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Danno da perdita di chance: come si calcola il risarcimento

Una lavoratrice socialmente utile, esclusa da una procedura di stabilizzazione a causa di un’illegittima sospensione dalle liste, ha chiesto il risarcimento del danno. La Corte d’Appello le ha riconosciuto l’intero importo delle retribuzioni mancate. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del Ministero, ha chiarito che il risarcimento per il danno da perdita di chance non può coincidere con il vantaggio totale sperato. Deve, invece, essere calcolato quantificando il vantaggio economico potenziale e poi riducendolo in base alla probabilità statistica che la lavoratrice aveva di ottenere la stabilizzazione. La sentenza è stata cassata con rinvio per un nuovo calcolo.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da perdita di chance: la guida completa al risarcimento

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’analisi fondamentale su come calcolare il danno da perdita di chance, un concetto cruciale nel diritto del lavoro e non solo. Quando un lavoratore perde non un diritto certo, ma la concreta possibilità di ottenere un vantaggio, come si quantifica il risarcimento? La Suprema Corte traccia una linea netta tra la perdita di una certezza e quella di una probabilità, stabilendo criteri precisi per la liquidazione del danno. Questo intervento chiarisce un errore comune commesso nei gradi di merito e fornisce una guida per casi futuri.

I fatti del caso: l’esclusione dalla stabilizzazione

Una lavoratrice socialmente utile (LSU) aveva agito in giudizio contro il Ministero competente per ottenere un risarcimento. A causa di un provvedimento di sospensione dalle liste di mobilità, poi dichiarato illegittimo, era stata esclusa da una procedura di stabilizzazione che avrebbe potuto portarla a un’assunzione a tempo indeterminato. La lavoratrice quantificava il danno nell’intero ammontare delle retribuzioni e dei contributi che avrebbe percepito se fosse stata assunta, dal momento della stabilizzazione dei suoi colleghi fino al suo pensionamento.

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda. La Corte d’Appello, invece, aveva riformato la sentenza, condannando il Ministero a pagare l’intera somma richiesta dalla lavoratrice, qualificando il danno come danno da perdita di chance ma liquidandolo come se la stabilizzazione fosse un evento certo.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Ministero, ma solo per quanto riguarda il criterio di quantificazione del danno. Ha rigettato i motivi preliminari con cui si contestava che la domanda fosse stata introdotta solo in appello, chiarendo che la richiesta di risarcimento per mancata stabilizzazione, nel contesto descritto, andava interpretata fin dall’inizio come una domanda per perdita di chance.

Il punto centrale della decisione è la cassazione della sentenza d’appello con rinvio a un’altra sezione della stessa Corte. Il motivo? L’errata liquidazione del danno. La Cassazione ha stabilito che la Corte territoriale, pur avendo correttamente identificato il danno come perdita di chance, ha sbagliato a liquidarlo in misura pari al 100% del vantaggio economico sperato.

Le motivazioni: distinguere tra chance e certezza nel danno da perdita di chance

Le motivazioni della Corte sono un vero e proprio trattato sulla natura e la liquidazione del danno da perdita di chance. La Suprema Corte ribadisce che risarcire la perdita di una possibilità non è la stessa cosa che risarcire la perdita di un diritto certo. L’errore del giudice d’appello è stato proprio questo: ha trattato la possibilità di essere stabilizzata come una certezza, condannando il Ministero al pagamento di tutte le retribuzioni mancate.

Il nesso causale e il criterio del “più probabile che non”

La Corte chiarisce che per accertare il diritto al risarcimento, il giudice deve prima verificare il nesso causale tra la condotta illegittima (la sospensione dalle liste) e la perdita dell’opportunità. Questo accertamento avviene secondo il criterio del “più probabile che non”: è sufficiente dimostrare che, con una probabilità superiore al 50%, senza quella condotta illecita la lavoratrice avrebbe potuto partecipare alla procedura di stabilizzazione.

L’errore nel calcolo del risarcimento del danno

Una volta accertato il nesso causale, si passa alla fase della liquidazione. Ed è qui che la Corte d’Appello ha commesso l’errore. Il risarcimento per la perdita di una chance non può essere uguale al beneficio finale che si sarebbe ottenuto. Deve essere calcolato in due passaggi:
1. Quantificazione del vantaggio potenziale: Si calcola il valore economico totale del bene della vita perduto (in questo caso, le retribuzioni e i contributi fino alla pensione).
2. Applicazione di un coefficiente di probabilità: L’importo totale viene ridotto applicando un coefficiente percentuale che rappresenta la probabilità effettiva che la lavoratrice aveva di vincere la selezione e ottenere la stabilizzazione. Se, per esempio, le sue probabilità erano del 60%, il risarcimento sarà il 60% del vantaggio totale.

La Corte territoriale non ha compiuto questo secondo passaggio, e per questo la sua sentenza è stata cassata.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza è di fondamentale importanza pratica. Stabilisce un principio chiaro: chi subisce un danno da perdita di chance ha diritto a un risarcimento, ma questo deve essere equo e proporzionato alla reale possibilità perduta. Non si può risarcire un’incertezza come se fosse una certezza. La decisione impone ai giudici di merito un’analisi più rigorosa, che non si fermi all’accertamento della condotta illecita, ma che proceda a una valutazione prognostica e statistica delle effettive possibilità di successo che il danneggiato aveva. Per i lavoratori e i loro legali, significa dover argomentare e provare non solo di aver perso un’opportunità, ma anche di quantificare il grado di probabilità di successo di tale opportunità.

Qual è la differenza tra danno da perdita di un diritto e danno da perdita di chance?
Il danno da perdita di un diritto si riferisce alla lesione di un risultato certo o quasi certo. Il danno da perdita di chance, invece, riguarda la perdita di una possibilità concreta e apprezzabile di ottenere un risultato favorevole. La conseguenza è che il risarcimento per la chance è parametrato alla probabilità di successo perduta, non al valore totale del risultato sperato.

Come deve essere calcolato correttamente il risarcimento per il danno da perdita di chance?
Il calcolo avviene in due fasi. Prima si quantifica il vantaggio economico totale che si sarebbe ottenuto se la chance si fosse concretizzata (es. tutte le retribuzioni mancate). Successivamente, questo importo viene ridotto applicando una percentuale che esprime il grado di probabilità (es. statistica) che il soggetto aveva di ottenere quel risultato. Il risarcimento finale è quindi una frazione del vantaggio totale.

Una domanda di risarcimento per mancata assunzione può essere considerata una domanda per perdita di chance?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che, analizzando il contesto e le allegazioni, una domanda volta a risarcire il danno per una mancata stabilizzazione, causata dall’impossibilità di partecipare alla procedura, deve essere interpretata come una richiesta di risarcimento per la perdita della chance di partecipare e vincere, anche se non esplicitamente formulata in questi termini nell’atto iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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