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Danno in re ipsa: la Cassazione cambia le regole

Un proprietario viene condannato alla demolizione di un manufatto per violazione delle distanze legali e del decoro architettonico. La Corte di Cassazione, pur confermando l’ordine di demolizione, cassa la sentenza sul risarcimento del danno. Viene superato il principio del danno in re ipsa: per ottenere un indennizzo, il danneggiato deve ora allegare un pregiudizio concreto derivante dalla violazione, non essendo più sufficiente la sola prova dell’illecito.

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Danno in re ipsa: la Cassazione stabilisce nuovi limiti per il risarcimento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione segna un punto di svolta sul tema del risarcimento del danno derivante dalla violazione delle distanze legali tra costruzioni. Abbandonando un orientamento consolidato, la Suprema Corte ha stabilito che non basta più dimostrare l’illecito per ottenere un indennizzo. Il principio del danno in re ipsa, secondo cui il danno è implicito nella violazione stessa, viene ridimensionato a favore di un approccio che richiede al danneggiato di allegare un pregiudizio concreto. Analizziamo la vicenda e le importanti implicazioni di questa decisione.

I Fatti del Caso: una Costruzione Contestata

La controversia nasce dalla realizzazione, da parte di un condomino, di un manufatto esterno al fabbricato condominiale. Una vicina lo citava in giudizio, sostenendo che l’opera violasse le distanze legali, alterasse il decoro architettonico dell’edificio e ledesse il suo diritto di servitù di veduta e di accesso per la manutenzione di impianti.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, ordinando la demolizione del manufatto e condannando il costruttore a un cospicuo risarcimento del danno, oltre a una penale per ogni mese di ritardo nell’esecuzione dell’ordine. La Corte di Appello confermava l’ordine di demolizione, ribadendo che l’opera, essendo seminterrata, era soggetta alle norme sulle distanze, alterava l’estetica del fabbricato e limitava la servitù della vicina. Tuttavia, riduceva l’importo del risarcimento, pur confermando che il danno fosse ‘in re ipsa’, cioè automatico.

Il Ricorso in Cassazione: tre motivi di contestazione

Il costruttore si rivolgeva alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su tre motivi principali:
1. Violazione delle norme sulle distanze: Sosteneva che l’opera fosse un vano tecnico non soggetto alle distanze legali.
2. Eccessiva onerosità della demolizione: Affermava che la demolizione avrebbe reso inabitabili due appartamenti, ospitando il manufatto impianti tecnici essenziali, e che quindi si sarebbe dovuto optare per un risarcimento monetario.
3. Errata applicazione del danno in re ipsa: Contestava la condanna al risarcimento, in quanto la controparte non aveva fornito alcuna prova di un danno effettivo.

La Decisione della Corte: Demolizione Sì, Risarcimento da Rivedere

La Cassazione ha rigettato i primi due motivi. Sul primo, ha osservato che la decisione della Corte d’Appello si fondava anche su altre ragioni autonome e non contestate (alterazione del decoro e lesione della servitù), sufficienti a giustificare la condanna. Sul secondo, ha ribadito un principio fondamentale: la tutela dei diritti reali, come la proprietà, è assoluta. La demolizione (reintegrazione in forma specifica) è la regola e non può essere evitata per ‘eccessiva onerosità’, a meno che non sia lo stesso danneggiato a chiedere un risarcimento per equivalente.

Il superamento del danno in re ipsa e le nuove regole

Il punto cruciale della sentenza riguarda il terzo motivo, che è stato accolto. La Corte, richiamando una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 33645/2022), ha sancito l’abbandono del concetto tradizionale di danno in re ipsa.

Secondo il nuovo orientamento, per ottenere un risarcimento non basta più dimostrare l’esistenza dell’illecito (ad esempio, la costruzione a distanza inferiore a quella legale). È necessario che la parte danneggiata compia un passo ulteriore: deve allegare le circostanze specifiche dalle quali si possa desumere il pregiudizio subito. In altre parole, deve spiegare in che modo la violazione ha concretamente limitato la possibilità di godimento del proprio immobile. Sebbene non sia richiesta una prova rigorosa dell’ammontare del danno (che può essere liquidato in via equitativa dal giudice), l’onere di allegazione di un pregiudizio effettivo diventa un requisito imprescindibile.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato questa evoluzione giurisprudenziale distinguendo nettamente la tutela reale da quella risarcitoria. La tutela reale (la demolizione) è un rimedio automatico e assoluto a fronte della violazione di un diritto reale. La tutela risarcitoria, invece, presuppone l’esistenza di un ‘danno-conseguenza’, ovvero un pregiudizio concreto che deriva dall’illecito. Considerare il danno come automaticamente insito nella violazione (‘in re ipsa’) significherebbe trasformare il risarcimento in una sorta di sanzione, snaturandone la funzione compensativa. Il nuovo approccio, definito del ‘danno presunto’ o ‘normale’, sposta l’attenzione dalla mera violazione della norma alla perdita effettiva di utilità per il proprietario. Questo non significa rendere la prova impossibile, ma richiede uno sforzo argomentativo iniziale da parte di chi chiede il risarcimento, che dovrà indicare quali facoltà del suo diritto di proprietà sono state concretamente compromesse.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ha implicazioni pratiche significative. Chi subisce una violazione delle norme edilizie da parte di un vicino può ancora contare sulla tutela forte della demolizione. Tuttavia, se intende ottenere anche un risarcimento economico, non potrà più limitarsi a denunciare l’illecito. Dovrà articolare la propria domanda spiegando, ad esempio, come la nuova costruzione abbia ridotto la luminosità, la panoramicità, la privacy o il valore di mercato del proprio immobile. La sentenza, quindi, pur confermando la massima tutela della proprietà, introduce un maggior rigore nella richiesta di risarcimento, allineando la materia del diritto immobiliare ai più recenti principi generali in tema di danno.

La costruzione di un’opera in violazione delle distanze legali dà automaticamente diritto al risarcimento del danno?
No. Secondo il nuovo orientamento della Cassazione, non è più sufficiente dimostrare la violazione della norma (il cosiddetto danno in re ipsa). Il danneggiato deve allegare le circostanze specifiche che dimostrino un concreto pregiudizio al godimento della sua proprietà, come una perdita di luce, aria o privacy.

Se la demolizione di un’opera illegittima è molto costosa o complessa, il giudice può ordinare un risarcimento in denaro al suo posto?
No, non di sua iniziativa. La tutela dei diritti reali (come la proprietà) è assoluta e il rimedio principale è la reintegrazione in forma specifica (la demolizione). L’eccessiva onerosità non è una difesa valida per chi ha commesso l’illecito. Solo se è la parte danneggiata a richiederlo, il giudice può disporre un risarcimento per equivalente.

Cosa si intende per ‘danno presunto’ in sostituzione di ‘danno in re ipsa’?
‘Danno in re ipsa’ significava che il danno era considerato esistente e provato con la sola dimostrazione dell’illecito. Il ‘danno presunto’ è un’evoluzione: il danneggiato deve allegare fatti concreti che facciano presumere l’esistenza di un pregiudizio (es. ‘la nuova costruzione mi toglie tre ore di sole al giorno’). Se questa allegazione è specifica e non contestata, il danno si presume provato, alleggerendo l’onere probatorio ma non eliminando la necessità di specificare la natura del pregiudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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