Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3217 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3217 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16622/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappres. e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Roma, n. 665/223, pubblicata in data 30.01.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14.01.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione del 22 aprile 2010, notificato in data 26 aprile 2010, RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio TIM, chiedendo al Tribunale di Roma di accertare e dichiarare l’illiceità delle condotte di retention effettuate dalla società convenuta in costanza delle richieste di portabilità verso PosteMobile e, per l’effetto, condannare TIM al pagamento dei danni patrimoniali, anche di immagine e perdita di valore dell’avviamento, subiti da RAGIONE_SOCIALE, quantificati in Euro 10.011.960,00 (successivamente rettificati in Euro 9.838.482,00) .
A tal fine PostePay aveva provveduto a una rigorosa quantificazione delle varie voci di danno e alla sottostante stima dei clienti impattati dalle condotte illecite di Telecom Italia, sulla base di una serie di documenti, di dati estratti dai propri sistemi (soggetti ad apposita certificazione ad opera di soggetto terzo) e di ben due relazioni tecniche a opera di esperti economisti, dedicate alla stima, rispettivamente, del lucro cessante e del danno all’immagine.
Nel corso del giudizio era stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio a cui era stato demandato di valutare la conformità delle condotte di Telecom alla regolamentazione di settore, nonché la sussistenza e la quantificazione dei danni lamentati da PostePay.
Il consulente tecnico d’ufficio aveva ritenuto di dover seguire un criterio basato sul raffronto tra il periodo oggetto delle condotte contestate e quello successivo (c.d. metodo ‘before and after’ ).
Con sentenza del 16 dicembre 2016 depositata in data 22 dicembre 2016, il Tribunale, pur accertando l’illiceità della condotta posta in essere da TIM, ritenendo dimostrato come ‘Telecom posto in esser attività di retention, da reputarsi contraria alla normativa vigente e, in particolare, alle due delibere ( emesse all’AGCOM ) sopra citate’ ,
aveva, tuttavia, ritenuto non provato il danno contestato da PostePay, in ragione dell’asserita ‘non acquisibilità della documentazione richiesta dal C.T.U., stante il mancato consenso di parte convenuta’ e ritenendo per il resto la documentazione prodotta da PostePay inidonea a fornire la prova rigorosa del danno subito e conseguentemente aveva rigettato la domanda di risarcimento avanzato dall’attrice, con condanna della stessa al pagamento delle spese di lite e della c.t.u. espletata nel corso del giudizio.
Postepay appellava la sentenza di primo grado dinnanzi alla Corte d’Appello di Roma, chiedendo la riforma di tale pronuncia e, per l’effetto, la condanna di Telecom al pagamento della somma di Euro 9.838.482 ovvero, in via alternativa, della somma liquidata nella relazione della c.t.u., pari ad Euro 1.400.200,00, ovvero ancora della somma determinata in via equitativa dalla Corte, oltre al riconoscimento del danno emergente e del danno d’immagine.
Con sentenza n. 665/2023 pubblicata il 30 gennaio 2023 la Corte d’Appello di Roma accoglieva parzialmente l’appello di PostePay e condannava TIM al pagamento della somma di Euro 1.537.897,00 determinata in via equitativa, prendendo a pa rametro l’analisi svolta dal c.t.u. in primo grado, a titolo di risarcimento del danno, maggiorata degli interessi legali dalla data della sentenza al saldo effettivo.
Al riguardo, la Corte territoriale osservava che: data l’inesigibilità della probatio diabolica di provare tutti i clienti sottratti e le occasioni di affari perdute e il mancato o ritardato passaggio di clienti Postepay, i danni lamentati erano da risarcire necessariamente in via equitativa, utilizzando quale parametro la relazione del c.t.u. che aveva effettuato una comparazione tra il periodo ante-violazione e quello successivo; in particolare, tale comparazione andava effettuata tra novembre del 2007 (quando era diventata operativa Postepay) all’agosto del 2009
(quando erano stati regolamentati alcuni dei comportamenti illeciti realizzati in precedenza dagli operatori di telefonia mobile).
TIM ricorre per Cassazione avverso la sentenza di appello, con quattro motivi, illustrati da memoria. Postepay resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione del l’art. 2909 c.c., per aver la Corte d’appello affermato che il capo della sentenza impugnata fosse passato in giudicato in mancanza d’impugnazione da parte di Tim, sia perché quest’ultima non aveva interesse ad impugnare, sia perché essa aveva contestato la domanda di Postepay con mere difese, per cui non era onerata dal proporre appello incidentale.
Il secondo motivo denunzia violazione del l’art. 2697 cc, per aver la Corte d’appello assolto Tim dall’onere di provare i danni che s’assumeva subiti, per aver in sostanza ritenuto che essi fossero una diretta conseguenza delle condotte illecite contestate, senza specifici accertamenti al riguardo. In particolare, la ricorrente lamenta che, come affermato dal Tribunale, le presunzioni utilizzate non avevano i caratteri di gravità e precisione in ordine alla quantificazione dei danni, mentre la Corte territoriale aveva utilizzato il criterio equitativo indicato, pur avendo avuto la ricorrente la possibilità di effettuare accertamenti e verifiche presso i propri clienti, al fine di accertare l’effettiva volontà delle parti di annullare la richiesta di modifica dell’operatore.
Il terzo motivo denunzia vizio motivazionale, per non aver la Corte d’appello illustrato i motivi per cui gli elementi indiziari indicati erano idonei a provare i danni e il nesso causale, in violazione dell’art. 2729 c.c., circa l’insussistenza dei presupposti delle presunzioni.
In particolare, la ricorrente lamenta che: la motivazione contestata era di fatto apparente in ordine alla prova del nesso causale tra le condotte illecite accertate e i danni cagionati, in quanto non esamina gli elementi probatori indiziari allegati dalla controparte, avendo la stessa Corte territoriale affermato genericamente che non sarebbe stata esigibile la prova relativa ai singoli clienti per i quali Tim avrebbe subito un danno; le presunzioni allegate non erano gravi e precise in quanto non tenevano conto della complessa questione delle illecite retention , nel senso che il numero di 43.177 clienti per i quali vi era stato il rifiuto alla richiesta di portabilità, con la cd. causale 12, non corrispondevano necessariamente a clienti i quali fossero stati contattati da Tim per non cambiare l’operatore telefonico, esercitando dunque l’illecita retention, ben potendo trattarsi di vicende diverse, come per esempio l’annullamento con causale 12, basato su richieste di MNP provenienti da operatori terzi (come analiticamente indicate nel ricorso).
Il qua rto motivo lamenta che la Corte d’appello ha liquidato i danni equitativamente, senza la prova relativa, e in mancanza degli stessi presupposti della liquidazione equitativa ex art. 1226 cc.
Il primo motivo è fondato. La Corte territoriale ha affermato che la responsabilità di Tim, in ordine alle illecite condotte di retention, era stata accertata con statuizione passata in giudicato, in mancanza d’appello.
Ora, deve muoversi dalla distinzione fra danno evento (causalità materiale) e danno conseguenza (causalità giuridica). Al riguardo, il Tribunale non ha accertato il danno evento ( an della responsabilità) reputando non provato il danno conseguenza ( quantum ), ma ha ritenuto non provato proprio l’evento di danno, ha cioè ritenuto che, pur dimostrato il compimento da parte di Telecom sul mercato di condotte di retention, non è stato provato che tali condotte avessero
determinato un evento di danno anche per l’attrice, fossero cioè state poste in opera anche nei confronti dei clienti di Postemobile.
Non è dunque rimasto non accertato il numero dei clienti, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, profilo rilevante sul piano del danno conseguenza rilevante ai sensi dell’art. 1223 c.c., ma la circostanza a monte se i clienti di Postemobile (in generale) fossero stati attinti da condotte da retention , e dunque lo stesso profilo dell’integrazione del fatto illecito per quanto riguarda la posizione attorea. La corte territoriale ha pertanto confuso danno evento e danno conseguenza, reputando così sussistente un giudicato interno in ordine all’an della responsabilità, giudicato invero insussistente.
L’accoglimento del motivo ha carattere assorbente rispetto agli altri motivi.
Pertanto, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte territoriale, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, nei limiti di cui in motivazione, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche in ordine alle spese