SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1732 2025 – N. R.G. 00000426 2025 DEPOSITO MINUTA 01 12 2025 PUBBLICAZIONE 01 12 2025
NNUMERO_DOCUMENTO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI BARI
Terza Sezione Civile
La Corte d’Appello, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti Magistrati:
dott. NOME COGNOME AVV_NOTAIO dott.ssa NOME COGNOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME COGNOME rel.
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado di appello, iscritta sotto il numero d’ordine n. 426/2025 R.G., avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari emessa il 25.01.2025 (rep. n. 454/2025)
TRA
elettivamente domiciliata in Bari al INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende giusta procura in atti
-Appellante -Appellata in via incidentale –
CONTRO
elettivamente domiciliato in Gioia del Colle alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti
-Appellato -Appellante in via incidentale –
Conclusioni delle parti: come da note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c., in sostituzione dell’udienza del 12.11.2025, che qui devono intendersi riportate.
MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO E DIRITTO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bari, , per sentir accogliere le seguenti conclusioni: ‘ a) accertare e dichiarare che il convenuto occupa senza titolo la porzione di immobile di proprietà dell’istante, come descritta dal consulente tecnico d’ufficio in sede di a.t.p. (ndr: una porzione -zona est- non è più accessibile giacché il preesistente varco risulta attualmente murato -cfr. All. D -Fig. 8, Fig. 13); b) ordinare al convenuto di liberare immediatamente l’unità immobiliare suddetta e di consegnarla, senza dilazione, libera da persone e cose, alla parte attrice; c) condannare il sig. a versare in favore dell’istante la somma di € 14.500,00 oltre iva a titolo di danni per le causali esposte in A.T.P.; d) condannare il sig.
alla consegna delle chiavi di accesso del capannone detenute dal medesimo sine titulo; e) condannare il sig. alle spese, anche per compensi, sostenute dalla ricorrente in sede di A.T.P.; f) vinte le spese del presente giudizio ed oneri come per legge in favore del procuratore anticipatario’.
A fondamento della domanda la ricorrente deduceva che: – a seguito di vendita senza incanto nel procedimento di espropriazione immobiliare r.g.es. n. 247/07, pendente innanzi al Tribunale di Bari, si era aggiudicata un immobile di proprietà del debitore esecutato e, più precisamente, un capannone ubicato in Bari-Carbonara, località La Grave alla INDIRIZZO; in data 11.10.19, in sede di accesso presso l’immobile, le opponeva l’ingresso ad una porzione dell’unità immobiliare, impedito dall’innalzamento di un muro al preesistente varco di accesso, ritenendo che detta zona fosse di sua esclusiva proprietà; – il consulente tecnico di parte da lei incaricato, sulla scorta della relazione peritale svolta nel procedimento di espropriazione immobiliare, verificava il mutato stato dei luoghi e quantificava in € 14.500,00 il costo delle opere necessarie a ripristinarlo; -anche il CTU, nominato nell’ambito per procedimento per ATP da lei instaurato, riscontrava il mutamento dello stato dei luoghi ( porzione – zona est -non più accessibile a causa del varco murato, aperture finestrate murate sul prospetto a nord e sulla parete a est, impianti elettrico ed antincendio parzialmente rimossi, impianto fognario non funzionante, assenza di porte nella zona del custode e degli uffici, presenza lungo il vialetto di accesso di materiale vario ), quantificando in € 14.500,00 il costo delle opere necessarie a garantirne il ripristino.
Costituitosi in giudizio, chiedeva darsi atto dell’intervenuta consegna, dopo il deposito del ricorso introduttivo, della residua parte dell’immobile, con ogni consequenziale provvedimento sulla relativa materia del contendere, e il rigetto di ogni ulteriore domanda perché infondata in fatto ed in diritto; in via riconvenzionale, chiedeva condannarsi la ricorrente al pagamento in suo favore dell’importo di € 10.000,00, o di quell’altra somma ritenuta di giustizia, per le opere eseguite nella zona del bene immobile rilasciato in data 10.11.2021, con vittoria di compensi di causa.
Il Tribunale di Bari, con ordinanza del 25.01.2025, rigettava le domande reciprocamente proposte, condannando lo al pagamento delle spese di lite liquidate in € 3.397,00, oltre € 145,50 per spese borsuali e accessori come per legge e € 1.148,09 per ristoro spese corrisposte al nominato CTU.
Avverso detta ordinanza ha proposto tempestivo appello chiedendo, in riforma parziale dell’ordinanza resa il 25.01.2025, accogliersi la conclusione sub C) rassegnata nel giudizio di primo grado (‘ condannare il sig. a versare in favore dell’istante la somma di € 14.500,00 oltre iva a titolo di danni per le causali esposte in A.T.P.’) con vittoria di spese e compensi di causa.
Costituitosi in giudizio con comparsa di costituzione e risposta e appello incidentale, ha chiesto rigettarsi l’appello, in quanto infondato in fatto ed in diritto; in accoglimento dell’appello incidentale proposto, modificarsi il provvedimento impugnato relativamente alla
condanna al pagamento della totalità delle spese processuali e di quelle sostenute da controparte per l’espletata A.T.P., con conseguente sua condanna al pagamento del minore importo di € 1,696,00, oltre accessori, e all’importo di € 574,05 per spese di A.T.P., con diritto alla restituzione dei maggiori importi versati, e condanna dell’appellante al pagamento di spese e compensi di causa.
A seguito di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c., in data 12.11.2025 la causa è stata riservata per la decisione a norma dell’art. 352 II co., c.p.c..
Il Tribunale ha rigettato la domanda della osservando che: – anche se da nessuna delle perizie allegate è possibile conoscere lo stato originario dell’immobile e le variazioni intercorse nel tempo, il resistente ha tuttavia ammesso di aver creato due capannoni e di aver immesso la ricorrente nel possesso subito dopo l’introduzione del giudizio; – secondo la giurisprudenza di legittimità, alla vendita forzata sono applicabili le norme sul contratto di vendita, con l’obbligo ex art. 1477 c.c. di co nsegnare il bene nello stato in cui si trovava al momento dell’alienazione; -l’acquisto fa acquisire all’aggiudicatario una posizione giuridica tutelata come uno ius ad rem, condizionato al saldo prezzo, e in caso di lesione di questo diritto può ricorrere ai rimedi risarcitori e, in particolari condizioni, ottenere la risoluzione della vendita forzata con restituzione del prezzo versato; – la responsabilità risarcitoria per i danni all’immobile dopo l’aggiudicazione grava su chi ha compiuto gli atti di danneggiamento; – sono rimedi attuabili la revoca disposta dal giudice dell’esecuzione per significativa lesione dello ius ad rem o, in alternativa, l’impugnazione dell’aggiudicazione, con richiesta di risoluzione della vendita quando il cespite sia gravemente danneggiato ( aliud pro alio ) o manchi delle qualità essenziali; – a carico del custode del bene aggiudicato è configurabile un obbligo di diligenza e buona fede, per garantire la corrispondenza tra quanto ha formato oggetto della volontà dell’aggiudicatario e quanto venduto, sicché, se l’aggiudicatario lamenta perdita o danneggiamento dell’immobile prima del decreto di trasferimento, risponde del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.; – pur inquadrando la responsabilità come extracontrattuale, non è individuabile il danno subito dall’aggiudicatario, non essendo provato se il ripristino dello stato dei luoghi abbia di fatto arrecato pregiudizio, il danneggiato non ha fornito la prova del nesso causale e il danno non può ritenersi in re ipsa; neanche la domanda riconvenzionale del resistente può essere accolta poiché, pur avendo operato in buona fede, non è provata nel quantum.
1 . Deve preliminarmente darsi atto che l’ordinanza non è stata impugnata, con l’appello incidentale, nella parte in cui è stata rigettata la domanda riconvenzionale e, pertanto, sul punto, è passata in giudicato.
2. L’appello principale.
Con un unico, articolato motivo di gravame, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui il primo Giudice ha affermato che : ‘.. non è possibile ritenere quale sia il danno subito dall’aggiudicatario e se il ripristino dello stato dei luoghi rispetto allo stato in cui si trovava il bene al momento della stima abbia di fatto arrecato un danno. In pratica non è stata data la prova del nesso causale mentre il danno non
può ritenersi in re ipsa. Pur inquadrando l’invocata responsabilità come extracontrattuale si rammenta che è onere del danneggiato provare che il danneggiante ha cagionato il danno mediante il suo comportamento’. Osserva che è provato per tabulas che il capannone era dotato di aperture finestrate su entrambi i lati e che in sede di accesso dette aperture sono risultate murate, che era dotato di impianti fognante ed elettrico, che in sede di accesso sono risultati, rispettivamente, parzialmente rimosso e non funzionante, e che anche il preesistente impianto antincendio è risultato parzialmente rimosso. Deduce che incomprensibilmente il primo Giudice ha ritenuto che non è possibile desumere quale sia il danno subito dall’aggiudicatario, nonostante le predette circostanze siano tutte documentalmente provate.
Osserva, inoltre, che pure per tabulas è provata la circostanza che lo , nella procedura esecutiva, ha rivestito il doppio ruolo di debitore esecutato e di custode senza compenso; lo
è responsabile dei danni, in qualità di debitore esecutato e/o custode, non solo perchè non ha dimostrato che il danno è stato determinato da causa a lui non imputabile, ma anche perchè ha ammesso, nei propri scritti difensivi, di aver compiuto personalmente le opere di modificazione del capannone, ritenendo che una parte del compendio pignorato fosse suo. Lo
era tenuto alla custodia e conservazione del bene oggetto di aggiudicazione in virtù degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia, correttezza, lealtà e buona fede a lui spettati, oltre che di quelli espressamente previsti dall’art. 67 c.p.c.
Contrariamente a quanto stabilito dal primo Giudice, la prova del nesso causale è rappresentata dal fatto che lo quale debitore esecutato-custode ha male adempiuto ai propri doveri di conservazione e gestione della res , in termini di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., in relazione alla posizione giuridica dell’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 2043 e 2051 c.c. verso le parti del processo, con riferimento agli obblighi di cui all’art. 560, comma 5 c.p.c..
1.a. Il motivo di appello è fondato.
Il primo Giudice, pur avendo in prima battuta (cfr. pag. 3) affermato che la domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento per le ragioni di seguito, e pur avendo sostenuto (pag. 4) che ‘La responsabilità risarcitoria per eventuali danni arrecati all’immobile dopo l’aggiudicazione grava in primo luogo sul soggetto che ha compiuto gli atti di danneggiamento’, ha poi rigettato la domanda della sostenendo, per quanto qui interessa, che non è possibile ritenere quale sia il danno subito dall’aggiudicatario e se il ripristino dello stato dei luoghi rispetto allo stato in cui si trovava il bene al momento della stima abbia di fatto arrecato un danno. In pratica non è stata data la prova del nesso causale mentre il danno non può ritenersi in re ipsa.
In sostanza il Tribunale, pur avendo ritenuto acclarato che lo , debitore-esecutato e custode, era responsabile dell’esecuzione delle opere al capannone, ha ritenuto non provato il danno.
L’assunto non può essere condiviso.
L’odierna appellante, nel ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c. aveva dedotto che, in sede di primo accesso all’immobile oggetto di aggiudicazione, il debitore esecutato, nonostante
l’insussistenza di alcun titolo legittimante l’occupazione dell’unità immobiliare de qua , le opponeva un impedimento all’ingresso ad una porzione del fabbricato attuato con l’innalzamento di un muro al preesistente varco interno di accesso , sostenendo che detta zona fosse di sua esclusiva proprietà; nell’occasione la verificava inoltre che le finestre preesistenti sul lato nord -est e sudest del capannone erano state murate, l’impianto elettrico e antincendio erano stati rimossi, l’impianto fognario non era funzionante e le porte e i serramenti erano stati rimossi.
Quanto lamentato dalla ricorrente veniva confermato dalla perizia redatta dal proprio tecnico di fiducia il quale, all’esito del sopralluogo effettuato e dell’esame del carteggio relativo alla procedura esecutiva immobiliare, accertava che una porzione del l’immobile aggiudicato non era più accessibile e che lo stato dell’immobile (aperture finestrate fisse murate, impianto elettrico rimosso, impianto antincendio non funzionante e parzialmente rimosso, impianto fognario non funzionante a causa della presenza di evidenti fori lungo la condotta, porte e/o serramenti interni non presenti ) era diverso da quello cristallizzato nella consulenza tecnica di ufficio effettuata in sede di procedura esecutiva immobiliare, quantificando in € 14.500,00 il costo de lle opere necessarie per il ripristino e l’utilizzo ordinario del bene.
Anche il C.T.U nominato nel procedimento per accertamento tecnico preventivo promosso dalla (nel quale lo rimaneva contumace) concludeva affermando che: ‘ si è riscontrato quanto lamentato dalla ricorrente e qui dettagliato: – una porzione (zona est) non è più accessibile giacché il preesistente varco risulta attualmente murato (cfr. Allegato D – Figura 8, Figura 13); – le aperture finestrate fisse sul prospetto a nord (confinante con proprietà di parte resistente) e sulla parete ad est (di separazione tra le due porzioni di capannone) risultano murate (cfr. Allegato D – Figura 5, Figura 6, Figura 7,Figura 8); l’impianto elettrico a vista risulta parzial mente rimosso (cfr. Allegato D); l’impianto antincendio parzialmente rimosso (cfr. Allegato D); -l’impianto fognario risulta non funzionante a causa della presenza di evidenti fori lungo la condotta (cfr. Allegato D – Figura 9); – assenza di porte nella zona presumibilmente destinata ad alloggio del custode ed uffici (cfr. Allegato D – Figura 10) e presenza, lungo il vialetto di accesso, di materiale vario (cfr. Allegato D – Figura 3 e Figura 4); – dall’esame della documentazione agli atti, risulta che: – sono trascorsi circa 9 anni tra la data della perizia redatta nell’ambito della procedura esecutiva n. 247/07 e la data di aggiudicazione definitiva alla parte ricorrente, – la tompagnatura del varco, di cui al paragrafo 2.3, è stata realizzata in data 11.10.2019 (come riportato nella querela ex artt. 333 e 336 c.p.p.), – nessuna indicazione temporale può essere fornita riguardo alle altre modifiche oggi lamentate; – il capannone non ha subito altri danni, né di tipo strutturale né sulle rifiniture, ad eccezione di quanto già descritto; – sono necessarie le seguenti opere, che possono essere effettuate in un arco temporale di circa 2 mesi e con una spesa di 14.500 euro + IVA..’.
Dalle risultanze della consulenza tecnica di parte e, in modo ancor più evidente, dell’accertamento tecnico preventivo, si evince che l’immobile oggetto di aggiudicazione, al momento del primo accesso da parte dell’aggiudicataria, non versava nelle condizi oni descritte nella relazione di CTU redatta dall’ing. nel 2008 nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare .
Giova osservare che, nell’ambito delle esecuzioni immobiliari, la consulenza tecnica d’ufficio svolge un ruolo essenziale per il corretto svolgimento della procedura; il consulente nominato, infatti, non si limita alla determinazione del valore del bene pignorato, ma c ristallizza lo stato dei luoghi, descrivendolo in maniera puntuale e, sulla base di tanto, effettua la stima. La relazione peritale rappresenta pertanto il principale -e sovente l’unico strumento conoscitivo dello stato dell’immobile, assumendo un ruolo determinan te nella formazione della volontà negoziale dell’aggiudicatario.
Nel caso di specie sono state riscontrate significative difformità tra lo stato dell’immobile indicato nella perizia redatta nell’ambito della procedura esecutiva e quello presente all’atto dell’aggiudicazione e, poi, dell’immissione in possesso della
Tali difformità, come si evince dalla elencazione sopra riportata, integrano un pregiudizio patrimoniale concreto e attuale, in quanto la ha ricevuto non solo un bene diverso (atteso l’innalzamento di un muro di tompagno che ha diviso in due part i il capannone da lei acquistato, la muratura delle aperture finestrate), ma anche danneggiato, rispetto a quello oggetto di rappresentazione peritale (tenuto conto che l’impianto elettrico e l’impianto antincendio sono stati parzialmente rimossi, l’impian to fognario non è funzionante a causa della presenza di evidenti fori lungo la condotta, porte e/o serramenti interni non sono presenti, vi è presenza di materiale vario sul vialetto), con la conseguenza che per eliminare i predetti danni e riportare l’i mmobile alle condizioni cristallizzate nella consulenza di cui alla procedura esecutiva -condizioni che costituivano l’oggetto dell’offerta e, dunque, della stessa aggiudicazione sarà costretta a sostenere costi di ripristino non preventivabili al momento della partecipazione alla procedura; tali costi sono stati puntualmente quantificati dal CTU nel corso dell’ATP, fornendo una base oggettiva e documentata della misura del danno.
Pertanto, la difformità accertata tra il bene periziato e quello consegnato, che impone l’esecuzione di opere per ripristinare lo stato dell’immobile (mediante abbattimento del muro divisorio illegittimamente eretto, riapertura delle finestre, ripristino degli impianti parzialmente rimossi o non funzionanti, ecc.) costituisce il danno patito dall’aggiudicataria, odierna appellante, pari al costo delle dette opere, imponendo spese ulteriori e impreviste.
Né può revocarsi in dubbio che autore delle opere è, per sua stessa ammissione, lo , che ha così cagionato all’immobile i danni lamentati; infatti, come da lui stesso affermato, nella sua qualità di proprietario di altro capannone, adiacente a quello pignorato, ritenendo erroneamente di essere altresì (ancora) proprietario anche di una porzione dell’immobile pignorato, nel 2009, dopo l’accesso sui luoghi del perito, incaricato dal AVV_NOTAIO.E. del Tribunale di Bari della stima dei beni, aveva provveduto a chiudere il varco che rendeva comunicanti le due aree con muro in tufi e a spostare, nella zona immediatamente adiacente il muro perimetrale, i serbatoi e le pompe antincendio a servizio dei tre capannoni che prima erano posizionati all’interno.
Lo ha quindi, dopo aver eretto il muro, occupato sine titulo una porzione del capannone pignorato, chiuso pareti finestrate, rimosso porte, ed eseguito interventi sugli impianti, elettrico, di condizionamento, fognario, ponendo in essere un comportamento illecito commissivo, colposo, idoneo a determinare un danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. a carico della odierna appellante; le modifiche apportate hanno infatti reso l’immobile non conforme allo stato cristallizzato nella consulenza espletata nella procedura esecutiva, determinando la necessità di interventi di ripristino -come l’abbattimento del muro, la riapertura di finestre, il ripristino degli impianti, la rimozione del materiale -con conseguenti costi a carico dell’aggiudicataria.
Del danno subito dall’appellante deve rispondere lo non solo in qualità di autore delle opere e, dunque, dell’illecito, anche nella sua qualità di custode dell’immobile pignorato.
Il custode di un immobile pignorato ha l’obbligo di vigilare sullo stato dei luoghi e di adottare tutte le cautele necessarie a prevenire deterioramenti, modificazioni o alterazioni da parte dei confinanti o di terzi. Il suo compito non si limita alla conservazione materiale del bene, ma comprende la protezione dell’immobile da ogni intervento che possa comprometterne il valore o la consistenza, con l’obiettivo di garantire che il bene giunga alla vendita nelle condizioni in cui si trovava al momento della perizia e di tutelare gli interessi dei potenziali offerenti e dell’aggiudicataria.
Nel caso di specie, il confinante che ha apportato modifiche all’immobile pignorato era lo stesso
, debitore-custode. Tale circostanza evidenzia una chiara violazione dei doveri di custodia atteso che lo non solo ha eseguito interventi senza titolo, ma ha anche omesso di vigilare in modo adeguato sul bene, non prevenendo danni e modifiche; la sua responsabilità si configura pertanto anche nel comportamento omissivo tenuto, atteso che la mancata vigilanza e la negligenza nella custodia h anno determinato un pregiudizio concreto all’immobile.
Da tale comportamento e dalla responsabilità colposa dello – che non può ritenersi esclusa dalla sua asserita, erronea, convinzione che la parte di immobile oggetto degli interventi abusivi non fosse oggetto di pignoramento, incombendo su di lui, quantomeno in qualità di custode, precisi obblighi di diligenza -consegue il diritto della ad ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Con riferimento alla quantificazione dei danni subiti, la C.T.U., ing. , nominata in sede di accertamento tecnico preventivo, ha descritto in maniera puntuale i lavori da eseguirsi per ripristinare lo stato dell’immobile (realizzazione di i mpianto elettrico base, ripristino impianto fognario, ripristino e verifica funzionamento di impianto antincendio, fornitura e posa in opera di nuove porte e/o serramenti interni, rimozione tompagni di chiusura sia delle luci sul confine nord-est che del varco di collegamento) quantificando il costo degli st essi in € 14.500 euro + IVA.
Questa Corte ritiene di condividere le conclusioni del consulente tecnico, prive di vizi e neanche specificamente contestate nel quantum , e pertanto adeguate a rappresentare l’entità del danno effettivamente subito dall’aggiudicataria.
L’appello principale va pertanto accolto, con conseguente accoglimento della domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente e condanna dello al pagamento della somma di € 14.500,00 oltre iva, maggiorata di interessi legali.
3. Appello incidentale.
Con un unico motivo di gravame, lo censura la sentenza nella parte in cui il primo Giudice ha posto a suo carico la totalità delle spese processuali e lo ha altresì condannato al pagamento, in favore della della somma di € 1.148,0 9 a titolo di rimborso delle spese corrisposte al CTU ing. per l’A.T.P. svolta; osserva l’appellante che il rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente giustificava una diversa regolamentazione delle spese di lite. Deduce inoltre che, avendo provveduto a rilasciare la porzione del bene immobile che erroneamente deteneva subito dopo la notifica del ricorso introduttivo del giudizio e prima della udienza di comparizione svolta dinanzi al Tribunale, e avendo altresì richiesto, con la comparsa di costituzione, dichiararsi la cessazione della materia del contendere, non doveva essere condannato al pagamento della fase decisionale del giudizio, ma, al più, soltanto ai compensi relativi alle fasi di studio e di introduzione del giudizio.
3.1. Il motivo rimane assorbito dal principio dell’effetto espansivo interno previsto dall’art. 336 cpc, secondo il quale la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado comporta di ufficio una rivalutazione della decisione sulle spese processuali anche in relazione al primo giudizio, alla luce di una valutazione complessiva della vertenza: “In base al principio fissato dall’art. 336, comma 1, c.p.c., secondo il quale la riforma della sentenza ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata (cosiddetto effetto espansivo interno), la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado determina la caducazione ex lege della statuizione sulle spese ed il correlativo dovere, per il giudice d’appello, di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse. Tale pronuncia, in ossequio al principio della globalità del giudizio sulle spese, deve avvenire con riferimento all’intero processo ed all’esito finale della lite, indipendentemente dalla sorte delle fasi incidentali eventualmente apertesi nel suo corso” (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11491 del 16/05/2006; conforme Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15483 del 11/06/2008).
L’appello incidentale deve pertanto considerarsi superato e assorbito, alla luce dell’integrale accoglimento dell’appello principale e del riconoscimento della piena fondatezza della domanda proposta dalla con totale soccombenza dell’appellante incidentale, che impone una rideterminazione delle spese del doppio grado di giudizio, alla luce di una valutazione dell’esito complessivo del giudizio.
All’accoglimento dell’appello principale segue la condanna dell’appellato al pagamento di spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano in dispositivo in ossequio ai parametri medi di cui al D.M. n. 147/2022, tenuto conto del valore della domanda e del decisum , dell’attività effettivamente espletata e della natura della controversia, con esclusione, per il presente grado, della fase istruttoria, in difetto dello svolgimento di relative attività.
A seguito del rigetto dell’appello incidentale, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dello , dell’ulteriore importo pari al contributo unificato, ai sensi del comma 1 quater dell’articolo 13 del testo unico approvato con il Dpr 30 maggio 2002 n.115, introdotto dall’art. 1 comma 17 -della legge 24 dicembre 2012 n. 228
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da e sull’appello incidentale spiegato da , avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bari in data 25.01.2025 (rep. n. 454/2025), ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
1) accoglie l’appello principale e, in riforma della sentenza appellata, condanna al pagamento, in favore di , a titolo di risarcimento danni, della somma di € 14.500,00, maggiorata di iva, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente decisione sino al soddisfo;
rigetta l’appello incidentale proposto da ;
condanna alla rifusione, in favore di , delle spese di entrambi i gradi del giudizio, che liquida, per il primo grado nella misura di € 145,50 per esborsi ed € in € 5.000,00 per compensi professionali, e, per il secondo grado, in € 382,50 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre, per entrambi i gradi, rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge;
conferma nel resto la sentenza appellata;
dichiara che, per effetto dell’odierna decisione, sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1quater d.P.R. 11/2002 per il versamento da parte dell’appellante incidentale dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 bis. d.P.R . 115/2002.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio della III Sezione Civile della Corte, il 19 novembre 2025.
Il COGNOME relatore
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME
Il AVV_NOTAIO NOME COGNOME