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Danno da usura psicofisica: risarcimento per pausa negata

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento per danno da usura psicofisica a favore di alcuni lavoratori del settore sanitario a cui, per oltre dieci anni, non era stata concessa la pausa lavorativa obbligatoria. Secondo la Corte, una violazione così sistematica e prolungata permette al giudice di presumere l’esistenza di un danno effettivo, anche senza prove mediche dirette, condannando il datore di lavoro. L’appello dell’azienda è stato dichiarato inammissibile.

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Danno da Usura Psicofisica: Risarcimento per Pausa Negata

Il diritto alla pausa durante l’orario di lavoro non è un mero optional, ma un presidio fondamentale per la tutela della salute del lavoratore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, confermando il risarcimento per danno da usura psicofisica a un gruppo di operatori sanitari a cui, per anni, era stato negato il diritto al riposo. Questa decisione chiarisce come la violazione sistematica di una norma a tutela delle condizioni di lavoro possa fondare, anche in via presuntiva, il diritto a un indennizzo.

La Vicenda Processuale: Dalla Richiesta al Ricorso in Cassazione

La controversia nasce dall’azione legale intrapresa da un gruppo di dipendenti di un’azienda sanitaria regionale. Essi lamentavano il mancato godimento, a partire dal 2008, della pausa di almeno 10 minuti per ogni turno di lavoro superiore alle sei ore, come previsto dalla legge. Inizialmente, il Tribunale aveva riconosciuto il loro diritto alla pausa ma negato il risarcimento del danno.

La Corte d’Appello, riformando la prima decisione, aveva invece condannato l’azienda sanitaria a risarcire i lavoratori, riconoscendo l’esistenza di un danno derivante dalla prolungata usura psicofisica. L’azienda sanitaria ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i lavoratori non avessero fornito prova specifica del danno subito e che non si potesse configurare un danno automatico (in re ipsa) per la sola violazione della norma.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’azienda inammissibile, confermando di fatto la sentenza d’appello e il diritto dei lavoratori al risarcimento. I giudici hanno chiarito un punto cruciale: sebbene il danno non sia mai automatico, la sua esistenza può essere provata anche attraverso presunzioni.

Le Motivazioni: Presunzione di Danno da Usura Psicofisica

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra il concetto di danno in re ipsa e quello di prova per presunzioni. La Cassazione afferma che, in linea di principio, chiunque lamenti un danno deve provarne l’esistenza, l’entità e il nesso causale con la condotta illecita.

Tuttavia, nel caso di specie, la violazione del diritto alla pausa non è stata un episodio isolato, ma una condizione sistematica protrattasi per oltre dieci anni. Secondo la Corte, una lesione così grave e continuativa delle norme a protezione delle condizioni di lavoro è di per sé un fatto provato e incontestabile. Da questo fatto noto, il giudice di merito può logicamente presumere, secondo un criterio di normalità, che sia derivato un fatto ignoto, ovvero un pregiudizio significativo alla sfera psico-fisica dei lavoratori. Non si tratta di un automatismo, ma di un accertamento di fatto, basato su una violazione di intensità e durata tali da rendere altamente probabile il verificarsi di un danno da usura psicofisica. La Corte ha inoltre ritenuto infondata la critica sulla quantificazione del danno, poiché la Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su una pluralità di elementi (tempo delle pause non godute, buste paga, tabelle contrattuali), fornendo una motivazione adeguata.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La pronuncia stabilisce un principio di diritto fondamentale: la reiterata violazione della normativa sulle pause lavorative può tradursi in un danno da usura psicofisica per il dipendente, la cui esistenza può essere accertata dal giudice anche tramite presunzioni, a partire da una valida allegazione del lavoratore. Tale accertamento, se ben motivato, non è censurabile in sede di legittimità.

Per i datori di lavoro, questa ordinanza rappresenta un monito severo: ignorare sistematicamente i diritti basilari dei dipendenti, come quello al riposo, non solo è illegittimo, ma espone al rischio concreto di dover risarcire un danno la cui prova può essere raggiunta in modo presuntivo, basandosi sulla gravità e durata dell’inadempimento. Per i lavoratori, invece, rafforza la tutela, riconoscendo che la lesione prolungata delle condizioni di lavoro costituisce il fondamento per ottenere un giusto ristoro.

La mancata concessione della pausa lavorativa obbligatoria genera automaticamente un diritto al risarcimento del danno?
No, non automaticamente. Tuttavia, la Corte ha stabilito che una violazione reiterata e prolungata nel tempo, come nel caso esaminato durato oltre dieci anni, può consentire al giudice di presumere l’esistenza di un danno da usura psico-fisica che giustifica un risarcimento.

È necessario che il lavoratore presenti prove mediche per dimostrare il danno da usura psicofisica?
Non necessariamente. La Corte ha chiarito che, di fronte a una violazione sistematica e grave delle norme a tutela del lavoratore, il giudice può stabilire l’esistenza del danno tramite il ricorso a presunzioni, basandosi sulla gravità e durata dell’inadempimento datoriale, anche in assenza di prove mediche dirette.

Qual è la differenza tra ‘danno in re ipsa’ e ‘danno provato per presunzioni’?
Il ‘danno in re ipsa’ è una conseguenza automatica dell’illecito, che non richiede alcuna prova. Il ‘danno provato per presunzioni’, invece, non è automatico: il giudice parte da un fatto provato (la violazione continua del diritto alla pausa) per dedurre, attraverso un ragionamento logico, l’esistenza di un fatto non direttamente provato (il pregiudizio alla salute), riconoscendo così il diritto al risarcimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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