Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30521 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30521 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2220/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in proprio e quale erede del marito COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME E COGNOME NOME quali procuratori generali di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME
NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO C/O DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati- avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 657/2021 depositata il 09/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in proprio e quale erede del marito NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di procuratori generali di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME
COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME, quali proprietari di appartamenti del condominio sito in INDIRIZZO INDIRIZZO citarono in giudizio NOME COGNOME per far accertare di essere comproprietari dei terreni, occupati dal predetto, censiti al NCT comune di Lavagna fg. 10, mapp. 974, 1067, 1060 e 1061, per ottenere la condanna al rilascio nonché il risarcimento del danno sofferto.
Fu evidenziato che tali fondi erano stati oggetto di decreti di esproprio del 28 aprile 1993 e 21 dicembre 1994 a favore del comune di Lavagna, in attuazione del piano di edilizia economica popolare approvato con le delibere n. 165/81 e n. 92/82 del consiglio comunale. Per la procedura espropriativa era stata delegata la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, alla quale erano state trasferite, in vista della futura espropriazione, le proprietà immobiliari ricomprese nel relativo piano espropriativo tra cui dovevano ricomprendersi i terreni in esame. La RAGIONE_SOCIALE, divenuta proprietaria, aveva poi trasferito ai soci, ossia gli attuali controricorrenti, i relativi diritti di proprietà.
Nonostante l’avvenuto trasferimento della proprietà, NOME COGNOME, precedente proprietario dei terreni di cui è causa, aveva continuato ad occuparli e ad esercitarvi l’attività di campeggio.
4.Il giudice di prime cure, accolse la domanda, ritenendo dimostrato, in forza della documentazione prodotta, che gli odierni
contro
ricorrenti fossero divenuti proprietari dei terreni ed accolse, parzialmente, la domanda di risarcimento per abusiva occupazione dei terreni, da liquidarsi per il solo periodo di 5 anni prima della domanda, essendo per il resto prescritta.
5.La decisione venne impugnata in via principale da NOME COGNOME, in qualità di erede di NOME COGNOME, ed in via incidentale dai suindicati condomini.
Per quel che rileva in questa sede va evidenziato che l’appello era teso:
a contestare la legittimazione dei controricorrenti a formulare domanda di rivendica non essendosi concluso il procedimento espropriativo.
a negare l’esistenza del danno da illegittima occupazione, in quanto non provato e ad escludere la responsabilità di NOME COGNOME per il periodo in cui i terreni erano stati ceduti alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Genova ha confermato sostanzialmente la decisione di prime cure, modificando l’entità del risarcimento dovuto, essendo stata acclarata, a seguito di CTU la reale consistenza del terreno occupato. In particolare, il giudice ha osservato, alla luce della motivazione del Tribunale ( che aveva riconosciuto l’avvenuto passaggio di proprietà in favore degli odierni controricorrenti in considerazione della documentazione prodotta comprovante l’attuazione del piano di edilizia economica popolare), che NOME COGNOME, nel contestare la pronuncia di prime cure, non si era confrontata criticamente con la ratio decidendi limitandosi a riproporre una tesi già proposta in primo grado. Sicché il motivo di appello era inammissibile perché totalmente avulso da quanto affermato nella sentenza.
5.1. Ad abundantiam , è stato aggiunto che la censura sarebbe stata comunque infondata poiché ove si fosse potuta ipotizzare una retrocessione parziale dei terreni, a tal fine sarebbe stato, comunque, necessario, ex art. 60 del r.d. n. 2359 del 1865, un atto amministrativo, non presente nella specie, dichiarativo della inservibilità dell’opera. Tale accertamento sarebbe stato, inoltre, di competenza del giudice amministrativo.
Circa la pretesa insussistenza del danno, la Corte d’appello, nel respingere il ricorso e confermare la decisione di primo grado, ha analizzato entrambi gli orientamenti di legittimità esistenti all’epoca della presentazione dell’appello in punto di danno da occupazione abusiva, giungendo, seguendone entrambi i percorsi, a ritenere che nella specie fossero sussistenti i presupposti, avendo i ricorrenti allegato il danno ed essendo lo stesso sussistente anche alla luce di presunzioni in considerazione della protrazione dell’uso dei predetti terreni, da parte dell’COGNOME, dei predetti terreni, per l’attività di campeggio.
7.La sentenza è impugnata con tre motivi, i controricorrenti resistono con controricorso. In data 2 febbraio 2024 è stata comunicata la proposta di definizione anticipata ed in data 22 marzo 2024 è stata formulata istanza di definizione.
In prossimità dell’adunanza è stata depositata memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va esclusa un’eventuale situazione di incompatibilità a comporre il collegio giudicante da parte del consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata del ricorso atteso.
Nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione, come avvenuto nella specie, può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (v., Cass., Sez. Un., 10 aprile 2024, n. 9611).
Premesso quanto innanzi possono ora trattarsi i motivi di ricorso.
2.Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di norme ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonché omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. con riferimento agli artt. 948 e 2697 c.c. Con il suddetto motivo si contesta la decisione per aver ritenuto legittimati i controricorrenti a proporre la domanda sebbene non avessero provato l’avvenuto acquisto a titolo originario della proprietà dei terreni.
Al riguardo si osserva che il giudice di merito non avrebbe effettuato alcun accertamento circa la legittimazione degli attori e alla prova che gli stessi avrebbero fornito in merito alla sussistenza dell’acquisto a titolo originario.
3.Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. nonché omesso esame di un fatto discusso e decisivo, con riferimento agli artt. 2043, 2056 in relazione agli artt. 1223, 1226, 2697 c.c. e 115 c.p.c. Il giudice di merito avrebbe errato nel riconoscere la sussistenza del danno non essendo stato allegato o provato alcunché da parte dei controricorrenti.
4.Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226 e 2041 c.c. in relazione agli art. 360, comma 1m n. 3 e 5 c.p.c. per aver la Corte d’appello condannato per il periodo dal 2 aprile 2012 al 13 marzo 2014 sia RAGIONE_SOCIALE che NOME COGNOME, avendo quest’ultima cessato l’occupazione dei terreni in favore di RAGIONE_SOCIALE dal 2 aprile 2012.
5.Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere respinto.
Quanto al primo motivo, espunti i profili di inammissibilità in relazione alla censura ex 360 n. 5 c.p.c., essendosi al cospetto di una cd. doppia conforme (ex multis Cass. n. 37382/2022), i ricorrenti non si confrontano con la ratio della decisione.
Preliminarmente va osservato che la censura formulata in questa sede è, all’evidenza, differente da quella formulata al giudice di secondo grado, così come emergente dalla sentenza impugnata e dal ricorso stesso.
Alla Corte d’appello, infatti, era stato chiesto di riformare la decisione di prime cure perché gli odierni controricorrenti non avrebbero potuto considerarsi proprietari dei terreni per non essersi concluso il procedimento di espropriazione nel termine di dieci anni previsto dal piano particolareggiato laddove in questa
sede si censura la decisione per non aver verificato l’avvenuto acquisto a titolo originario.
Si tratta di censura nuova, e dunque, inammissibile.
Va, comunque, precisato che il giudice di merito ha respinto la censura formulata da NOME COGNOME, in ragione del fatto che non si confrontava con la ratio decidendi limitandosi a riprodurre le proprie ragioni, slegate dal contenuto della sentenza, ed ha chiarito, ad abundatiam il perché, nella specie, il procedimento di esproprio era da ritenersi concluso e, quindi, il perché i controricorrenti fossero legittimati.
A tal fine è stato ripercorso, e fatto proprio, l’iter decisionale del giudice di primo grado che aveva riconosciuto l’avvenuto passaggio di proprietà in favore dei controricorrenti facendo riferimento al verbale di collaudo n. NUMERO_DOCUMENTO (approvato dalla giunta comunale di Lavagna in data 22.7.2004) che dava dimostrazione dell’adempimento di tutti gli obblighi del piano di edilizia economica popolare da parte dell’ente espropriante.
A fronte di ciò lo stesso dante causa di NOME COGNOME, proponendo opposizione alla stima dell’indennità di esproprio aveva, peraltro, confermato il completamento della procedura ablativa e dunque il trasferimento della proprietà in favore dapprima del RAGIONE_SOCIALE, e poi, degli odierni controricorrenti.
E’ opportuno, quindi, in questa sede ricordare che l’espropriazione per pubblica utilità non è assimilabile a una vicenda negoziale, trattandosi di un atto autoritativo con cui l’amministrazione acquista la proprietà a titolo originario (alla data del decreto di esproprio secondo la legge del 1865, art. 50, comma 1, o alle condizioni previste nel t.u. del 2001, art. 23), con gli effetti che comportano l’estinzione automatica di tutti diritti
gravanti sul bene espropriato, da far valere unicamente sull’indennità ( pretium succedit in locum rei ), e «privano» il proprietario anche del possesso giuridico dei suoi beni, ex art. 834 c.c. (S.U. n. 651 del 2023).
In conclusione, la censura è respinta.
Espunta dai profili inammissibilità relativi alla censura di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., essendosi al cospetto di una cd. doppia conforme, anche la seconda doglianza è priva di pregio.
Com’è noto S.U. n. 33654 del 2022 ha statuito i seguenti principi:
1)In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale (S.U. n. 33645 del 2022).
In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l’onere di contestazione, la cui
inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l’onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno.
Quindi, in linea con la giurisprudenza di questa Sezione civile e poi in conformità ai principi stabiliti dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 33645/2022, il ‘danno’ da occupazione illegittima è da ritenersi ‘presunto’ (e, quindi, risarcibile ex se, discendendo fisiologicamente dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile), con conseguente inversione dell’onere probatorio nel senso che, una volta allegato dal proprietario il danno, è l’occupante abusivo a dover riscontrare che il proprietario non ha ricevuto alcun pregiudizio in relazione al possibile godimento del bene.
La decisione impugnata si è conformata ai principi di cui innanzi e, muovendo dalla circostanza secondo cui i controricorrenti avevano sostenuto che l’occupazione protratta nel tempo dalla famiglia COGNOME aveva impedito loro di locare i terreni per l’uso (attività di campeggio) che già ne veniva fatto, ha quantificato il pregiudizio subito per il mancato godimento facendo riferimento al valore locativo del terreno.
7.Anche la terza censura, in disparte l’inammissibilità dei profili attinenti alla violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. essendosi al cospetto di una cd. doppia conforme, è infondata.
Il giudice di merito ha ritenuto responsabile, correttamente, NOME COGNOME ex art. 2055 c.c. per il periodo nel quale i terreni erano occupati illegittimamente da RAGIONE_SOCIALE
Com’è noto l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, in coerenza con la funzione propria di tale istituto di rafforzare la garanzia del danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni od omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del medesimo evento di danno (Cass. n. 1842 del 2021).
La Corte d’appello ha riconosciuto la sussistenza della responsabilità solidale gravante su NOME individuando una logica interdipendenza tra la sua azione e l’occupazione successiva, atteso che ella ancorché ‘consapevole della altruità del bene’ lo aveva ceduto ad un terzo, così concorrendo alla causazione dell’ eventus damni ex art. 2055 c.c.
Ne consegue l’infondatezza della doglianza in punto di difetto di legittimazione.
Quanto all’ultimo profilo della censura, con il quale si denuncia la nullità della sentenza per essere la motivazione apparente, esso è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e
insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Nella specie la motivazione rispetta il «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, recando argomentazioni coerenti ed obbiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
8. Conclusivamente il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidate in ragione del valore di lite. Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, si applicano gli ultimi due commi dell’art.96 c.p.c., contenendo l’art.380 bis, ult. co. c.p.c. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di un’ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte (S.U. n. 27195, 27433, 36069 del 2023, e Cass. 27947/23), l’una come ulteriore aggravamento della condanna alle spese, l’altra con funzione prettamente sanzionatoria a favore della collettività.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna altresì le ricorrenti, ai sensi dell’art. 96 III e IV comma c.p.c., al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore dei controricorrenti ed al pagamento di euro 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME