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Danno da lucro cessante: onere della prova in giudizio

Un’azienda agricola non ottiene il risarcimento per il danno da lucro cessante da un caseificio inadempiente. La Cassazione conferma che, per ottenere il risarcimento del mancato guadagno, non basta provare l’inadempimento contrattuale, ma è necessario fornire prove concrete del danno subito e degli sforzi per limitarlo.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da lucro cessante: quando e come provarlo in caso di inadempimento

Subire un inadempimento contrattuale è frustrante, ma ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante richiede più della semplice dimostrazione della colpa altrui. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: chi chiede il risarcimento per il mancato guadagno ha il preciso dovere di provarlo con elementi concreti. Analizziamo questa decisione per capire quali sono gli oneri probatori a carico del creditore danneggiato.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un contratto di somministrazione tra un’azienda agricola, produttrice di latte di bufala, e un caseificio. L’azienda agricola citava in giudizio il caseificio, accusandolo di un grave inadempimento: aver rifiutato di ritirare la produzione di latte secondo gli accordi. Di conseguenza, l’agricoltore chiedeva la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, inclusi quelli derivanti dal mancato guadagno (lucro cessante).

Il caseificio, a sua volta, si difendeva e proponeva una domanda riconvenzionale, attribuendo la colpa dell’interruzione delle forniture alla stessa azienda agricola. Inizialmente, il Tribunale dava ragione all’agricoltore, condannando il caseificio a un cospicuo risarcimento.

Il Ribaltamento in Appello

La Corte d’Appello, tuttavia, riformava parzialmente la decisione. Pur confermando l’inadempimento del caseificio e quindi la risoluzione del contratto a suo carico, accoglieva il motivo di appello relativo al risarcimento del danno da lucro cessante. Secondo i giudici di secondo grado, l’azienda agricola non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare l’effettivo danno economico subito. Non era stato provato, ad esempio, di aver continuato a produrre il latte, di aver tentato di venderlo ad altri acquirenti (anche a un prezzo inferiore) o di essere stato costretto a distruggerlo. L’utilizzo del latte invenduto come mangime per i vitelli non era stato adeguatamente quantificato come perdita economica.

La Prova del Danno da Lucro Cessante secondo la Cassazione

L’azienda agricola ricorreva in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente ignorato le deposizioni testimoniali, le quali avrebbero dimostrato l’impossibilità di vendere il latte ad altri per un certo periodo e il suo conseguente utilizzo come alimento per gli animali. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e confermando la linea della Corte d’Appello.

I giudici di legittimità hanno chiarito che per ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante, il creditore deve assolvere a un preciso onere della prova. Non è sufficiente dimostrare l’inadempimento della controparte, ma è indispensabile provare concretamente il pregiudizio economico che ne è derivato.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che l’azienda agricola avrebbe dovuto dimostrare, con prove documentali o di altra natura:

1. La continuazione della produzione: Provare di aver effettivamente prodotto il latte che il caseificio si è rifiutato di ritirare.
2. I tentativi di mitigazione del danno: Dimostrare di aver cercato altre aziende casearie a cui vendere il prodotto, anche a un prezzo inferiore, per limitare le perdite.
3. Il danno effettivo: In alternativa, provare la distruzione del latte invenduto o quantificare la perdita economica derivante dal suo utilizzo alternativo (come mangime), dimostrando la differenza tra il prezzo di vendita pattuito e il valore di tale riutilizzo.

La Cassazione ha sottolineato come le sole testimonianze non fossero sufficienti a colmare queste lacune probatorie. Inoltre, l’utilizzo del latte per l’allevamento dei bufalini, anziché la sua distruzione, fa venir meno la presunzione di un danno totale. Il ricorrente avrebbe dovuto provare la differenza tra il mancato ricavo e il valore del latte come alimento. La Corte ha concluso che il ricorso si risolveva in una richiesta di nuova valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione cruciale per ogni imprenditore: in caso di inadempimento contrattuale, la documentazione è tutto. Per tutelare il proprio diritto al risarcimento del danno da lucro cessante, è fondamentale non solo provare la colpa della controparte, ma anche raccogliere meticolosamente tutte le prove che dimostrino il danno economico subito e gli sforzi compiuti per ridurlo. Affidarsi a presunzioni o a prove generiche può portare a vedere il proprio diritto riconosciuto solo sulla carta, ma non nel portafoglio.

In caso di inadempimento contrattuale, basta dimostrare la mancata esecuzione per ottenere il risarcimento del lucro cessante?
No, non è sufficiente. La parte che chiede il risarcimento deve anche fornire la prova specifica del mancato guadagno che è diretta conseguenza dell’inadempimento, dimostrando ad esempio di aver perso concrete opportunità di profitto.

Quali prove deve fornire chi chiede il risarcimento per danno da lucro cessante?
Deve fornire prove concrete, preferibilmente documentali, che dimostrino la continuazione della produzione, i tentativi di vendere il prodotto a terzi (anche a un prezzo inferiore) per limitare il danno, oppure la necessità di distruggere il prodotto o il minor valore ricavato da un suo uso alternativo.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, in linea di principio non è possibile. La Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti. Può intervenire solo per vizi di legittimità, come la violazione di norme sulla valutazione della prova (ad esempio, se il giudice ha ignorato una prova legale) o per un vizio di motivazione estremamente grave, ma non per riesaminare e dare un peso diverso alle prove già valutate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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