Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14002 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14002 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5257/2024 R.G. proposto da:
COGNOME CONSOLATA e COGNOME, elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-RICORRENTE- contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende.
-controricorrente-
avverso il DECRETO di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 185/2023, depositata il 05/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto 185/2023, la Corte di appello di Salerno ha respinto la domanda di equa riparazione ex L. 89/2001 proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione all’irragionevole durata di un processo penale (in cui le ricorrenti erano state
imputate per il reato di falsificazione di attestazioni circa l’esistenza di una piccola colonia per beneficiare di indennità di disoccupazione), conclusosi con declaratoria di prescrizione del reato.
La Corte ha osservato che l’art. 2 , comma 2 bis, L. 89/2001 contempla una presunzione relativa di insussistenza del danno che può essere superata ove la parte dia prova del pregiudizio di carattere non patrimoniale, sostenendo che, per contro, le opponenti avevano perseverato nel non adempiere il loro onere di allegazione, nulla deducendo né esponendo riguardo al pregiudizio concretamente subito a causa dell’eccessiva durata del processo presupposto, essendosi limitate del tutto genericamente ad affermare che le prestazioni previdenziali, oggetto del giudizio in verifica, erano ‘per loro natura necessarie’ e che pertanto, la loro perdita aveva generato ‘un sicuro patimento fisico e morale’ .
Per la cassazione del decreto Consolata COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso in tre motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con controricorso.
Il Consigliere delegato ha proposto la definizione accelerata del giudizio del giudizio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ravvisando la manifesta inammissibilità del ricorso.
Su istanza di parte, il Presidente ha fissato l’adunanza camerale , in prossimità della quale le ricorrenti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2, comma 2-sexies, lett. a), della legge n. 89/2001, 48 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., 6 CEDU e 111, comma 1, Cost. sostenendo chela stessa natura delle prestazioni previdenziali, la cui indebita percezione era stata contestata nel giudizio penale, doveva condurre in via automatica al riconoscimento dell’indennizzo per la durata del processo e che, ai fini ella prova
del danno, il giudice avrebbe dovuto esaminare anche le prove a discarico acquisite in sede penale, non potendosi dar rilievo alla mancata rinuncia alla prescrizione. Il danno era presunto e comunque dimostrato dagli elementi assunti nel corso dell’istruttoria penale.
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per illogicità della motivazione, nonché la violazione della presunzione di innocenza ex artt. 48 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., 6 CEDU e 111, comma 1, Cost. A parere delle ricorrenti, la Corte di merito avrebbe dato rilievo ad una presunzione, richiedendo di indicare le prestazioni previdenziali di cui le parti avevano beneficiato indebitamente, non chiarendo se la presunzione riguardasse la prescri zione o l’insu ssistenza del danno, trascurando l’in fondatezza delle accuse, essendo comunque onere del Ministero provare l’ insussistenza del pregiudizio.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. , per omessa pronuncia sulla richiesta di aumento dell’importo annuo e per travisamento della prova sul fatto oggetto di causa e sulla esclusione della irragionevole durata del processo penale.
2. Il ricorso è palesemente infondato.
Le censure sono inammissibili nella parte in cui censurano asseriti vizi di motivazione, avendo la Corte di merito dato conto, in maniera chiara e logica delle ragioni della decisione, fondata sull’operatività della presunzione di insussistenza del danno nel caso in cui l’irragionevole durata abbia riguardato un giudizio penale conclusosi con dichiarazione di prescrizione del reato, e sull’assenza di elementi concreti che dimostrassero l’effettività di un pregiudizio indennizzabile.
Le censure suppongono la possibilità di un sindacato di adeguatezza motivazionale non più consentito ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. nel testo introdotto alle modifiche apportate dal D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12. La riformulazione della
norma, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo il vizio che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché esso risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Occorre che il vizio consista nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. SU 8053/14).
Per il resto il decreto, nel respingere la domanda per difetto o di prova del pregiudizio, ha correttamente evocato l’art. 2, comma 2 -sexies, lett. a), della legge n. 89/2011, sussistendo l’ipotesi della definizione del procedimento penale con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, in cui il pregiudizio conseguente all’irragionevole durata del giudizio è presuntivamente compensato dall’intervenuto proscioglimento per prescrizione del reato, salvo prova contraria.
La norma non esclude l’indennizzabilità , ma pone soltanto una nuova disciplina della formazione e della valutazione della prova nel processo, senza modificare i presupposti sostanziali per ottenere il ristoro, prevedendo un diverso riparto dell’onere della prova, ovvero prevedendo che all’imputato è comunque consentito dare prova della non corrispondenza alla realtà di tale presunzione (interpretazione questa ritenuta costituzionalmente legittima, siccome non irragionevole: cfr. Cass. n. 16076/2020 e Cass. n. 37850/2022).
Il giudice ha rilevato che, a decorrere dalla conoscenza dell’assunzione della qualità di indagate e fino alla pronuncia definitoria del giudizio di primo grado, le ricorrenti non avevano formulato alcuna istanza anticipatoria di udienza, né sollecitato la decisione nel merito anche avvalendosi di riti alternativi, né tantomeno avevano rinunciato alla prescrizione, così manifestando concretamente l’interesse ad avvalersi del beneficio derivante da lla sopravvenuta causa estintiva dei reati, senza allegare alcuna prova contraria idonea a far ritenere eventualmente sussistente un pregiudizio legato all’eccessiva durata del giudizio penale (anche con riferimento alle ragioni collegate alle prestazioni previdenziali cui si riferiva l’ imputazione penale).
Quanto alla necessità che il giudice esaminasse le prove assunte in sede penale, il ricorso non solo non offre alcun elemento per apprezzare l’utilità di tali acquisizioni, posto che il danno indennizzabile è, invero, solo quello che appare effetto de ll’irragionevole durata del processo e che, nel caso di prescrizione del reato, va accertato in concreto.
Il terzo motivo è infondato, poiché la Corte di merito, senza affatto negare che il processo presupposto avesse avuto una durata irragionevole, ha ravvisato l’assenza di prova del pregiudizio e la non spettanza dell’indennizzo, non dovendo procedere alla successiva quantificazione (Cass. 17580/2014; Cass. 5484/2006).
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Poiché l’impugnazione è stata definita in senso conforme alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis, c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis, cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96, cod. proc. civ., con conseguente condanna di parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una
somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000; cfr. Cass. S.u. 27433/2023; Cass. s.u. 27195/2023; Cass. s.u. 27947/2023).
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad € 800,00 per compenso oltre alle spese prenotate a debito, nonché di € 5 00,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.; e dell’ulteriore importo di € 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda