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Danno evento: la Cassazione chiarisce la prova

Un operatore di telefonia mobile ha citato in giudizio un concorrente per pratiche di ‘retention’ illecite. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha annullato la sentenza di secondo grado che aveva riconosciuto un risarcimento milionario. Il punto centrale della decisione è la distinzione tra la prova della condotta illecita e la prova del ‘danno evento’, ossia la dimostrazione che tale condotta abbia effettivamente causato un pregiudizio concreto all’attore. Secondo la Suprema Corte, non basta provare l’illecito, ma è necessario dimostrare il nesso causale con il danno subito prima di poter procedere a una liquidazione, anche equitativa.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno Evento vs Danno Conseguenza: La Cassazione Annulla Risarcimento Milionario

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale in materia di risarcimento del danno da illecito concorrenziale, chiarendo la fondamentale distinzione tra la prova della condotta illecita e quella del cosiddetto danno evento. La vicenda, che vedeva contrapposti un operatore di telefonia mobile virtuale e un colosso delle telecomunicazioni, si è conclusa con l’annullamento di una condanna milionaria proprio per un errore nella valutazione di questo presupposto fondamentale.

I Fatti di Causa

La controversia nasce dall’azione legale intentata da un operatore mobile virtuale contro un noto operatore storico. L’accusa era di aver posto in essere condotte di retention illecite, ovvero pratiche commerciali scorrette volte a ostacolare il passaggio dei clienti verso il nuovo operatore. In primo grado, il Tribunale aveva accertato l’illiceità delle condotte, ma aveva rigettato la domanda di risarcimento, ritenendo che la società attrice non avesse fornito una prova rigorosa del danno subito. In sostanza, pur essendo provato che l’operatore storico avesse agito scorrettamente, non era stato dimostrato che ciò avesse effettivamente causato una perdita di clienti per il concorrente.

La Decisione della Corte d’Appello

Di parere diverso è stata la Corte d’Appello. I giudici di secondo grado hanno riformato parzialmente la sentenza, condannando l’operatore storico al pagamento di oltre 1,5 milioni di Euro a titolo di risarcimento. La Corte territoriale ha ritenuto che provare puntualmente ogni singolo cliente ‘sottratto’ costituisse una probatio diabolica e ha quindi proceduto a una liquidazione del danno in via equitativa, basandosi sulla consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado. Secondo la Corte d’Appello, una volta accertata l’illiceità della condotta con una statuizione passata in giudicato, il danno ne era una conseguenza quasi automatica da risarcire.

Le Motivazioni della Cassazione: la distinzione cruciale sul danno evento

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’operatore storico, cassando la sentenza d’appello. Il cuore della motivazione risiede nella netta distinzione tra danno evento e danno conseguenza. I giudici di legittimità hanno spiegato che la Corte d’Appello ha commesso un errore fondamentale: ha confuso l’accertamento della condotta illecita con l’accertamento del danno.

Il Tribunale di primo grado, infatti, non si era limitato a dire che il danno era difficile da quantificare (quantum), ma aveva affermato che non era stato provato proprio l’evento di danno (an della responsabilità). In altre parole, non era stato dimostrato che le pratiche di retention avessero effettivamente impedito ai clienti dell’operatore virtuale di effettuare la portabilità.

La Cassazione chiarisce che il danno evento è la lesione stessa dell’interesse protetto (la perdita del cliente), mentre il danno conseguenza è il pregiudizio economico che ne deriva (il mancato profitto). Per poter ottenere un risarcimento, il danneggiato deve prima provare l’esistenza del danno evento e il nesso di causalità con la condotta illecita del convenuto. Solo una volta superato questo scoglio si può passare alla quantificazione del danno conseguenza, eventualmente anche in via equitativa se la prova del suo esatto ammontare è impossibile o molto difficile.

Conclusioni

La decisione della Suprema Corte riafferma un principio cardine del nostro ordinamento in materia di responsabilità civile: chi chiede un risarcimento ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi del suo diritto, inclusa l’esistenza del danno e il legame causale con il fatto illecito altrui. La prova di una condotta astrattamente idonea a nuocere non è sufficiente. È necessario dimostrare che quel nocumento si è concretamente verificato. La liquidazione equitativa è uno strumento per determinare l’ammontare del risarcimento, non per sopperire alla mancanza di prova sull’esistenza stessa del danno. Questa ordinanza rappresenta quindi un importante monito per le imprese che agiscono in giudizio per concorrenza sleale: la preparazione probatoria deve essere meticolosa non solo nel dimostrare l’illecito del concorrente, ma soprattutto nel provare in modo tangibile le conseguenze pregiudizievoli subite.

È sufficiente dimostrare la condotta illecita di un concorrente per ottenere un risarcimento?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, oltre a dimostrare l’illiceità della condotta, la parte che chiede il risarcimento deve provare anche il ‘danno evento’, ovvero che quella specifica condotta ha effettivamente causato un pregiudizio diretto ai propri interessi.

Qual è la differenza tra ‘danno evento’ e ‘danno conseguenza’?
Il ‘danno evento’ è la lesione iniziale di un interesse giuridicamente rilevante (es. la perdita effettiva di un cliente a causa della condotta illecita). Il ‘danno conseguenza’ rappresenta le perdite patrimoniali che derivano da tale evento (es. il mancato guadagno derivante dalla perdita di quel cliente). La prova del primo è un presupposto indispensabile per poter liquidare il secondo.

Quando un giudice può liquidare il danno in via equitativa?
Un giudice può liquidare il danno in via equitativa (secondo l’art. 1226 c.c.) solo quando l’esistenza del danno (‘an’) è certa e provata, ma risulta impossibile o molto difficile quantificarne l’esatto ammontare (‘quantum’). Non può essere utilizzato per sopperire alla mancata prova dell’esistenza stessa del danno evento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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