Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1991 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1991 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18433-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. 18433/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 20/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 184/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO depositata il 10/04/2018 R.G.N. 204/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
con sentenza del 10 aprile 2018 la Corte d’appello di Catanzaro confermava la decisione del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda di NOME COGNOME tesa a ottenere la condanna della Regione Calabria al risarcimento del danno patito in conseguenza della mancata corresponsione, a decorrere dal 1.4.2012, dell’incentivo economico di cui all’art. 13 legge reg. Calabria n. 34/2012 (in misura di €. 174.596,20) ovve ro, in subordine, del danno patrimoniale, quantificato in egual misura, collegato al ritardo nell’esame dell’istanza di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro;
la Corte territoriale escludeva l’esistenza di un diritto soggettivo alla risoluzione anticipata del rapporto e al connesso incentivo economico in mancanza di accettazione della Regione; pur nell’affermazione della sindacabilità giurisdizionale dell’operat o dell’amministrazione, escludeva si fosse verificata una violazione delle regole di buona fede e correttezza da parte della Regione, la quale, nel ritenere precluso l’accoglimento dell’istanza di risoluzione anticipata del rapporto sia per il disposto de ll’art. 24 d.l. n. 201/2011 sia per la norma contenuta nella legge di conversione n. 14/2012 (art. 6, comma 2ter), non era incorsa in errore ‘macroscopico’, stante il quadro di obiettiva incertezza normativa;
né la denunciata violazione dei tempi procedimentali di cui all’art. 21 legge reg. Calabria n. 19/2001 poteva integrare un fatto generatore di danno, dovendosi scrutinare la condotta dell’amministrazione in termini di atto di gestione del rapporto di lavoro e non con i diversi canoni che sovrintendono l’esercizio dei pubblici poteri;
in ordine all’illegittimo rifiuto di applicazione dell’art. 13 legge n. 34/2010 (come novellato dall’art. 1, comma 2, legge reg. n. 24/2012), la Corte osservava che, nel momento in cui la novella era entrata in vigore, il rapporto era già cessato per dimissioni della lavoratrice, accettate dalla Regione con decorrenza 29.5.2012, sicché nessun effetto poteva avere «la conferma dell’istanza di risoluzione anticipata comunicata dalla COGNOME il 13.7.2012»;
quanto infine all’ulteriore domanda (subordinata) di risarcimento del danno da ritardo nell’esame della pratica, la Corte calabrese evidenziava che il tempo impiegato era dipeso dall’incertezza del quadro normativo ed aggiungeva che il danno lamentato (i.e. mancata percezione dell’incentivo all’esodo) non era collegato alla circostanza che la Regione avesse comunicato la reiezione dell’istanza solo il 2.4.2012, perché il diritto all’incentivo poteva maturare con la conclusione dell’accordo risolutorio, sicché il dipendente non poteva rivendicarlo a seguito di una risposta datoriale tardiva; esente da censure era (infine) la regolamentazione sulle spese compiuta dal primo giudice in osservanza della regola della soccombenza;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a sei motivi, cui si oppone con controricorso la Regione; entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si deduce (art. 360 nn. 3-4 cod. proc. civ.) la violazione dell’art. 13 legge reg. Calabria n. 34/2010, vigente al 31.3.2012, e dell’art. 113 comma 1 cod. proc. civ., in riferimento alla qualificazione giuridica della posizione soggettiva della dipendente nonché la violazione degli artt. 132 n. 4 cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ.; si lamenta che la Corte di merito non si sarebbe avveduta che il diniego di accoglimento dell’istanza di risoluzione anticipata del rapporto, presentata il 24.10.2011, non era stato fondato sui tassativi parametri normativi (non sussistendo l’impedimento di cui all’art. 24 comma 14 d.l. 6.12.2011, n. 201) che soli potevano ostacolare il soddisfacimento della posizione giuridica soggettiva della dipendente ed osserva che il giudice d’appello non avrebbe affatto motivato su tale punto decisivo;
con il secondo mezzo si deduce (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione degli artt. 13 legge reg. Calabria n. 34/2010, 1173, 1175, 1176, 1375, 1218 e 1223 cod. civ. nonché 40, 41 e 42 cod. pen., 115 e 116 cod. proc. civ., 63 comma 2 d.lgs. n. 165/2001 e 97 comma 2 Cost.; l’assunto della Corte di merito secondo cui l’interpretazione dell’art. 24 comma 14 lett. e) d.l. n. 201/2011 (laddove prevedeva disapplicarsi le ‘disposizioni contenute in leggi regionali recanti discipline analoghe a quelle dell’istituto dell’esonero dal servizio’) non era frutto di errore grossolano, trascurava però di valorizzare l’elemento soggettivo della condotta dell’amministrazione, da qualificare in termini di dolo eventuale o colpa cosciente, essendo evidente che la Regione allorché aveva respinto la domanda di risoluzione anticipata del rapporto in data 19.3.2012, prima ancora che pervenisse (in data 11.5.2012) il parere del dipartimento della funzione pubblica, non era certa di operare secundum legem , anche
perché i dubbi interpretativi erano stati dissipati dalla nota 18.1.2012 e dalla diffida del 7.3.2012 alla dirigente del Dipartimento organizzazione del personale inviate dalla RAGIONE_SOCIALE;
con il terzo motivo si deduce (art. 360 nn. 3-4 cod. proc. civ.) violazione degli artt. 115, 132 cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ., 111 comma 6 Cost., per avere la Corte d’appello omesso di motivare su circostanze gravi e su fatti storici decisivi, non contestati, meglio illustrati nell’informativa di polizia giudiziaria 4.9.2013, prot. n. 195/13, prodotto all’udienza del 21.5.2015, da cui emergeva che i responsabili dei procedimenti di risoluzione anticipata ex art. 13 legge reg. n. 34/2010 attendevano modifiche legislative che avrebbero potuto favorirli che avrebbero consentito loro di fruire dei benefici più consistenti;
con il quarto mezzo si denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione degli artt. 21 legge reg. Calabria n. 19/2001, 16 commi 1-3 legge n. 241/1990, 2727 e 2729 cod. civ., 115-116 cod. proc. civ. e 97 comma 2 Cost., per avere la Corte distrettuale ignorato la violazione dei tempi procedimentali che avrebbero potuto essere sospesi per un parere obbligatorio ma solo per gg. 20, con obbligo di concludere il procedimento allo spirare del termine; errato era il rilievo che la violazione dei tempi procedimentali non avesse autonoma rilevanza per la natura paritetica degli atti di gestione del rapporto, trattandosi di atti di macroorganizzazione nel rispetto dei principi generali in materia di procedimento amministrativo; la sentenza era inficiata anche da travisamento del contenuto della deliberazione della Conferenza delle Regioni del 15.3.2012 e da illogicità della motivazione;
con il quinto mezzo si deduce, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 13 legge reg. Calabria n. 34/2010 e dell’art. 21 legge reg. Calabria n. 19/2001, degli artt. 1173, 1175, 1176, 1218 e 1223 cod.
civ., per avere la sentenza impugnata rigettato la domanda, subordinata, da ritardo nella conclusione della pratica amministrativa sorvolando sulla tempistica del procedimento che avrebbe dovuto chiudersi in anticipo rispetto alla ‘prima finestra’ del 1.4. 2012; infine, la Corte aveva rigettato la domanda sull’an senza considerare che sul quantum debeatur non v’era contestazione fra le parti, donde la riproposizione della relativa domanda;
con il sesto, ed ultimo, motivo si lamenta la violazione degli artt. 91-92 cod. proc. civ. per avere la Corte distrettuale omesso di motivare sull’esistenza delle ‘gravi ed eccezionali ragioni’ ex art. 92 cod. proc. civ. per la compensazione delle spese del giudizio di primo grado;
va preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso per omesso deposito della copia autentica della relata e del messaggio PEC collegati alla sentenza notificata, risultando ex actis sia la notifica a mezzo PEC del 16.4.2018 sia le relative attestazioni di conformità (v. doc. 4.1 del fascicoletto ex art. 369 comma 2 n. 4 cod. proc. civ.);
ciò posto, il primo, il secondo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente perché fra loro connessi, sono fondati;
il giudice d’appello rileva che il risarcimento del danno presuppone la violazione delle regole di buona fede e correttezza, violazione che qui, invece, non sarebbe configurabile in mancanza di un errore giuridico grossolano («in definitiva, ritiene la Corte che l’errore in cui è incorsa la Regione, in quanto privo del denunciato carattere macroscopico, non assume il valore di dato sintomatico della violazione dei canoni di buona fede e correttezza nella fase di formazione dell’accordo risolutorio» ; ed ancora: «l’avere la
Regione opinato che la legge n. 34 cit. fosse inclusa nel novero delle disposizioni disapplicate per effetto dell’art. 24 co. 14 lett. e, in quanto analoga alla disciplina sull’esonero, non appare il risultato di un errore talmente grossolano»: così a pag. 8, lett. A1, della sentenza impugnata) nella reiezione dell’istanza di risoluzione anticipata del rapporto di impiego;
10. la Corte distrettuale aggiunge, in altro passaggio della sentenza, che all’errore dell’amministrazione, pur riscontrato, non si erano accompagnati comportamenti «illeciti per essere contrari alle regole di condotta che la PA è tenuta a rispettare in ossequio ai principi generali di buona fede e correttezza», tali non potendo ritenersi «le denunciate inosservanze delle procedure stabilite nell’art. 21 della legge reg. n. 19/2021 in materia di procedimenti amministrativi quanto alla modalità di sospensione, nonché all’individuazione degli organi con funzioni consultive, per l’assorbente considerazione che in tema di rapporto di lavoro privatizzato gli a tti posti in essere dall’amministrazione devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i datori di lavoro privati» (così alle pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata);
11. senonché, così argomentando, il giudice d’appello non si avvede, da un lato, che il ritardo rispetto alle tempistiche procedimentali può venire in considerazione nel lavoro pubblico contrattualizzato proprio come violazione delle regole di buona fede e correttezza, e quindi dell’art. 97 Cost., sempre che sia provata almeno la colpa dell’amministrazione come datrice di lavoro;
12. dall’altro lato, non considera che intanto l’amministrazione avrebbe potuto negare la pretesa alla risoluzione anticipata del rapporto in quanto fossero state ravvisate le condizioni tassative indicate dalla legge regionale n. 34/2010, cit., ossia esigenze ostative di natura
organizzativa, ragioni finanziarie o vincoli della normativa nazionale (v. art. 13 comma 4 legge reg. n. 34/2010); ipotesi nella specie non riscontrate da parte della Corte d’appello, che parla piuttosto esplicitamente (a pag. 8 della sentenza) di una valutazione in termini di reiezione dell’istanza di risoluzione anticipata del rapporto comunque erronea;
13. la sentenza impugnata si è discostata, quindi, dai principi tracciati da questa Corte in tema di accertamento di colpevoli ritardi del datore di lavoro pubblico, essendosi più volte precisato che il ritardo della PA, se non sotto l’aspetto dell’applicazion e dei principi e delle regole proprie dei procedimenti amministrativi e, in particolare, delle disposizioni dettate dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (vedi, per tutte: Cass., Sez. L, 2603 del 2.2.2018; Cass., Sez. U, 14 ottobre 2009, n. 21744; Cass., Sez. L, 18 febbraio 2005, n. 3360; Cass., Sez. L, 24 ottobre 2008, n. 25761), rileva comunque in termini di violazione delle regole di buona fede, sempre che sia provato, se non il dolo, quanto meno la colpa della PA quale datrice di lavoro (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 1399 del 20/01/2009; Cass., Sez. L, Sentenza n. 2542 del 30/01/2009);
14. il dictum del giudice d’appello contrasta altresì con l’ulteriore principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di pubblico impiego l’illegittimo diniego di una situazione di vantaggio, ancorché non qualificabile come diritto soggettivo ma in termini di interesse legittimo tutelabile ai sensi dell’art. 2907 cod. civ., comporta il diritto del dipendente al risarcimento del danno per perdita di chances , diritto che va riconosciuto, come entità patrimoniale a sé stante, ove (beninteso) sussista la prova di una concreta ed effettiva occasione perduta; il danno, in tal caso, va liquidato in via equitativa,
tenuto conto del grado di probabilità e della natura di danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo (cfr. Cass., Sez. L, n. 6016 del 28.2.2023; Cass., Sez. L, n. 1884 del 21 gennaio 2022);
tanto basta (or dunque) per l’accoglimento del primo, secondo e quarto motivo, sicché la decisione impugnata, non immune dalle censure in diritto sollevate nei richiamati motivi di ricorso, dev’essere in parte qua cassata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, che si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati;
il terzo motivo sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge deduce, in realtà, un vizio di omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione, ascrivibile al vizio dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.;
senonché la censura, là dove è sostanzialmente formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. non si appalesa conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5, come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012 ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della ‘doppia conforme’ sul punto contestato ai sensi dell’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a ) del medesimo d.l. n. 83/2012 ed applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge; segue, pertanto, l’inammissibilità del motivo;
il quinto motivo, perché afferente alla domanda subordinata, e il sesto, riguardante il capo relativo alla regolamentazione delle spese di lite, restano (infine) assorbiti per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi e del quarto;
19. in conclusione, devono essere accolti il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, con declaratoria di inammissibilità del terzo e assorbimento del quinto e sesto motivo; la sentenza impugnata va conseguentemente cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, che si conformerà ai principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo, secondo e quarto, dichiara inammissibile il terzo ed assorbiti il quinto e il sesto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre