc. civ. costituisca una vera e propria domanda giudiziale perché non consegue necessariamente alla pronuncia di condanna, per cui, a differenza delle spese di lite, deve essere determinata tenuto conto di circostanze di fatto -in particolare il danno quantificato o prevedibile – che devono essere tempestivamente allegate così da consentire alla controparte una compiuta difesa; in conseguenza, la domanda proposta soltanto in appello deve ritenersi tardiva, come questa Corte ha, peraltro, già ritenuto (Cass., Sez. 1, n. 32023 del 09/12/2019.
La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione a questo motivo.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno censurato la sentenza per violazione dell’art. 15 cod. proc. civ. e del d.m. 55/2014, sostenendo che la Corte d’Appello , avrebbe infondatamente accolto il motivo di appello principale dei coniugi COGNOME e COGNOME in punto di spese della sentenza di primo grado, ritenendo erroneamente la causa di valore indeterminabile,
mentre correttamente il Tribunale di Spoleto aveva utilizzato il criterio della rendita catastale; con un secondo profilo, hanno lamentato che la Corte d’appello abbia erroneamente liquidato le spese del secondo grado di giudizio in euro 4.000,00 senza distinguere tra onorari e spese, con ciò precludendo ogni verifica sulla congruità della liquidazione.
3.1. Il motivo è inammissibile quanto al profilo delle spese di primo grado, per difetto di autosufficienza: seppure, infatti, sia vero che il valore delle cause relative a beni immobili si determina sulla base del reddito dominicale o della rendita catastale della res , è vero altresì che i ricorrenti non indicano in quale atto sarebbe stato indicato il valore del reddito dominicale poi riportato in ricorso; per principio altrettanto consolidato, allora, in assenza di questa indicazione, il giudice, tenuto ad attenersi alle risultanze degli atti, deve considerare, come proprio accaduto nella specie, la causa di valore indeterminabile (cfr. Cass. Sez. 2, n. 10810 del 26/05/2015; Cass. civ. Sez. 2, n. 7615 del 14/8/1997).
3.2. Assorbito è, invece, in logica conseguenza de ll’accoglimento del secondo motivo, l’esame del secondo profilo di censura concernente le spese di secondo grado.
Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno prospettato la violazione dell’art. 873 cod. civ. nonché, in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per avere la Corte ritenuto, in assenza di prova alcuna, che il muro realizzato fosse una costruzione, che vi fosse stata un’alterazione del piano di campagna, che fosse stato realizzato un terrapieno artificiale e che il muro avesse la funzione di contenimento di un terrapieno artificiale e non di un dislivello naturale e fosse perciò una costruzione.
4.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
É infondato quanto alla violazione dell’ art. 873 c.c., perché la decisione impugnata è conforme a giurisprudenza consolidata, secondo cui il muro che contiene il terrapieno artificiale costituisce una costruzione (da ultimo, tra tantissime, Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 16975 del 14/06/2023), nel senso che in tema di muri di cinta, qualora l’andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall’opera dell’uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse.
È, quindi, inammissibile quanto alla valutazione in merito della prova della alterazione del modesto declivio originario, alla sussistenza del terrapieno e alla conseguente realizzazione della costruzione e quanto alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. perché la rivalutazione delle prove è preclusa in questa sede di legittimità: con il ricorso per cassazione, infatti, può essere dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. quando si prospetti che il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo (ipotesi diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto), a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i
contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (tra le ultime, ex plurimis , Cass. Sez. 3, n. 12971 del 26/04/2022).
Sul punto la Corte d’appello ha esplicitamente richiamato gli accertamenti e le conclusioni del c.t.u. e la ricorrente ha formulato la sua censura limitandosi a proporre una diversa ricostruzione dei fatti.
Con il quinto motivo, articolato in riferimento ai n. 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno prospettato la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4) per avere la Corte d’appello condiviso le conclusioni della c.t.u., invece di disporne la rinnovazione, come da loro richiesto, sebbene la relazione non fosse idonea a risolvere la controversia e carente di un’adeguata rappresentazione dello stato dei luoghi.
5.1. Il motivo è inammissibile. Premesso che il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova c.t.u., atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri discrezionali e il giudice non deve, perciò, neppure rendere una espressa pronunzia sul punto (cfr. Cass. Sez. 3, n. 22799 del 29/09/2017), la censura si risolve in un’inammissibile richiesta di riesame dei fatti, invece preclusa in questa sede di legittimità.
Con il sesto motivo, articolato in riferimento ai n. 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno sostenuto la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4) per la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’Appello riesaminato la parte della sentenza di primo grado in cui è stato disposto il ripristino dello status quo ante , mediante sia l’eliminazione del terrapieno artificiale
che l’abbattimento del muro, laddove già l’eliminazione del terrapieno escludeva la natura di costruzione del muro.
6.1. Il motivo è infondato: la sentenza di appello non ha omesso l’esame di alcun motivo di impugnazione laddove ha esplicitamente confermato che il muro per cui è giudizio è, per sue caratteristiche, una costruzione eseguita in violazione delle distanze e non un muro di confine e che l’ordine di demolizione è stato correttamente pronunciato in conseguenza; evidentemente, non può -e non poteva -essere tenuta in conto una situazione dei luoghi meramente ipotetica, successiva alla esecuzione dell’ordine di riduzione in pristino.
Con il settimo motivo, articolato in riferimento ai n. 3, 4 e 5 del comma I d ell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME e COGNOME hanno lamentato la violazione degli artt. 904 e 905 cod. civ., per avere la Corte ritenuto sussistente la creazione di una veduta illegittima e di un preteso scolo delle acque sul fondo di NOME COGNOME e NOME COGNOME, senza tener conto delle osservazioni del c.t.p. e del fatto che i fondi erano da sempre a dislivello, poiché la proprietà di questi ultimi risulta posta a quota di molto inferiore rispetto al fondo in loro proprietà. Secondo questa impostazione, se tra fondi a dislivello è possibile vedere da quello più alto verso quello più basso, ciò non implica la realizzazione di una veduta che presuppone una costruzione sul cui muro siano realizzate aperture dirette o oblique; non avrebbe inoltre pronunciato sulla non configurabilità di una servitù di scolo.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse: come spiegato dalla Corte d’appello a pag. 6 della sentenza, con la condanna di riduzione in pristino è stato ordinato l’abbattimento del muro in quanto costruzione eseguita in violazione delle distanze dal confine; in conseguenza, ogni questione concernente la sua attitudine a consentire l’esercizio abusivo di servitù di veduta o di scolo è assorbita dalla sua demolizione o dal suo arretramento a distanza consentita.
Con l’ottavo motivo, articolato in riferimento ai n. 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno denunciato la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4) per avere la Corte respinto la domanda riconvenzionale volta ad ottenere il r ipristino dell’originario piano di campagna modificato dagli attori COGNOME COGNOME COGNOME per mancanza di prova, affermando contraddittoriamente la mancanza di prova da parte degli «appellanti», senza chiarire se principali o incidentali e così rendendo una motivazione apparente e senza considerare che le foto allegate alla relazione di c.t.u. dimostrano l’avvenuto abbassamento del piano di campagna .
8.1. Il motivo è inammissibile . La Corte d’appello ha distinto appellanti principali e appellanti incidentali, indicando i secondi come «convenuti in primo grado» (pag. 6 della sentenza); in tal senso la motivazione è coerente e comprensibile, di là del riferimento alla data del 1984, anche perché quel che è stato confermato, rispetto alla sentenza di primo grado, è che la realizzazione del muro di contenimento è successiva a tale anno.
Quanto poi alla mancanza di prova dell’abbassamento del piano di campagna da parte degli attori attuali controricorrenti e al denunciato omesso esame delle foto, la censura è inammissibile, ex art. 348 ter IV comma cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie ratione temporis , perché preclusa dalla conformità della pronuncia di secondo grado a quella di primo grado.
Con il nono motivo, articolato in riferimento ai n. 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno prospettato la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4) cod. proc. civ. per avere la Corte omesso di pronunciarsi sulla richiesta di riesame dell’eccezione di prescrizione estintiva, rigettata in primo grado, senza considerare che la costruzione del muro risaliva al 1984. Il Tribunale di Spoleto avrebbe errato a rimarcare l’imprescrittibilità dell’ actio negatoria servitutis ,
perché essi avevano inteso invece eccepire l’intervenuta usucapione del diritto di mantenere il muro nella posizione dove si trovava per essere trascorso un ventennio (dal 1984, anno di inizio della costruzione, al 2005, anno della citazione in primo grado) di possesso pubblico, pacifico, non clandestino e ininterrotto del bene in questione in quella posizione.
9.1. Il motivo è inammissibile in quanto inconferente rispetto alla ratio decidendi che ha rigettato l’eccezione.
In disparte ogni considerazione sulla compiutezza della motivazione come già esposta nell’esame del primo motivo, vi è che l a Corte ha esplicitamente rilevato che, secondo quanto accertato dal c.t.u., i lavori per il terrapieno artificiale e il muro di contenimento non sono contemporanei alla costruzione del 1984, ma certamente successivi, sicché alla data della citazione certamente non si era compiuto il ventennio.
Dal rigetto e dalla dichiarazione di inammissibilità dei motivi di ricorso principale concernenti l’accoglimento della domanda di accertamento della violazione delle distanze e di condanna dei coniugi COGNOME e COGNOME al ripristino, consegue l’assorbimento dell’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale, articolato in relazione al n. 3 comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui è stata denunciata la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 100 e 232 cod. proc. civ. e, in relazione al n. 4 comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale per sussistenza di un giudicato sulla illegittima realizzazione del terrapieno: il ricorso incidentale, infatti, è stato esplicitamente condizionato dai coniugi COGNOME e COGNOME al l’ipotesi in cui fossero state accolte le censure formulate in ricorso principale sul punto.
11. Il ricorso principale è, perciò, accolto limitatamente al secondo motivo, rigettato il quarto e il sesto motivo e dichiarate inammissibili le restanti censure; il ricorso incidentale è assorbito.
In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia , in diversa composizione, perché riesamini la questione del danno risarcibile in riferimento ai principi richiamati al punto 2, 2.1. e 2.2. e a quanto statuito e, decidendo in rinvio, regoli anche le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale relativamente al secondo motivo, rigettato il quarto e il sesto motivo e dichiarate inammissibili le restanti censure; assorbe il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda