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Danno in re ipsa: la Cassazione cambia orientamento

Una proprietaria cita in giudizio il vicino per aver sopraelevato il proprio edificio, violando le distanze legali e ostruendo la veduta dal suo terrazzo. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12879/2025, interviene su un punto cruciale: il risarcimento del danno. Pur confermando la violazione, la Corte rigetta il concetto di ‘danno in re ipsa’, secondo cui il danno sarebbe implicito nella violazione stessa. Richiamando un’importante sentenza delle Sezioni Unite, stabilisce che chi subisce il danno deve allegare e, se contestato, provare un pregiudizio concreto per ottenere il risarcimento. La violazione della norma non è più sufficiente per un indennizzo automatico.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da Violazione Distanze: La Cassazione Dice Basta al Risarcimento Automatico

La violazione delle distanze legali tra costruzioni è una delle cause più comuni di liti tra vicini. Ma l’aver subito un illecito dà automaticamente diritto a un risarcimento? Per molto tempo la risposta è stata affermativa, grazie al principio del danno in re ipsa. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione segna una svolta decisiva, stabilendo che la vittima della violazione deve dimostrare un pregiudizio effettivo per essere risarcita. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti: Il Terrazzino con Vista e la Sopraelevazione Contestata

Il caso ha origine dalla controversia tra due proprietari confinanti. La proprietaria di un immobile al piano terra, dotato di un terrazzino con diritto di veduta, citava in giudizio il vicino. Quest’ultimo, nel ricostruire il solaio di copertura del proprio edificio, lo aveva sopraelevato, violando la distanza minima di tre metri imposta dalla legge rispetto alla veduta esercitata dal terrazzino. La proprietaria chiedeva quindi la riduzione in pristino (l’abbattimento della parte costruita in violazione) e un risarcimento di 10.000 euro per il danno subito.

La Decisione della Corte d’Appello e il Principio del Danno in re ipsa

Dopo un primo grado sfavorevole, la Corte d’Appello accoglieva la domanda della proprietaria. I giudici di secondo grado ritenevano che, in tema di violazione delle distanze, il danno subito dal proprietario confinante dovesse considerarsi in re ipsa, cioè implicito nella violazione stessa. Secondo questa visione, l’abusiva imposizione di una servitù di fatto sul proprio fondo e la conseguente limitazione del godimento costituivano un danno certo e indiscutibile, che si traduceva in una diminuzione temporanea del valore della proprietà e non richiedeva una prova specifica.

Le Motivazioni della Cassazione: L’evoluzione del Danno in re ipsa

La Corte di Cassazione, investita del caso, ha ribaltato questa conclusione sul punto specifico del risarcimento. I giudici supremi hanno colto l’occasione per applicare un principio innovativo, già sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 33645/2022. L’orientamento tradizionale del danno in re ipsa viene superato e sostituito da quello del ‘danno presunto’ o ‘danno normale’.

Questo cambiamento è sostanziale: la violazione della norma non è più sufficiente, da sola, a fondare il diritto al risarcimento. La parte danneggiata ha l’onere di allegare specifiche circostanze di fatto dalle quali sia possibile inferire l’esistenza di un pregiudizio concreto. Ad esempio, non basta dire ‘il mio immobile vale di meno’, ma occorre spiegare in che modo la violazione ha inciso negativamente sulla possibilità di godimento del bene (minore luce, aria, privacy, ecc.). Se la controparte contesta specificamente queste allegazioni, allora scatta per il danneggiato l’onere di provare il danno effettivo, anche tramite presunzioni semplici.

Gli Altri Motivi di Ricorso: Titolarità della Veduta e la Grata Metallica

Il vicino condannato aveva sollevato altre obiezioni, tutte respinte dalla Cassazione. Sosteneva che la proprietaria non avesse provato la titolarità del suo diritto di veduta e che, in ogni caso, una grata metallica presente da oltre trent’anni sul terrazzino impedisse di fatto l’affaccio, estinguendo il diritto per non uso. La Corte ha considerato queste censure infondate, ritenendo che la valutazione del giudice di merito sulla configurazione dei luoghi e sulla funzione meramente protettiva della grata fosse corretta e non sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione di accogliere il motivo relativo al danno su un’evoluzione giurisprudenziale di fondamentale importanza. Il tradizionale automatismo del danno in re ipsa viene criticato perché trasforma l’azione risarcitoria in una sorta di sanzione pecuniaria, svincolata da un effettivo pregiudizio. Il nuovo approccio, inaugurato dalle Sezioni Unite, mira a ricondurre il risarcimento alla sua funzione propria: compensare una perdita effettiva. Pertanto, la violazione delle distanze è un atto illecito che obbliga alla riduzione in pristino, ma per ottenere anche un risarcimento economico è necessario un passo ulteriore: l’allegazione di un danno-conseguenza, cioè di un concreto e specifico pregiudizio al godimento o al valore del bene. La Corte rigetta invece gli altri motivi perché attengono a una ricostruzione dei fatti (la presenza e la funzione della grata, la titolarità del diritto di veduta) che è di esclusiva competenza del giudice di merito, il quale aveva fornito una motivazione logica e coerente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di grande impatto pratico. Chi intende agire in giudizio per la violazione delle distanze legali non può più limitarsi a provare l’illecito edilizio del vicino per ottenere un risarcimento. Dovrà invece prepararsi ad allegare in modo dettagliato quali specifiche conseguenze negative tale violazione ha prodotto sul proprio immobile. Si passa da un risarcimento ‘automatico’ a un risarcimento ‘argomentato’, che richiede una maggiore specificità nella formulazione della domanda e, potenzialmente, un onere probatorio più stringente in caso di contestazione. Una vittoria sul piano del diritto (l’accertamento della violazione) non si traduce più, senza sforzo ulteriore, in una vittoria sul piano economico.

La violazione delle distanze legali tra edifici dà automaticamente diritto al risarcimento del danno?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la violazione della norma non è più sufficiente per un risarcimento automatico. Il concetto di ‘danno in re ipsa’ è stato superato.

Cosa deve fare chi subisce una violazione delle distanze per ottenere un risarcimento?
Deve allegare la concreta possibilità di godimento che ha perso a causa dell’illecito. In altre parole, deve indicare specificamente quali pregiudizi ha subito (es. perdita di luce, aria, panorama, privacy). Se la controparte contesta queste affermazioni, dovrà anche provare il danno.

Una grata metallica su un terrazzo impedisce di considerare esistente un diritto di veduta?
Non necessariamente. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la valutazione del giudice di merito fosse corretta nel considerare la grata un elemento con funzione di protezione e non un impedimento all’esercizio della veduta, confermando quindi l’esistenza del diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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