Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23151 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23151 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
1.La Corte di appello di Bologna con la sentenza n. 716/2020 ha accolto l’appello proposto dalla Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna avverso la decisione con cui il Tribunale di Rimini aveva dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati dalla Azienda con RAGIONE_SOCIALE ed ha condannato la stessa datrice di lavoro al risarcimento del danno subito quantificato, ai sensi dell’ art. 32 co.5 l.n. 183/2010, in una somma pari ad undici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale, sulla base del criterio della ragione più liquida, ha ritenuto che l’intervenuta stabilizzazione della dipendente esaurisse ogni pretesa risarcitoria in quanto interamente satisfattiva del bene primario richiesto e dell’azione esercitata e quindi l’aveva giudicata idonea a sanzionare l’abuso nella reiterazione dei contratti a termine.
Avverso detta statuizione NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
L’Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 99 cod. proc. civ. (art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.), per vizio di ultrapetizione della pronuncia.
Con tale motivo parte ricorrente lamenta la valutazione di una circostanza, quale l’intervenuta stabilizzazione, successiva al deposito della sentenza e quindi estranea alla materia del contendere ed al contraddittorio instauratosi tra le parti.
2. La censura è infondata.
Deve infatti rammentarsi il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la stabilizzazione opera come fatto modificativo del diritto al risarcimento del danno da illegittima reiterazione del contratto a termine ed impedisce, al soggetto che agisce, di rivendicare il «danno comunitario» nei termini indicati dal richiamato arresto delle Sezioni Unite, resosi necessario al fine di assicurare la doverosa conformazione del diritto nazionale ai principi dell’ordinamento eurounitario; si è dunque affermato che a tale eccezione in senso lato si applicano le relative regole di rito ed opera, pertanto, il principio secondo cui tale eccezione può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, purché sulla base delle allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo; nelle controversie soggette al rito del lavoro, anche all’esito dell’esercizio dei poteri istruttori di cui all’art. 421, comma 2, cod. proc. civ., legittimamente esercitabili dal giudice, tenuto all’accertamento della verità dei fatti rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 24286/2022, la quale ha richiamato Cass. n. 22371/2021; Cass. n. 25434/2019 e Cass. n. 14755/2018).
3. Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto l’insussistenza del danno c.d. “comunitario” in applicazione di principi validi solo con riguardo al comparto scuola.
4. La censura è fondata, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 961/2021; Cass. n. 962/2021 e Cass. n. 963, rese in fattispecie analoghe).
Questa Corte ha già riconosciuto (Cass. n. 15353/20) che la avvenuta immissione in ruolo del lavoratore è idonea a reintegrare il danno derivante dall ‘ abuso del contratto a termine; tale principio è stato enunciato tanto nell’esaminare la speciale disciplina dei contratti a termine nel settore della scuola (secondo una costante giurisprudenza, che ha preso avvio dalle sentenze dalla n. 22552 alla n. 22557/2016 ed è stata da ultimo ribadita da Cass. 12/02/2020, n.3472) quanto, più in generale, nell ‘ ipotesi di intervenuta
stabilizzazione del personale precario (Cass. 03/07/2017, n.16336, relativa alla stabilizzazione ex articolo 1, comma 519, legge 296/2006, cui aveva dato corso il Ministero della Giustizia).
Si è ulteriormente precisato che “nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato nel pubblico impiego privatizzato, la successiva immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’abuso solo se ricollegabile alla successione dei contratti a termine con rapporto di causa-effetto, il che si verifica quando l’assunzione a tempo indeterminato avvenga o in forza di specifiche previsioni legislative di stabilizzazione del personale precario vittima dell’abuso o attraverso percorsi espressamente riservati a detto personale” (Cass. n. 15353/20).
Cass. n. 14815/2021 ha affermato che «Nel lavoro pubblico privatizzato, nelle ipotesi di abusiva successione di contratti a termine, la avvenuta immissione in ruolo del lavoratore già impiegato a tempo determinato ha efficacia riparatoria dell’illecito nelle sole ipotesi di stretta correlazione tra l’abuso commesso dalla amministrazione e la stabilizzazione ottenuta dal dipendente. Detta stretta correlazione presuppone, sotto il profilo soggettivo, che la stabilizzazione avvenga nei ruoli dell’ente pubblico che ha posto in essere la condotta abusiva e, sotto il profilo oggettivo, che essa sia l’effetto diretto ed immediato dell’abuso. Tale ultima condizione non ricorre quando l’assunzione a tempo indeterminato avvenga all’esito di una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine».
A ll’enunciazione del principio di diritto nei termini sopra trascritti questa Corte è pervenuta dopo avere evidenziato, in motivazione, che il rapporto di causa-effetto fra abuso ed assunzione, già valorizzato da Cass. n. 15353/2020, richiede che l’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato sia stata «determinata» e non semplicemente «agevolata» dalla successione dei contratti a termine e, pertanto, è stato escluso che l’indizione di un concorso riservato agli assunti a tempo determinato, totalmente o per una quota, possa essere ritenuta misura idonea a sanzionare l’abuso, atteso che in tal caso «l’abuso opera come mero antecedente (remoto) della assunzione ed offre al dipendente
precario una mera chance di assunzione, chance la cui valenza riparatoria è stata esclusa da questa Corte sin dalle sentenze del 18 ottobre 2016 sui precari della scuola.».
Si è ulteriormente precisato che il rapporto diretto ed immediato fra reiterazione del contratto a termine ed assunzione a tempo indeterminato è ravvisabile solo qualora quest’ultima avvenga « per effetto automatico della reiterazione dei contratti a termine – come accadeva nel settore scolastico in virtù dell’avanzamento nelle graduatorie ad esaurimento- o, comunque, all’esito di procedure riservate ai dipendenti reiteratamente assunti a termine e bandite allo specifico fine di superare il precariato, che offrano già ex ante una ragionevole certezza di stabilizzazione (anche se attraverso blande procedure selettive), come nelle ipotesi del piano straordinario di assunzioni del personale docente ex lege nr. 107/2015 e delle procedure avviate ex lege nr. 296/2006, articolo 1, comma 519 ».
I principi enunciati richiedono, per una mirata applicazione, una valutazione concreta della singola fattispecie diretta ad accertare se la assunzione seguita ad una reiterata stipulazione di contratti a termine sia ad essi ricollegabile in un rapporto di causa/effetto, con la specifica individuazione di quale sia stato il procedimento (previsione di legge, concorso per titoli specifici, selezione riservata) che abbia consentito la immissione in ruolo del lavoratore proprio in ragione dei pregressi contratti a termine.
Una siffatta valutazione, da compiersi con accertamento del giudice del merito sulla base degli enunciati principi, non risulta essere stata effettuata nel caso in esame.
Il terzo motivo, con cui è dedotta la violazione dell’art. 91 e segg. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello compensato le spese del doppio grado del giudizio, deve pertanto ritenersi assorbito.
In conclusione, il secondo motivo di censura va accolto, il primo motivo va rigettato, assorbito il terzo; la sentenza impugnata va pertanto cassata riguardo al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Bologna perché giudichi se la stabilizzazione in questione abbia costituito, in base ai principi evidenziati,
misura reintegratoria e satisfattiva del danno determinato dalla reiterazione dei contratti a termine, e provveda altresì al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata riguardo al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della