Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5531 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5531 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13847/2019 R.G. proposto da:
CONDOMINIO INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO TORINO, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
E contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
Condominio
– Intimati –
Avverso la sentenza della Corte d’ appello di Torino n. 1859/2018 depositata il 26/10/2018.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025.
Rilevato che:
1. NOME COGNOME, tramite la propria procuratrice generale NOME COGNOME, convenne il Condominio INDIRIZZO (in seguito: ‘Condominio’) , sito in Torino, e, per quanto qui di rilievo, sull’assunto di essere proprietaria di un’unità immobiliare del fabbricato condominiale che, a più riprese, a partire dal 2007 e, successivamente, nel 2009 e 2010, aveva subito delle infiltrazioni al soffitto con conseguente ammaloramento dei muri, chiese al Tribunale di Torino di condannare il Condominio al risarcimento dei danni e ad eliminare le infiltrazioni.
L’ente di gestione, costituendosi, contestò la domanda, allegò di avere provveduto, nel 2009, al rifacimento della colonna di scarico, circostanza che pure era stata debitamente segnalata al CTU nominato nel procedimento per ATP promosso dalla condomina, ascrisse la causa e la provenienza delle infiltrazioni all’immobile del piano superiore, di proprietà di NOME COGNOME, condomino che, a ciò autorizzato dal giudice, il convenuto chiamò in causa; estese il contraddittorio anche alla propria assicurazione, la RAGIONE_SOCIALE (in seguito: ‘RAGIONE_SOCIALE‘) , che aveva già corrisposto all’attrice un indennizzo di euro 2.090,00.
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 4974/2016, accolse la domanda dell’attrice di condanna del Condominio e di NOME COGNOME al risarcimento del danno, per un ammontare di euro 8.223,00, oltre interessi e rivalutazione, comprensivo anche del lucro cessante (per euro 5.600,00), per mancata percezione dei canoni di locazione, dato che gli inquilini della proprietà dell’attrice avevano
liberato l’appartamento nell’agosto del 2009, nella pendenza dei sei mesi di preavviso di recesso, proprio a causa del peggioramento delle infiltrazioni. Respinse, infine, la domanda di manleva proposta dal Condominio nei confronti della Reale Mutua;
sull’impugnazione svolta da parte del Condominio, la Corte d’appello di Torino, nella resistenza di NOME COGNOME e della Reale Mutua, e in contumacia di NOME COGNOME in parziale accoglimento del gravame, ha condannato il Condominio e COGNOME, in solido, al risarcimento del danno, riducendolo a euro 5.600,00, ha dichiarato assorbita la domanda di manleva e ha statuito sulle spese dei gradi di merito e del procedimento per ATP.
Questi, in breve, i punti chiave della decisione: (i) la premessa è data, da un lato, dalla ricostruzione degli accertamenti peritali (prima, quello in sede di ATP, e, quindi, nel corso del giudizio di merito, le due integrazioni del 2014 e del 2015, demandate al medesimo consulente d’ufficio), dall’altro , dalla circostanza che il Tribunale ha liquidato danni per euro 2.663,00, per costi di ripristino da sostenere all’esito dell’eliminazione delle ‘nuove’ infiltrazioni, manifestatesi nell’aprile 2010 , ed euro 5.600,00, per la mancata locazione dell’appartamento dell’attrice, per otto mensili tà, da agosto 2009 a marzo 2010 (quando l’a ppartamento è stato concesso in comodato a terzi); (ii) le ‘ nuove ‘ infiltrazioni, quelle manifestatesi nell’aprile del 2010, tuttavia, non sono ascrivibili al Condominio, il quale ha sostituito la colonna di scarico a settembre 2009; (iii) pertanto, è fondato il motivo di appello nella parte in cui viene dedotto che non sono addebitabili al Condominio i costi per i danni riscontrati all’interno dell’appartamento dell’attrice a causa delle ‘nuove’ infiltrazioni (verificatesi dall’aprile del 2010), che non possono provenire dalla nuova colonna di scarico condominiale; (iv) va invece confermato il danno da lucro cessante (euro 5.600,00), liquidato dal
primo giudice in ragione del mancato guadagno, dato che gli inquilini hanno lasciato l’immobile in questione nel mese di agosto 2009. E questo perché ‘plurimi elementi’ depongono nel senso che l’umidità manifestatasi nell’appartamento dell’attrice prima di aprile 2010 (prima, cioè, delle ‘nuove’ infiltrazioni) sia derivata da lle ‘vecchie’ infiltrazioni ascrivibili all’ente di gestione appellante . In particolare, spiega la sentenza, la circostanza è un dato di comune esperienza; la sostituzione della colonna di scarico da parte del comune lascia presumere che essa fosse ammalorata; la Reale Mutua ha corrisposto a NOME COGNOME un indennizzo di euro 2.090,00 per il ripristino del suo appartamento;
il Condominio ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due complessi motivi.
NOME COGNOME come rappresentata, ha resistito con controricorso.
Le altre parti sono rimaste intimate.
Sono pervenute memorie prima dell’udienza.
Considerato che:
il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3, 4, 5 c.p.c., v iolazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 112, 115, 116, c.p.c.
Si ascrive alla sentenza impugnata di non avere esaminato il supplemento della consulenza d’ufficio del 18/08/2014, che ha individuato le cause delle infiltrazioni nelle tubazioni del bagno di proprietà COGNOME e nelle tubazioni orizzontali di proprietà di terzi ed ha escluso che l’origine delle stesse infiltrazioni fosse riconducibile a un manufatto (tubazioni o altro) condominiale.
Si assume che, trattandosi di una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, l’errore di percezione della Corte
d’appello non è censurabile con revocazione ordinaria, ma ai sensi del n. 4 dell’art. 360 comma 1, per violazione dell’art. 115 c.p.c.
Sotto altro profilo, a giudizio del Condominio, il mancato esame delle risultanze della CTU, integrerebbe il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.
Si sostiene, altresì, che la sentenza non avrebbe fatto corretta applicazione del principio di riparto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e che avrebbe fatto riferimento alla prova indiziaria e al principio della vicinanza della prova introducendo un nuovo thema decidendum , mai dedotto dall’attrice e mai trattato dalle parti ; in ultima analisi, avrebbe ricostruito la responsabilità del Condominio sulla base di elementi privi di valenza indiziaria;
il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3, 4, 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1223, 1227, 2697 c.c., e degli artt. 112, 115, 116, c.p.c.
Si censura l’affermazione della sentenza secondo cui l’immobile non avrebbe potuto essere concesso in locazione, a causa delle sue persistenti condizioni di umidità e di degrado, nel periodo agosto 2009-marzo 2010 (quando, finalmente, l’appartamento è stato concesso a terzi in comodato gratuito), con conseguente danno (da lucro cessante) ammontante a euro 5.600,00 (pari a euro 700,00 mensili, visto che, nel 2005, per lo stesso appartamento era stato pattuito un canone mensile di euro 650,00).
E infatti, argomenta il Condominio, posto che la Reale Mutua ha liquidato per l’alloggio un danno da infiltrazioni di euro 2.090,00 e che l’attrice ha documentato spese per euro 1.800,00, per un intervento di ripristino avvenuto solamente tra il 18 e il 22 gennaio 2010, si deve escludere che l’alloggio non potesse essere abitato o che fosse stato rilasciato dagli inquilini per gravi problemi di infiltrazione. Con l’ulteriore considerazione, trascurata dai giudici di merito, che , ai
sensi dell’ art. 1227 comma 2 c.c., non è dovuto il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, proprio come accaduto in questa vicenda, nella quale il danno poteva essere evitato con la semplice tinteggiatura dell’immobile subito dopo il rilascio (nell’agosto 2009) da parte degli inquilini;
i due motivi, ciascuno dei quali frammentato in svariati rilievi critici, possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione e sono inammissibili per le ragioni appresso illustrate;
3.1. il punto di partenza concettuale si trae dal l’indirizzo nomofilattico (cfr., Sez. U, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017, Rv. 643549 -01; in termini, Sez. 2, Ordinanza n. 29629 del 28/12/2020, Rv. 659979 – 01) secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis n. 1 c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, c.p.c., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi ‘ inconsistenti ‘;
3.2. detto questo, anzitutto, opera la previsione d ‘ inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all ‘ art. 348-ter comma 5 c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello ‘ che conferma la decisione di primo grado ‘ e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme). Nella specie, il principio della doppia conforme è
applicabile perché le due sentenze si basano sulle medesime circostanze di fatto ed attribuiscono entrambe la responsabilità al Condominio per le ‘vecchie’ infiltrazioni (ossia quelle anteriori ad aprile 2010), mentre divergono su un aspetto ormai estraneo al tema del decidere e coperto da giudicato, quello, cioè, delle ‘nuove’ infiltrazioni, per le quali la Corte d’appello (diversamente dal primo giudice) ha escluso la responsabilità del Condominio;
3.3. d’altro canto , a proposito delle censure di cui agli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 c.c. , è il caso di ricordare l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, che menziona: Cass. Sez. U., 05/08/2016, n. 16598; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014, n. 13960, e a Cass. 20/12/2007, n. 26965), secondo cui «n tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione», e, ancora «n tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma,
abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.» (in senso conforme, ex multis , Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173);
3.4. inoltre, per la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 4/05/2023, n. 11671) art. 2697 c.c. viene in considerazione solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in base alla scissione della fattispecie in fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018), non quando, sulla base del materiale istruttorio, abbia ritenuto provato il credito in contestazione, nell’esercizio del potere di prudente apprezzamento delle risultanze processuali (Cass. 18092/2020; Cass. 13395/2018; Cass. 15107/2013)» ( Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541, che, in motivazione , menziona Cass 05/09/2006, n. 19064, Cass. 10/02/2006, n. 2935);
3.5. del resto, a prescindere dal riferimento, nella rubrica dei mezzi impugnazione, agli errores in procedendo et in iudicando di cui agli artt. 112, 115, 116 c.p.c., 2697 c.c., è chiaro che al giudice di appello non viene addebitato di avere posto a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ma gli si imputa piuttosto un ipotetico error in iudicando , consistente nel cattivo esercizio del potere di apprezzamento degli esiti della consulenza d’ufficio effettuata , nel
procedimento per ATP, e delle due integrazioni del 2014 e del 2015, avvenute nella causa di merito.
Si tratta di una critica complessivamente inammissibile in ragione del fatto che l’ipotetica erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, non integra i prospettati vizi, ma involge aspetti meritali, estranei al giudizio di cassazione;
3.6. quanto alla violazione dell’art. 1227 c.c., in tema di concorso del fatto colposo del creditore, la censura è inammissibile perché attiene a una questione nuova, non esaminata dal giudice d’appello, rispetto alla quale il Condominio non individua i ‘luoghi’ del giudizio di merito dove la stessa sia stata posta o trattata, questione che, presupponendo indagini in fatto, non può essere sollevata per la prima volta in cassazione (Cass. Sez. U., n. 6459/2020);
il ricorso, nel suo complesso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del Condominio al rimborso delle spese processuali;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del Condominio, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.000,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 12 febbraio 2025, nella camera di