Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33365 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7664/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME e domiciliati come da pec:
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato come da pec:
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33365 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1622/2022 depositata il 30/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/07/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
Il Tribunale di Termini Imerese, su domanda di NOME e NOME COGNOME, condannò NOME COGNOME al rilascio di due immobili siti al piano primo e terzo di un edificio in Altavilla Milicia perché detenuti sine titulo e al pagamento di somme, a titolo di indennità, per il mancato utilizzo degli stessi immobili e a titolo di spese necessarie per la pulizia, manutenzione e ripristino.
A seguito di appello di NOME COGNOME, la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 1622 del 30/9/2022, ha, in parte, confermato la sentenza di primo grado in relazione alla condanna al rilascio, in parte accolto il gravame, riformando la sentenza del Tribunale nel capo in cui aveva riconosciuto, per l’ipotesi di occupazione sine titulo degli immobili, un danno in re ipsa, derivante cioè dal semplice fatto della perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dalla natura fruttifera del medesimo, dichiarando di aderire all’orientamento più recente di questa Corte che esclude la risarcibilità del danno in re ipsa ed afferma la risarcibilità del danno-conseguenza che sia allegato e provato, e quindi di un danno anche punitivo purché previsto dalla legge ai sensi dell’art. 23 Cost. (Cass. S.U. n. 16601 del 2017). La corte territoriale ha ritenuto che la domanda risarcitoria dei COGNOME fosse carente, sotto il profilo probatorio, per non avere i medesimi dimostrato di aver avuto e perseguito concrete occasioni di mettere a frutto gli immobili, connotati da un grave stadio di degrado.
La corte territoriale ha altresì ritenuto fondata la doglianza relativa alla responsabilità del conduttore per lo stato di degrado degli immobili, osservando che, in assenza di prova di quali fossero le condizioni dei medesimi al momento dell’acquisto, non fosse possibile valutare l’incidenza che il ritardato rilascio aveva avuto sul prodursi o aggravarsi dello stato di degrado.
Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso – violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. -i ricorrenti lamentano che sia stata travisata la loro domanda, non volta, come ritenuto dalla corte, ad ottenere il risarcimento dei danni per il biennio successivo all’acquisto -dei quali il Paladino sarebbe stato tenuto a rispondere per non aver provveduto al tempestivo rilascio dell’immobile- ma il risarcimento dei danni senza limitazione temporale alcuna.
Ciò avrebbe dovuto desumersi dalla richiesta di CTU e dalle conclusioni formulate nell’atto introduttivo del giudizio con il quale era stato chiesto al Tribunale (atto di citazione pagg. 5 -. 6 , doc, n. 1 ,vol. III pag. 1).
Il motivo è inammissibile in quanto il riferimento alle conclusioni dell’atto di citazione che evoca a pag. 5 non evidenzia affatto che il danno per la spesa necessaria per la pulizia dell’immobile fosse stato chiesto con riferimento alle condizioni dell’immobile per come verificatesi al momento dell’acquisto.
Tra l’altro, poiché la legittimazione dei ricorrenti si verificò al momento dell’acquisto, è palese che, per far valere anche la situazione precedente, essi avrebbero dovuto invocare una sorta di trasferimento del diritto risarcitorio maturato in capo al loro dante causa, del quale, nelle richiamate conclusioni, non vi è alcuna traccia.
Ne consegue che la pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. è indimostrata ed il motivo è inidoneo allo scopo.
Con il secondo motivo di ricorso – violazione degli artt. 2697, 1470 e 2043 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. – si lamenta che la consegna degli immobili ai Parisi fosse stata solo simbolica e che il Paladino ne avesse sempre conservato la detenzione, sicché la corte d’appello non avrebbe dovuto limitare il danno risarcibile a quello che si sarebbe prodotto o aggravato nei due anni successivi alla vendita ma avrebbe dovuto indagare anche il periodo precedente. La corte avrebbe altresì violato l’art. 2697 c.c. nell’affermare che gli attori non avrebbero dimostrato quali fossero le condizioni degli immobili all’epoca della vendita, gravando invece sul Paladino l’onere di dimostrare di non essere responsabile del deterioramento dei medesimi dopo la vendita, dovendo altrimenti essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Quanto osservato a proposito del tenore delle conclusioni richiamate nel primo motivo rende inammissibile anche il secondo motivo, atteso che parte ricorrente continua ad omettere di indicare se e dove la domanda avesse compreso anche lo stato dell’immobile prima dell’acquisito. In ogni caso si osserva che il motivo, pur prospettando un vizio di sussunzione, in realtà si traduce nella contestazione dell’accertamento di fatto e nella evocazione di una rilettura alternativa dei fatti di causa, precluse al giudice di legittimità.
Con il terzo motivo – violazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118 bis disp. att. c.p.c., motivazione apparente e contraddittoria in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c. -i ricorrenti lamentano motivazione apparente per non avere la corte del merito basato il proprio convincimento sul materiale acquisito agli atti, e in ispecie sulle risultanze della CTU, ma su una congettura ipotetica relativa al biennio successivo alla vendita.
Il motivo, in disparte la circostanza che esso denuncia la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. sulla base di elementi tratti aliunde rispetto alla impugnata sentenza e, dunque, senza rispettare i principi indicati dalle Sezioni Unite nelle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, una volta consolidatasi la motivazione sulla mancata prova dello stato dell’immobile al
momento dell’acquisto (in conseguenza della sorte negativa dei primi due motivi), diventa comunque inammissibile perché censura una seconda motivazione alternativa e comunque enunciata in modo non decisivo.
Dalle su esposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna i ricorrenti alle spese in favore della parte controricorrente, che liquida in € 3000 (oltre € 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile