Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14381 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14381 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2060/2021 R.G.
proposto da
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO e dall ‘ AVV_NOTAIO, con domicilio digitale EMAIL e EMAIL
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO CIRCONVALLAZIONE DI INDIRIZZO IN SEREGNO (INDIRIZZO), rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO e dall ‘ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO con domicilio digitale EMAIL e EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1349 del 4/6/2020 della Corte d ‘ appello di Milano;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/5/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Previo esperimento di accertamento tecnico preventivo, NOME COGNOME conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Monza, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO in INDIRIZZO domandando il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione di lavori necessari al ripristino dell ‘ agibilità dell ‘ immobile di proprietà esclusiva dell ‘ attore; in particolare, l ‘ attore affermava di essere titolare di un ‘ unità immobiliare, sita all ‘ interno del RAGIONE_SOCIALE, la quale, a causa di problematiche legate all ‘ umidità (soprattutto sulle mura perimetrali) e di perdite dalle tubature condominiali, era stata dichiarata inagibile dal Comune il 9/9/2013 e, successivamente, assoggettata a declassamento dalla originaria categoria catastale C2 (magazzini e locali di deposito) alla categoria F2 (unità collabenti).
Si costituiva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE, che chiedeva il rigetto delle domande attoree.
Il Tribunale di Monza, con la sentenza n. 374 del 21/2/2019, escludeva la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE per gli ammaloramenti causati dalla risalita di umidità capillare (imputandoli essenzialmente alla vetustà del fabbricato condominiale), mentre accertava la responsabilità del convenuto per i vizi manutentivi e lo condannava al risarcimento dell ‘ importo di Euro 3.104,50 (oltre IVA di legge e rivalutazione), alla rifusione delle spese dell ‘ a.t.p. (Euro 2.903,01 ed Euro 896,70 per C.T.U., c.t.p. e spese esenti ed Euro 2.000,00, oltre accessori, per compensi) e, previa compensazione per 9/10, del processo di primo grado.
NOME COGNOME proponeva appello, chiedendo la riforma parziale della sentenza impugnata e, quindi, il risarcimento dei danni causati
dallo stato delle murature perimetrali e il ristoro per il mancato godimento dell ‘ immobile.
5. Il RAGIONE_SOCIALE appellato proponeva a sua volta appello incidentale, lamentando l ‘ erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui era stato condannato a pagare le spese di sostituzione dell ‘ impianto fognario condominiale e il mancato riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato ex art 1227 cod. civ.
6. La Corte d ‘ appello di Milano, con la sentenza n. 1349 del 4/6/2020, accoglieva in parte l ‘ appello principale e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava il RAGIONE_SOCIALE a pagare a NOME COGNOME la diversa e maggior somma di Euro 12.122,18 «a titolo di risarcimento del danno per vizi costruttivi dell ‘ immobile», respingeva l ‘ appello incidentale e liquidava, in favore dell ‘ appellante, le spese del secondo grado.
7. Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale così spiegava la propria decisione: «Come ben evidenziato dalla consulenza tecnica svolta nel procedimento di ATP, nonché dal primo giudice, il danno causato all ‘ immobile è dovuto a problematiche che affliggono le mura perimetrali del RAGIONE_SOCIALE, le quali sono del tutto equiparabili ai muri maestri di un edificio, rientrando quindi nelle parti comuni ex art 1117 c.c. In materia è consolidato il principio giurisprudenziale secondo il quale ‘ il titolare di una porzione di proprietà esclusiva può invece agire nei confronti del condominio ex art. 2051 c.c. per i danni subiti a causa dei vizi delle parti comuni imputabili al venditore-costruttore. Il condominio, infatti, è obbligato ad adottare tutte le misure al fine di evitare che le cose comuni rechino pregiudizi ad alcuno e risponde dei danni in base all ‘ art. 2051 c.c. pur se tali danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile comportanti la concorrente responsabilità del costruttorevenditore ex art. 1669 c.c. ‘ (Cass. n. 15291/2011). Posta questa pre-
messa, la statuizione del primo giudice sul punto, che esclude la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE in considerazione dell ‘ epoca costruttiva dell ‘ immobile oggetto di causa, è da considerarsi errata. Il danno all ‘ immobile del sig. COGNOME è derivato dall ‘ ammaloramento delle pareti perimetrali che, indipendentemente dall ‘ epoca di costruzione, rientrano fra i beni comuni che il RAGIONE_SOCIALE è obbligato a custodire. Il RAGIONE_SOCIALE è infatti è tenuto ad adottare ogni misura necessaria affinché tali beni comuni non rechino pregiudizio ad alcuno e risponde dei danni da questi cagionati alla porzione di proprietà esclusiva dei condomini. … Alla stregua delle considerazioni sopra svolte, il RAGIONE_SOCIALE deve ritenersi dunque l ‘ esclusivo responsabile dei danni cagionati alle pareti dell ‘ immobile oggetto di causa e, per l ‘ effetto, è tenuto al risarcimento del danno. L ‘ammontare di tale danno può ritenersi pari ad € 11.802,38 in moneta attuale, ossia alla somma quantificata in CTU dall ‘ AVV_NOTAIO COGNOME per l ‘ intervento di risanamento delle murature perimetrali mediante barriera chimica; si devono escludere da tale computo le spese relative all ‘ applicazione dell ‘intonaco deumidificante, pari a € 8.849,95, in quanto le stesse rappresentano migliorie relative ad una parte privata. … Con un secondo motivo d ‘ appello l ‘ odierno appellante si duole del mancato riconoscimento, da parte del giudice di prime cure, dei danni derivanti dal mancato godimento dell ‘ immobile oggetto di causa. La censura è infondata. Al riguardo è sufficiente osservare che, sebbene risulti ampiamente provato dalla documentazione dedotta in prime cure l ‘ utilizzo dell ‘ immobile oggetto di causa come magazzino/deposito, parte appellante non ha fornito la prova del fatto che quest ‘ ultimo fosse posto a reddito, non producendo in giudizio alcun contratto di locazione o proposta di affitto. … Con riguardo all’ appello incidentale proposto dal RAGIONE_SOCIALE, con un primo motivo lo stesso lamenta l ‘ errore del giudice di prime cure laddove quest ‘ ultimo liquidava al sig. NOME COGNOME le
spese relative ai lavori di riparazione dell ‘ impianto fognario condominiale. Secondariamente, il RAGIONE_SOCIALE sostiene che il Tribunale, negando rilevanza agli elementi di prova allegati già in primo grado relativi alla consegna delle chiavi dell ‘ immobile oggetto di causa, abbia errato nel ritenere non sussistente il concorso di colpa del danneggiato ex art 1227 c.c. … il giudice di primo grado ha correttamente rilevato come, seppure sia provato da una fattura pro forma che il RAGIONE_SOCIALE è intervenuto riparando l ‘ impianto fognario condominiale, si è comunque trattato di un intervento soltanto parziale. E, in ogni caso, il RAGIONE_SOCIALE non ha fornito la prova che la riparazione effettuata per il costo indicato fosse tale da completare i lavori prospettati dal consulente tecnico; – risulta pacifico, in quanto non contestato dallo stesso appellante incidentale, che per il periodo che va dal 2007 al 2015 il RAGIONE_SOCIALE è stato in possesso di una copia delle chiavi dell ‘ immobile del signor COGNOME. Esso, pertanto, ben poteva eseguire gli interventi di manutenzione straordinaria volti ad evitare i danni alle murature perimetrali lamentati dall ‘ appellante prima della dichiarazione di inagibilità dello stesso, intervenuta solo nel 2013.».
8. Avverso detta sentenza NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale basato su tre motivi, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; il ricorrente si difendeva dall ‘ impugnazione avversaria con controricorso.
9. Le parti depositavano memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
All ‘ esito della camera di consiglio del 3/5/2024, il Collegio si riservava il deposito dell ‘ ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell ‘ art. 380bis .1, comma 2, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminato il ricorso incidentale, che, col suo primo motivo, investe l ‘ an della responsabilità del RAGIONE_SOCIALE.
Con la prima censura, infatti, il predetto RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 co. 3 c.p.c., in relazione all ‘ art. 2051 c.c.», per avere la Corte di merito riconosciuto la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE quale custode, pur non essendo applicabile la citata norma in ragione della complessiva vetustà del fabbricato e dei risalenti criteri di sua costruzione, tali da escludere la configurabilità di un mancato assolvimento dei doveri di custodia.
La tesi del RAGIONE_SOCIALE -che, in ragione della vetustà del fabbricato condominiale e dei suoi vizi costruttivi, vorrebbe escludere la propria responsabilità come custode -è manifestamente infondata, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale che configura in capo al condominio l ‘ obbligo, ex art. 2051 cod. civ., di custodire la res comune evitando che la stessa possa divenire fonte di pregiudizio per i terzi (tra i quali, vanno annoverati anche i singoli condòmini).
Si attaglia perfettamente al caso de quo il principio espresso da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15291 del 12/07/2011, Rv. 618637-01, secondo cui «Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all ‘ art. 2051 cod. civ., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (nella specie, infiltrazioni d ‘ acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile».
In parte sovrapponibile è poi il precedente di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1500 del 11/02/1987, Rv. 450949-01, secondo cui «Il singolo
condomino può agire a norma dell ‘ art. 2051 cod. civ. nei confronti del condominio per il risarcimento dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per la difettosità di parti comuni dell ‘ edificio – dalle quali provengono infiltrazioni d ‘ acqua pregiudizievoli per gli ambienti di sua proprietà esclusiva – ponendosi quale terzo nei confronti del condominio stesso, tenuto alla custodia ed alla manutenzione delle parti e degli impianti comuni dell ‘ edificio».
6. Ulteriori conferme si rinvengono nelle decisioni di Cass., Sez. 62, Ordinanza n. 7044 del 12/03/2020, Rv. 657285-01, che ha ribadito la responsabilità del condominio-custode anche nell ‘ ipotesi di concorso del terzo (nel caso in esame, il controricorrente invoca una responsabilità del costruttore) nella produzione del danno («Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, sicché risponde ex art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano causalmente imputabili anche al concorso del fatto di un terzo, prospettandosi in tal caso la situazione di un medesimo danno provocato da più soggetti per effetto di diversi titoli di responsabilità, che dà luogo ad una situazione di solidarietà impropria») e di Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 28253 del 09/10/2023, che ha riconosciuto «la possibilità di esperire azione risarcitoria contro il medesimo condominio, in base all ‘ art. 2051 c.c., e cioè in relazione alla ricollegabilità di tali danni all ‘ inosservanza da parte del condominio medesimo di provvedere, quale custode, ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa», anche quando «i danni subiti dal singolo condomino derivino dalle condizioni di degrado delle parti comuni imputabili già all ‘ originario venditore, unico proprietario pro indiviso dell ‘ edificio, che ha poi proceduto al frazionamento e dato luogo alla costituzione del condominio», in ragione del «protrarsi della omessa riparazione».
Con la seconda censura del ricorso incidentale si deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art 360 co. 3 c.p.c., in relazione all ‘ art. 2697 c.c. nonché agli artt. 115 e 116 c.p.c.», per avere la Corte d ‘ appello riconosciuto al COGNOME la somma di Euro 3.104,50 per il completamento dei lavori di rifacimento del tratto fognario, opere già eseguite prima dell ‘ inizio della causa.
La censura è inammissibile per plurime ragioni.
In violazione dell ‘ art. 366 cod. proc. civ. è lacunosa l ‘ esposizione del fatto processuale, atteso che si invoca la non contestazione di circostanze allegate senza, però, riportare il contenuto delle proprie e delle avverse difese.
È poi inammissibile la pretesa di una rivalutazione del materiale probatorio da parte della Corte di legittimità ( ex permultis , Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023, Rv. 669412-01).
Quanto ai limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione contenente la denuncia di violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., si riscontra un consolidato orientamento di questa Corte:
«In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell ‘ art. 2697 c.c. si configura soltanto nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall ‘ art.
116 c.p.c.». ( ex multis , Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892-01);
«In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall ‘ art. 116 c.p.c.» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037-01);
«In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell ‘ art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‘ prudente apprezzamento ‘ , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037-02).
La censura formulata nel ricorso incidentale non corrisponde in alcun modo alle regole giurisprudenziali sopra richiamate.
Col terzo motivo il RAGIONE_SOCIALE lamenta «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art 360 co. 3 C.p.c., in relazione all ‘ art. 92 co. 2 c.p.c.», per avere la Corte di merito condannato il RAGIONE_SOCIALE a rifondere al COGNOME i costi dell ‘ appello, sebbene lo stesso fosse «sostanzialmente soccombente» (con soccombenza, «in entrambi i gradi di giudizio, totale e non parziale», come scritto nella memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.), in considerazione del solo parziale e ridotto accoglimento della originaria pretesa risarcitoria avanzata dall ‘ attore.
La censura è manifestazione infondata e, come tale, inammissibile ex art. 360bis cod. proc. civ.
Difatti, a tesi del RAGIONE_SOCIALE -che arriva persino a configurare la totale soccombenza della controparte -si pone in contrasto col principio giurisprudenziale secondo cui, «In tema di spese processuali, l ‘ accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un ‘ unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall ‘ art. 92, comma 2, c.p.c.» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022, Rv. 666063-01).
Passando al ricorso principale di NOME COGNOME, il primo motivo denuncia la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. in specie quanto agli artt. 2051 c.c., 2056 c.c., 2059 c.c. nonché 2043 e 1226 c.c.», per avere la Corte di merito ritenuto che il COGNOME non abbia fornito la prova del danno subito
per il mancato godimento dell ‘ immobile (già utilizzato come magazzino, come riconosciuto nella sentenza impugnata), non avendo dimostrato che esso «fosse posto a reddito, non producendo in giudizio alcun contratto di locazione o proposta di affitto».
La censura è fondata.
La Corte d ‘ appello ha univocamente accertato, in fatto, che l ‘ immobile era utilizzato dal COGNOME come magazzino (e le circostanze dedotte dal RAGIONE_SOCIALE controricorrente per contrastare tale conclusione sono irrilevanti e del tutto fuori luogo, non potendo questa Corte apprezzare o rivalutare le risultanze probatorie).
Ciononostante, ha escluso il risarcimento del danno in mancanza di prova di un possibile utile ritraibile dalla concessione in godimento dell ‘ immobile, dichiarato inagibile.
La statuizione contrasta col più recente approdo giurisprudenziale, espresso da Cass., Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022 (riguardante l ‘ occupazione di immobile sine titulo , ma con principî applicabili anche ad altre fattispecie), secondo cui «il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto».
Le Sezioni Unite hanno affermato che è suscettibile di risarcimento il pregiudizio arrecato al diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa, spettante al proprietario, e ha configurato «la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire»; si è chiarito, però, che al titolare del diritto dominicale è richie-
sta, innanzitutto, una precisa allegazione (suscettibile di specifica contestazione) circa la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa e, cioè, riguardante la perdita attinente al godimento, indiretto (mediante il corrispettivo del godimento concesso ad altri) o anche diretto, del bene, perché il «non uso, il quale è pure una caratteristica del contenuto del diritto, non è suscettibile di risarcimento»; inoltre, l ‘ attore deve provare il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa; se soddisfatti gli oneri di allegazione e prova (anche per presunzioni), sia nel caso di godimento diretto, sia in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell ‘ art. 1226 cod. civ.
La Corte d ‘ appello milanese -escludendo, nonostante le allegazioni del COGNOME circa l ‘ uso dell ‘ immobile come magazzino, la risarcibilità della perdita del godimento diretto (in ciò si sostanzia la pretesa di una prova del mancato reddito derivante dalla lesione del diritto dominicale) -ha violato il summenzionato principio e, conseguentemente, in relazione alla censura qui svolta, la sentenza va cassata con rinvio al giudice d ‘ appello per nuovo esame.
Col secondo motivo, il ricorrente COGNOME lamenta «grave carenza dell ‘ obbligo motivazionale ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., letto in connessione con l ‘ art. 111, co. 7, Cost. It., per essersi immotivatamente discostata la Corte d ‘ Appello dalle risultanze della CTU quanto a un elemento essenziale del rimedio strutturale individuato (esclusione dell ‘ importo per l ‘ applicazione dell ‘ intonaco macroporoso deumidificante -quadro ‘ c ‘ della ctu-)».
La censura è infondata.
Col motivo si prospetta, infatti, una discrasia tra le conclusioni del C.T.U. e la decisione del giudice, difformità che, tuttavia, non sussiste.
In base a quanto illustrato nel ricorso (che fa puntuale riferimento all ‘ elaborato peritale, messo a disposizione di questa Corte), infatti, l ‘ «intervento sulle murature perimetrali portanti con utilizzo di barriere chimiche associato alla realizzazione di un intonaco macroporoso» -soluzione suggerita dal consulente del giudice per impedire la risalita dell ‘ umidità -è distinto dalla «applicazione dell ‘ intonaco deumidificante da restauro in una o più mani fino a raggiungere lo spessore minimo consigliato di 3 cm.», sicché la Corte d ‘ appello, che ha escluso questo intervento dal novero di quelli posti a carico del RAGIONE_SOCIALE, non si è discostata dalla C.T.U., ma ha fornito una motivazione che, ellitticamente ma sufficientemente, illustra il decisum (e non è ammessa, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., la censura della sua insufficienza).
Il terzo motivo prospetta un «errore di fatto da censurare per difetto di motivazione ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c.: erronea esclusione di importo pagato dal ricorrente per il sub-procedimento di CTU».
Il ricorrente censura la decisione nella parte in cui si asserisce «che il COGNOME. COGNOME non ha prodotto nessuna quietanza di pagamento relativa agli ulteriori € 1.919,20».
Ad avviso del COGNOME, «L ‘ affermazione fatta dalla Corte di Appello è semplicemente sbagliata perché agli atti di causa risultano, invece, le fatture di pagamento del perito COGNOME che recano tutte indistintamente la dicitura ‘ pagato ‘ con la relativa sottoscrizione del COGNOME. Si tratta pertanto di fatture tutte quietanzate.».
Il motivo è inammissibile, perché «il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell ‘ informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzio-
nale rimedio nell ‘ impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall ‘ art. 395, n. 4, c.p.c.» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 5792 del 05/03/2024, Rv. 670391-01).
Il quarto motivo denuncia un « error in procedendo da censurare ex art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. quanto alla violazione dell ‘ art. 112 c.p.c.: omesso esame della domanda risarcitoria relativa alle spese necessarie per la pratica edilizia e il ri-accatastamento nonché omessa domanda sulla riforma delle spese di lite liquidate in primo grado».
La censura va accolta solo in parte.
Nell ‘ illustrare il fatto processuale il ricorrente ha dimostrato di avere richiesto, con l ‘ atto introduttivo, il risarcimento della somma di Euro 2.300 (oltre accessori) per la pratica di nuovo accatastamento dell ‘ unità immobiliare, declassata in conseguenza delle sue condizioni; la medesima domanda è stata richiesta al momento della precisazione delle conclusioni in primo grado, nelle difese finali, nella citazione in appello e nelle conclusioni del secondo grado.
Ciononostante, non risulta dalla sentenza impugnata alcuna decisione su tale domanda, né -come sostiene il RAGIONE_SOCIALE controricorrente -può individuarsi una statuizione nella generica frase «ogni altra questione o motivo deve intendersi assorbito» (così a pag. 13 della sentenza).
È fondata, dunque, la censura di minuspetizione in relazione alla predetta domanda, rimessa all ‘ esame del giudice del rinvio.
Al contrario, con riguardo alle spese di lite, parzialmente compensate nel primo grado, il ricorso manca di una compiuta esposizione dell ‘ istanza di revisione della decisione del primo giudice e rimanda ad un ambiguo inciso della sentenza impugnata, che, però, non dimostra la formulazione di uno specifico motivo d ‘ appello, né la sua riproposizione al momento della precisazione delle conclusioni.
La censura è, dunque, inammissibile in parte qua .
In conclusione, va rigettato il ricorso incidentale; invece, in accoglimento del primo e -nei limiti suesposti -del quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d ‘ appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per la regolazione delle spese, anche del giudizio di legittimità.
Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del RAGIONE_SOCIALE ricorrente incidentale, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso incidentale, ove dovuto, a norma dell ‘ art. 1bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il primo e, in parte, il quarto motivo del ricorso principale; dichiara infondato il secondo motivo e inammissibili il terzo e, par- zialmente, il quarto motivo del ricorso principale;
in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d ‘ appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;
ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso incidentale a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, qualora dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione