Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4804 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4804 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27361/2020 R.G. proposto da :
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti incidentali-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 978/2020 depositata il 26/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME COGNOME da un lato, e NOME e NOME COGNOME dall’altro lato, ricorrono, rispettivamente in via principale e in via incidentale condizionata, per la cassazione della sentenza n.978 della Corte di Appello di Palermo.
Con questa sentenza è stato dichiarato che le domande proposte da NOME e NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME per il rilascio di un immobile in Castellamare del Golfo, di proprietà degli attori e occupato senza titolo dalla convenuta, e per la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, erano state proposte con atto di citazione nullo con conseguente nullità di tutti gli atti del giudizio di primo grado e della sentenza favorevole agli attori, appellata dalla convenuta.
La Corte di Appello è poi passata all’esame della domanda di rilascio ed ha dichiarato tale domanda fondata essendo invece infondata la domanda riconvenzionale di usucapione svolta dalla convenuta. Ha ulteriormente dichiarato fondata la domanda di risarcimento danni, nei limiti di complessivi 45.448,26 euro, pari al canone locativo annuo moltiplicato per gli anni di occupazione; considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso principale, in relazione al fatto che la sentenza impugnata è stata resa dal collegio di cui è stato componente un giudice ausiliario, si propone l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 62-72 della legge 9 agosto 2013, n.98 in relazione agli artt. 3 e 25 e 106 e 111 Cost.;
il motivo è infondato alla luce della pronuncia n. 41 del 2021 della Corte Costituzionale con cui è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57). La Consulta ha specificato che le Corti di Appello possono continuare ad avvalersi legittimamente dei giudici ausiliari per ridurre l’arretrato fino a quando, entro la data del 31 ottobre 2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria, nel rispetto dei principi costituzionali. La Corte Costituzionale ha ritenuto necessario lasciare al legislatore un sufficiente lasso di tempo che ‘assicuri la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale’. Fino al 31 ottobre 2025, la ‘temporanea tollerabilità costituzionale’ dell’attuale assetto è volta -ha statuito la Cortead evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le Corti d’appello dell’apporto di questi giudici onorari per la riduzione dell’arretrato nelle cause civili;
3. con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 948 c.c. e dell’ art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello qualificato la domanda di NOME e NOME COGNOME come domanda personale, fondata sul venir meno del titolo -un contratto di locazione- che fino al 30 giugno 1998 aveva legittimato la detenzione dell’immobile da parte di NOME COGNOME laddove invece la domanda avrebbe dovuto essere qualificata come ‘reale’ e precisamente come domanda di rivendicazione e per avere la Corte di Appello, in conseguenza di tale errore, omesso di
pronunciare sulla domanda di NOME e NOME COGNOME di accertamento del loro diritto di proprietà sull’immobile in questione e condannato NOME COGNOME a rilasciare l’immobile in relazione al venir meno di un titolo non azionato dagli originari attori;
il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha ricordato che NOME e NOME COGNOME avevano convenuto in giudizio la attuale ricorrente al fine di ottenere la restituzione dell’immobile sulla premessa di essere proprietari esclusivi, di avere concesso in locazione l’immobile alla convenuta con contratti verbali e che ‘il rapporto locatizio era cessato alla data del 30 giugno 2016’. La Corte di Appello ha qualificato l’azione come ‘personale di restituzione per detenzione sine titulo’. Ha poi accertato la proprietà esclusiva degli originari attori ‘giusta atto di divisione giudiziale in forza di sentenza’ definitiva della Corte di Appello di Palermo n.547 del 2004 ed ha accertato l’insussistenza di ‘valido titolo giuridico’ che consentisse alla NOME di ‘possedere o detenere l”immobile’. Ha condannato la convenuta al rilascio.
Il motivo di ricorso è inammissibile perché non sorretto da concreto interesse (art. 100 c.p.c.).
Premesso che ‘In tema di difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l’attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi
alla dimostrazione dell’avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l’insussistenza “ab origine” di qualsiasi titolo’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n.4416 del 26/02/2007), la ricorrente, al di là della dedotta scorrettezza della qualificazione inziale della azione come ‘personale’, non tiene conto del fatto che la Corte di Appello ha positivamente accertato che gli originari attori erano proprietari del bene in forza di sentenza definitiva e che non avevano il possesso del bene essendo questo nella disponibilità, materiale e non titolata, della convenuta;
5. con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 c.c., 1223, 1226, 2697 c.c., 115 c.p.c., i relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. per avere la Corte di Appello liquidato agli originari attori il risarcimento per un danno espressamente dalla stessa qualificato come danno ‘da considerarsi in re ipsa’;
6. il motivo è fondato.
L’affermazione della Corte di Appello è in contrasto con la giurisprudenza di legittimità per cui ‘Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il dannoconseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.; ne consegue che il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici,
ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dall’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto’ (Cass. n.14268 del 25/05/2021);
7. con il quarto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1142, 1156 c.c. e 356 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c. per avere la Corte di Appello rigettato la domanda di usucapione della ricorrente;
il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha respinto la domanda evidenziando, in primo luogo, che con sentenza del tribunale di Trapani resa inter partes il 7 marzo 2016 e passata in giudicato era stato accertato che NOME e NOME COGNOME avevano concesso in locazione l’immobile a NOME COGNOME ed avevano formalizzato la propria volontà di non rinnovare il contratto alla scadenza e, in secondo luogo, che tra la data della scadenza del contrato -30 giugno 1998e la data di notifica dell’atto ‘di appello’ -20 dicembre 2017- non erano decorsi venti anni, in terzo luogo, che non risultava che NOME COGNOME avesse mutato la detenzione in possesso. Con il motivo di ricorso ora in esame, al di là della formale denuncia di violazione di articoli del codice civile e del codice di procedura civile, la ricorrente svolge affermazioni in fatto -avere essa ricorrente posseduto il bene fino dal 1988 allorché il bene era stato gestito da una società in nome collettivo costituita dalla stessa ricorrente con la moglie di NOME COGNOME e la moglie di NOME COGNOME essere essa ricorrente sempre rimasta nell’immobile anche dopo lo scioglimento della società; avere essa ricorrente manifestato espressamente alle controparti la volontà di escluderli dal possesso del bene; non avere le controparti preteso o incassato alcun canone di locazione- tese a dare una rappresentazione della in realtà diversa da quella accertata dalla Corte di Appello riferimento ad un precedente giudicato.
In sostanza al motivo è sottesa questa struttura argomentativa: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito.
Da ciò l’inammissibilità: ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ (Sez. U – , Sentenza n.34476 del 27/12/2019);
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 91 e 96 c.p.c. per aver la Corte di Appello compensato le spese del grado. Si deduce che i giudici di appello avrebbero dovuto accogliere tutte le eccezioni e le domande della allora appellante ed avrebbero dovuto condannare NOME e NOME COGNOME alle spese e al risarcimento ex art. 96 c.p.c.;
I l motivo resta assorbito per effetto dell’accoglimento del terzo motivo;
C on l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato si lamentano violazione degli artt. 657, 650, 1362, 1363 e ss. c.c. ed erronea applicazione degli artt. 163 bis, 164 e 162 c.p.c. Si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere nullo l’atto di citazione per mancato rispetto del termine a comparire previsto dall’art. 163 bis c.p.c.;
Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello, dopo aver dichiarato nulla la sentenza di primo grado, ha deciso la causa nel merito ai sensi dell’art. 354 c.p.c. I ricorrenti non hanno interesse (art. 100 c.p.c.) ad un motivo basato unicamente sulla dedotta erroneità della dichiarazione di nullità e che non veicola alcuna contestazione sul merito della decisione;
13. In conclusione il terzo motivo di ricorso principale deve essere accolto, il quinto motivo resta assorbito, i restanti motivi devono essere rigettati, il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile. In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese dell’intero processo;
PQM
la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso principale, dichiara assorbito il quinto motivo, rigetta i restanti, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese dell’intero processo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2025.