Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 676 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 676 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15073/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 665/2019 pubblicata il 29/01/2019
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 665/2019 del 29 gennaio 2019, per quanto in questa sede ancora interessa, la Corte d’Appello di Roma riformava
la decisione di primo grado assunta dal Tribunale capitolino il 27 ottobre 2017, rigettando la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (d’ora in avanti, per brevità, RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere il risarcimento dei danni che l’istante lamentava di aver subìto a causa del negligente espletamento dell’incarico di mediazione da lui conferito alla prefata società per l’acquisto di un villino a due piani sito nella capitale.
Contro tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti con controricorso dall’AFI.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 -bis .1 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35, comma 6, D. Lgs. n. 149 del 2022.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1759, 1175 e 1176 c.c., contestandosi alla Corte d’Appello di Roma di aver erroneamente affermato che nella vicenda per cui è causa deve ritenersi assolto dall’AFI l’obbligo di comunicare alle parti le circostanze da essa conosciute, o conoscibili con l’uso dell’ordinaria diligenza, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare e idonee a influire sulla sua conclusione.
Si sostiene, al riguardo, che il giudice distrettuale non avrebbe tenuto in debito conto il fatto che l’agente immobiliare si era limitato a informare il COGNOME dell’avvenuta trasformazione del piano terra del villino da a unità immobiliare destinata ad uso abitativo, senza renderlo edotto della circostanza che detta trasformazione era stata realizzata in modo abusivo, in assenza del necessario titolo autorizzativo o dell’eventuale concessione edilizia in sanatoria; chè anzi, tanto nella proposta di acquisto quanto nel successivo contratto preliminare era stata espressamente garantita
la regolarità dell’immobile .
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte capitolina statuito che la domanda risarcitoria avanzata dal COGNOME non potesse in ogni caso essere accolta in difetto di prova del danno asseritamente sofferto dall’istante.
Si obietta che la decisione gravata avrebbe disatteso il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, inaugurato dal noto arresto delle Sezioni Unite n. 13533/2001, secondo cui il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del proprio diritto, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento o inesatto adempimento della controparte, mentre spetta al debitore convenuto fornire la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto (e all’occorrenza esatto) adempimento.
Viene, al riguardo, evidenziato:
-che l’attore aveva prodotto in giudizio, a dimostrazione della fondatezza della sua pretesa, i seguenti documenti: , , , , , lettera della Banca di Credito Cooperativo di Roma con la quale veniva comunicato il (pag. 6 del ricorso, righi 13 -32);
-che, per contro, nel giudizio di primo grado l’AFI , essendo, anzi, emerso dagli atti di causa che aveva (pag. 7 del ricorso, righi 1 -2, 10 -11).
Con il terzo motivo viene lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputandosi alla Corte territoriale di non aver rilevato che nella proposta d’acquisto e nel contratto preliminare sottoscritti dal COGNOME risultava attestata la e che soltanto a sèguito della stipula del compromesso di vendita l’odierno ricorrente aveva appreso la notizia dell’abusiva trasformazione del piano terra del villino, tant’è che, proprio in ragione di tale , era riuscito ad ottenere dalla promittente venditrice una riduzione di 20 mila sul prezzo pattuito per il trasferimento del bene.
Conviene esaminare con priorità il secondo motivo, che per la sua infondatezza rende superfluo il vaglio degli altri due mezzi.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge chiaramente che la pronuncia emessa dalla Corte d’Appello di Roma si fonda su due autonome rationes decidendi , ciascuna delle quali di per sé sola sufficiente a sorreggerla, e precisamente:
1)la non configurabilità dell’inadempimento contrattuale addebitato dal COGNOME dall’AFI, avendo l’agenzia immobiliare assolto gli obblighi informativi cui era tenuta;
2)la non accoglibilità dell’avanzata pretesa risarcitoria in mancanza di prova del danno concretamente sofferto dall’attore.
La seconda ratio decidendi viene sviluppata nella parte della motivazione compresa fra il rigo 12 della pag. 7 e il rigo 8 della pag. 8, che qui di sèguito integralmente si ritrascrive: «Osserva ancora questo collegio che, in ogni caso, ove anche l’agenzia appellante non avesse esattamente adempiuto alle sue obbligazioni di mediatrice -perché, ad es., aveva assicurato al COGNOME che la diversa destinazione del piano terra dell’immobile era stata oggetto di concessione in sanatoria -, la stessa non poteva essere condannata al risarcimento di un danno che il COGNOME non risulta aver mai in concreto subìto. Ed infatti, come ben si evince dall’esame della scrittura privata integrativa conclusa il 30
novembre 2012 tra il COGNOME e la COGNOME (trattasi della promittente venditrice dell’immobile -n.d.r.) , le parti, proprio a causa delle ‘irregolarità urbanistiche’ del bene, avevano concordato di ridurre il prezzo di questo dalle iniziali 250.000,00 ad euro 230.000,00 (cfr. la copia di tale scrittura, allegata sub doc 12 al fascicolo di parte appellata per il primo grado); è infine incontestato che costoro il 28 marzo 2013 hanno concluso l’atto definitivo di compravendita del bene in questione (cfr. il risultato dell’ispezione ipotecaria eseguita dall’odierna appellante, allegato sub doc. 5 al fascicolo di quest’ultima per il primo grado). Nessun dubbio che, come ben si evince dall’esame di tale documentazione, il COGNOME ha ottenuto dalla venditrice una ulteriore riduzione del prezzo ed ha quindi proceduto all’acquisto, circostanza questa che esclude che l’odierno appellato abbia in concreto risentito di un danno (non risultando peraltro dedotti ulteriori e diversi profili di danno)» .
Il ragionamento svolto dal giudice distrettuale a sostegno del decisum non risulta efficacemente contrastato dal ricorrente, il quale incentra le sue critiche alla sentenza d’appello su una superficiale e non corretta lettura del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’arresto n. 13553/2001 e successivamente ribadito in numerose altre pronunce di legittimità, che egli mostra di intendere nel senso che l’accoglimento della domanda risarcitoria proposta dal creditore di una prestazione contrattuale richieda esclusivamente la prova dell’avvenuta conclusione del contratto e l’allegazione dell’inadempimento del debitore, laddove, invece, è fuor di dubbio che fra gli elementi costitutivi di una simile azione rientri anche il nesso causale tra l’altrui condotta inadempiente e le conseguenze pregiudizievoli di cui si chiede il ristoro (cfr. Cass. n. 4009/2020, Cass. n. 29315/2017, Cass. n. 26824/2017).
Fermo quanto precede, va notato che, nel tentativo di confutare le
argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello, il COGNOME richiama genericamente una serie di documenti -tra questi, in particolare, una lettera con cui la Banca di Credito Cooperativo di Roma gli avrebbe comunicato che la sua richiesta di concessione di un mutuo non poteva essere accolta a causa delle accertate irregolarità urbanistiche dell’immobile in questione -, senza indicare in quale fase del giudizio di merito essi siano stati prodotti (anche al fine di consentire alla Corte di verificare se l’acquisizione sia avvenuta in modo rituale), né tantomeno chiarire la loro rilevanza ai fini della prova del danno escluso dalla sentenza impugnata (non essendo dato sapere, ad esempio, se il mutuo richiesto sia stato in sèguito accordato da altro istituto di credito a condizioni non meno favorevoli di quelle offerte dalla suddetta banca).
Da questo punto di vista, oltre che infondato, il motivo in esame risulta anche, almeno in parte, carente di specificità e autosufficienza (cfr. Cass. n. 12481/2022, Cass. n. 25093/2022, Cass. n. 33991/2022, Cass. n. 7930/2023).
Sulla scorta di quanto precede, diviene ultroneo lo scrutinio degli altri due motivi, alla luce del consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, qualora la pronuncia di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse avverso una delle suddette rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le doglianze relative alle ulteriori rationes che pure formano oggetto di contestazione, in quanto il loro eventuale accoglimento non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione impugnata (cfr., ex multis , Cass. n. 24381/2021, Cass n. 11493/2018, Cass. n. 2108/2012, Cass. n. 20454/2005).
Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
Stante l’esito del giudizio, deve essere resa nei confronti del ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , D.P .R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi 3.200 euro, di cui 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , D.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda