Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6731 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6731 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25038/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO INDIRIZZO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE); -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 412/2018 depositata il 27/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME, titolare dell’omonima impresa edile, ha citato in giudizio il Condominio INDIRIZZO, in Salerno, chiedendo di dichiarare la risoluzione di diritto del contratto d’appalto concluso tra le parti, atteso il vano decorso del termine ex art. 1454 c.c., in via subordinata di pronunciare la risoluzione per grave inadempimento del committente, con condanna del Condominio al pagamento di tutte le somme dovute, tra cui il corrispettivo dei lavori eseguiti e il mancato guadagno. Il Condominio chiedeva il rigetto della domanda attorea e, in via riconvenzionale, di pronunciare la risoluzione del contratto d’appalto per fatto imputabile all’impresa con conseguente risarcimento dei danni. Il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda dell’attore: accertava l’intervenuta risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c. e condannava il Condominio a pagare per le opere eseguite euro 88.492, oltre IVA, e sulla somma complessiva gli interessi moratori e l’ulteriore danno da svalutazione monetaria, nonché euro 51.146,20 a titolo di risarcimento dei danni per mancato guadagno.
La sentenza di primo grado era impugnata in via principale dal Condominio e in via incidentale da COGNOME. La Corte d’appello di Salerno, con la sentenza 27 marzo 2018 n. 412, ha parzialmente accolto il gravame principale del Condominio e, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato legittimo il recesso dal contratto di appalto del committente a norma dell’art. 28 del contratto, con la conseguente non spettanza all’impresa del risarcimento dei danni per mancato guadagno, non ha riconosciuto il risarcimento dei danni al Condominio, perché non provati, e ha condannato il Condominio a corrispondere a COGNOME la somma di euro 88.492; ha rigettato l’appello incidentale, in quanto data la legittimità del
recesso del committente al medesimo non poteva essere addebitato il costo della polizza fideiussoria necessaria per la conclusione del contratto ed essendo venuto meno con l’accoglimento del principale la doglianza relativa al mancato rispetto dei minimi tariffari relativi allo scaglione successivo a quello applicato.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso il Condominio INDIRIZZO.
Memoria è stata depositata dal ricorrente e dal controricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in sei motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. per avere il giudice d’appello espunto dalla pronuncia di primo grado la condanna al pagamento del danno da svalutazione monetaria senza che l’appellante lo avesse chiesto.
Il motivo è fondato. Il Tribunale (vedere la pag. 3 della sentenza impugnata) aveva condannato il Condominio a pagare, a titolo di pagamento per le opere eseguite, la somma di euro 88.492 oltre ‘IVA come per legge e se dovuta; sulla somma complessiva (somma capitale + IVA) gli interessi moratori nella misura legale dalla data della domanda e fino all’effettivo soddisfo, nonché l’ulteriore danno da svalutazione monetaria da calcolarsi sulla base della eventuale differenza del tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi e il saggio degli interessi legali, con pari decorrenza e fino alla data di pubblicazione della sentenza’. La Corte d’appello invece ha condannato il Condominio a pagare la medesima somma di euro 88.492, ‘oltre interessi legali a decorrere dal 28/11/2003 fino al soddisfo, oltre IVA se dovuta’, quindi senza più condannare il Condominio al pagamento del danno ulteriore da svalutazione
monetaria. Tutto ciò la Corte d’appello ha fatto senza che l’appellante avesse specificamente censurato il profilo.
Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. per avere la Corte d’appello contraddittoriamente statuito che il mancato pagamento del saldo di avanzamento lavori comportasse un comportamento del committente che legittimava la sospensione dei lavori e poi che l’impresa avrebbe dovuto avere un atteggiamento collaborativo e riprendere i lavori a seguito dell’ordine di servizio del nuovo tecnico del Condominio.
Il motivo non può essere accolto, in quanto quella che viene censurata è la valutazione degli elementi di fatto compiuta dal giudice di merito, valutazione che il giudice di merito ha argomentato e che, come tale, non è censurabile di fronte a questa Corte di cassazione. Va poi sottolineato che la semplice contraddittorietà presente nella motivazione della sentenza non è più motivo di ricorso per cassazione, essendo -a seguito della riforma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. -denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si concreta in contrasto irriducibile tra affermazioni, vizio non ravvisabile nel caso in esame (v. la pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 8038/2018).
Il terzo e quarto motivo sono strettamente connessi.
Il terzo motivo lamenta nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c.: la Corte d’appello ha deciso sull’inadempimento dell’impresa, giungendo a conclusioni esattamente opposte rispetto a quelle derivanti ‘dalla realtà fattuale’; la Corte ha trascurato la prova documentale, circa la causa giustificatrice della mancata ripresa dei lavori, costituita dall’inosservanza dell’ordine di servizio della ripresa dei lavori, ossia l’omessa ufficializzazione della nomina del nuovo direttore lavori presso l’ufficio del RAGIONE_SOCIALE; dalla consulenza tecnica d’ufficio erano inoltre emersa l’intempestività, l’improponibilità e l’illegittimità del suddetto ordine di servizio; nulla
poi la sentenza impugnata ha statuito in ordine alla richiesta di prova orale riproposta in appello dal ricorrente.
b) Il quarto motivo lamenta omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non avere il giudice d’appello ‘speso un rigo di motivazione riguardo alla mancata comunicazione agli uffici competenti dei nominativi dei nuovi tecnici del Condominio’; la Corte d’appello ha omesso ogni spiegazione circa la sua posizione contraria a quella espressa in proposito dal Tribunale che aveva giudicati illegittimi gli ordini del nuovo tecnico del Condominio.
I motivi non possono essere accolti. Il ricorrente contesta la valutazione delle risultanze probatorie da parte della Corte d’appello, valutazione che, come si è detto nell’esaminare il precedente motivo, spettava alla Corte d’appello compiere, né appare decisivo il fatto della mancata ufficializzazione della nomina del nuovo direttore dei lavori presso l’ufficio del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, trattandosi nel caso in esame di rapporti tra il committente e l’impresa appaltatrice. La Corte d’appello ha espressamente considerato la valutazione operata dal consulente d’ufficio dell’ordine di servizio, ma ha ritenuto, sulla base della sua posizione di peritus peritorum di discostarsene in parte con compiuta motivazione (vedere pag. 6 della sentenza impugnata). Quanto all’ultimo profilo del terzo motivo, ossia la mancata statuizione sulla richiesta di prova orale, riproposta in appello, si tratta di questione estranea alla violazione dell’art. 115 c.p.c.
4. Il quinto motivo lamenta violazione degli artt. 1460 e 1671 c.c.: ove non vengano accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo, va comunque sottolineato che la normativa da applicare non era la risoluzione per responsabilità di una delle parti, ma la disciplina dell’art. 1671, unitamente a quella dell’art. 1460 c.c.; la Corte d’appello ha confermato che, mancando qualsiasi pagamento in favore dell’impresa, era legittima la sospensione dei lavori da parte della stessa, ha quindi ritenuto il Condominio inadempiente, così
che la manifestazione di volontà del Condominio di sciogliersi dal rapporto andava qualificata come recesso del committente, con applicazione dell’art. 1671 c.c.
Il motivo non può essere accolto. Il ricorrente, che aveva chiesto in primo grado di pronunciare la risoluzione del contratto per mancato adempimento della diffida ad adempiere al pagamento e, in via subordinata, per grave inadempimento del committente, contesta la mancata considerazione da parte della Corte d’appello della legittima sospensione dei lavori da parte dell’impresa. In realtà la Corte d’appello ha considerato tale inadempimento, ma ha puntualizzato come il nuovo direttore dei lavori avesse emesso uno stato di avanzamento lavori per euro 71.506,58, che però l’impresa si era rifiutata di sottoscrivere in quanto riteneva che il libretto delle misure non fosse stato compilato nel contraddittorio con la stessa impresa e con il precedente direttore dei lavori. Il ricorrente non considera poi che la Corte d’appello ha ritenuto legittimo l’esercizio della facoltà di recesso dal contratto da parte del committente a norma dell’art. 28 del contratto medesimo, disciplina rispetto alla quale il ricorrente si limita a dire che l’articolo, ‘al di là del nome attribuitogli, concerne un caso di scioglimento per responsabilità dell’impresa, giammai riconducibile al vero svolgimento dei fatti’.
Il sesto motivo lamenta violazione dell’art. 4 del d.m. n. 127/2004, deducendo che dall’invocata cassazione della sentenza impugnata dovrà derivare il successivo accoglimento dell’appello incidentale.
Non si tratta di una censura nei confronti della sentenza impugnata, ma dell’auspicata riforma della stessa con nuova quantificazione delle spese di lite.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va decisa nel merito disponendo l’attribuzione in
favore del ricorrente dell’ulteriore somma a titolo di danno da svalutazione monetaria così come previsto dalla sentenza di primo grado.
Quanto alle spese di lite, va confermata la compensazione delle spese dei due gradi di merito operata dal giudice d’appello; per il presente giudizio le spese vanno compensate per un terzo, ponendo il resto a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigettati i restanti motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito dispone l’attribuzione in favore di NOME COGNOME dell’ulteriore danno da svalutazione monetaria, da calcolarsi sulla base dell’eventuale differenza del tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi (o tra il tasso di inflazione se superiore) e il saggio degli interessi legali; compensa le spese dei due gradi di merito; compensa per un terzo le spese del presente giudizio e condanna il ricorrente al pagamento delle spese restanti in favore del controricorrente, che liquida in euro 4.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda